Messaggi e commenti per Fausto Coppi
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Frasi di Fausto Coppi
Lunedì 2 gennaio 2017 23:25:15
Lunedì 10 ottobre 2011 18:38:34
Passando in internet con il mio computer, mi sono imbattuto più volte nei siti che parlano di Fausto Coppi, un personaggio da leggenda che ha fatto parte della mia vita da bambino e poi più tardi doveva coinvolgermi nella sua personale tragedia. Una tragedia che ha toccato quest’uomo che nel corso degli anni ho imparato a conoscere meglio attraverso i giornali e i libri che su di lui sono stati scritti. Ho spesso nel corso della mia gioventù studiato e rivisto più volte filmati, da quelli più noti a quelli che sono a mano a mano apparsi nella storiografia di questo campione dello sport italiano.
Forse la mia è una inconscia manifestazione del trauma del quale fui chiamato a fare parte senza volerlo la mattina che venne annunciata la sua morte.
Sono nato in una città di provincia come Bergamo, e a quel tempo il 1960, era in massima parte popolata da operai e contadini, la maggior parte dei quali viveva con le loro numerose famiglie in quartieri scomodi, in case cioè non riscaldate e prive di servizi igienici privati, tutto quello che si riteneva un lusso, come un bagno familiare, era in comune con altre famiglie.
Anche il riscaldamento delle case era a dir poco primitivo, in massima parte era costituito da una stufa a legna, posta nella cucina, l’unica stanza abitata per tutta la giornata specialmente in inverno, mentre le camere da letto erano poste in altre ali del fabbricato, cascine o casermoni abitati in prevalenza da operai che lavoravano nelle fabbriche vicine.
La mattina del 2 Gennaio 1960, non avevo ancora 14 anni, li avrei compiuti di li a due mesi il 12 Marzo, stavo nella legnaia del cortile, dove era accatastata quella poca legna che avrebbe dovuto bastare per tutto l’inverno, erano all’incirca le otto e trenta e mi accingevo a rompere e preparare alcuni pezzi per alimentare la stufa di casa come mi aveva chiesto di fare mia madre. Era questa una operazione che compivo giornalmente con una lungaggine esasperante, mi perdevo in fatti a contemplare le fotografie della pagine di giornale, del Tutto sport illustrato, che tappezzavano le pareti della legnaia. Corridori ciclisti famosi all’epoca o che lo erano stati, facevano da cornice tutto attorno, fissate alle pareti in legno del deposito. Sognavo e mi immaginavo nei loro panni, come se quelle foto evocassero in me antiche o possibili gesta sportive; Coppi , Bartali, Magni, Nencini, erano le figure di giornale che andavano per la maggiore.
Leggevo e rileggevo le didascalie che corredavano queste immagini, scritte dalle migliori firme del ciclismo italiano di quei tempi; Orio Vergani, Colombo, Mosca, lo stesso Montanelli.
Così anche quella mattina del lontano 1960, in vacanza perché le scuole erano chiuse per il periodo Natalizio, mi apprestavo a svolgere il compito assegnatomi dalla mamma. Come al solito svolgevo malvolentieri compiti o attività che non fossero di gioco, ma la preparazione della provvista di legna era il compito che facevo più volentieri, potevo per qualche istante starmene solo fra l’olimpo di quei grandi campioni, lontano dagli altri miei fratelli più piccoli, lagnosi e rompiscatole, che disturbavano quel mio momento di privata serenità, sognando ad occhi aperti.
Improvvisamente, come l’irrompere di un rumore molesto, la voce di una mia zia che mi aveva visto da lontano nella legnaia, mi urlava dal ballatoio a poche decine di metri di distanza chiamandomi per nome: E’ morto Fausto Coppi.
In quel preciso momento, stavo proprio ammirando una foto appesa sulla parete del magazzeno di Coppi in maglia gialla durante il giro di Francia del 1952, ripreso mentre si arrampicava su per una salita in una delle sue solite fughe solitarie.
Ricordo ancora come se fosse capitato ieri, rimasi sconcertato da quelle grida ma soprattutto dal contenuto di quelle parole, non riuscivo a credere, il campione del quale tutti me ne parlavano come essere invincibile, aveva dovuto soccombere di fronte alla morte. La morte già sapevo che cosa fosse, non perché me ne parlavano ma perché avevo potuto comprenderne il significato, dopo la morte della nonna e del nonno qualche anno prima.
Rimasi impietrito per qualche istante davanti a quella immagine, poi iniziai a piangere come un bambino che non voleva mostrare questa sua debolezza, singhiozzavo trattenendo i singhiozzi, mentre dai miei occhi scendevano copiose le lagrime. Non sentii nemmeno mia madre che mi chiamava perché gli portassi la legna. Quando si affaccio alla porta della legnaia , mi chiese cosa mi fosse accaduto. Solo allora iniziai a piangere senza più nessun ritegno, tanto che anche mia madre in genere avvezza al dolore e alla sofferenza, ne rimase colpita.
Questo è quello che ricordo di quel 2 Gennaio 1960.
Venerdì 25 marzo 2011 12:16:54
Se volete aprofondire vi segnalo il sito Trinuot a fausto Coppi a questo link http://faustocoppi.altervista.org/