La frenesia del disboscamento

Messaggio per Alberto Angela

Domenica 7 febbraio 2021 16:56:37
Il taglio del bosco.
Non mi riferisco al bel racconto di Carlo Cassola, ma ad un tema di grande attualità che divide gli ambienti scientifici, e che prefigura una grave minaccia al patrimonio paesaggistico e al patrimonio di biodiversità del nostro Paese.

Classificazione dei boschi

A parte le definizioni semantiche, è importante considerare la suddivisione dei boschi in due categorie: “bosco ceduo” e “fustaia”.
Per fustaia si intendono i boschi a gestione conservativa. Gli alberi grandi, anche secolari, non devono essere abbattuti, e si lasciano invecchiare e morire secondo natura. Gli interventi di taglio sono ammessi solo per necessità (creazione di fasce antincendio, apertura di strade e simili). Le fustaie, in sostanza, sono ambienti destinati alla conservazione del paesaggio e della biodiversità.
Per bosco ceduo si intende un bosco destinato ad essere tagliato periodicamente, con intervalli di qualche decina d’anni. In sostanza, non è considerato un elemento del paesaggio, né un presidio della natura, ma una coltura agricola dove si sfrutta al meglio la risorsa legname con obiettivi puramente economici.
In realtà, dato che il ceduo copre la stragrande maggioranza dei boschi italiani, l’importanza ecologica e paesaggistica di questi boschi è enorme.

Come si decide il taglio

La decisione di sottoporre una porzione di bosco ceduo al taglio scaturisce di solito dal desiderio del proprietario (in prevalenza si tratta di privati) di ricavarne un introito, oppure dalla proposta di una ditta che svolge questo tipo di attività, e, in genere, si raggiunge un accordo tra le due parti per procedere al taglio.
La proposta può anche scaturire da un’azienda che intende utilizzare il legno come combustibile, come, ad esempio, una centrale elettrica a biomasse, una distilleria e simili.
Il taglio necessita di un’autorizzazione da parte degli enti preposti. Di norma, basta l’autorizzazione da parte della Regione, che, in certi casi, dovrebbe ottenere il nulla osta da parte degli enti di gestione (parchi, riserve naturali, SIC …) ed effettuare una verifica di compatibilità ambientale.
Infatti, anche se sembra un controsenso, gran parte dei boschi che si trovano all’interno di aree protette perché considerate di valore naturalistico, continuano ad essere censiti come boschi cedui, e quindi soggetti al taglio periodico.

Come si fa la ceduazione

Nella generalità dei casi, quando si procede alla ceduazione di un’area, si tagliano tutti gli alberi, a partire dai più grandi, e si asporta il sottobosco.
Si lasciano in vita solo alcuni alberi di dimensioni mediopiccole, definiti in gergo forestale “matricine”, che hanno il compito di facilitare la ricostituzione del bosco nei decenni successivi.
Nel caso in cui questi alberi risparmiati siano piccoli e radi, è invalsa la definizione – aborrita dai tecnici della deforestazione – di “ceduo stecchino” (vedere foto).
Più raramente si decide di risparmiare alcuni alberi vecchi e di grandi dimensioni, definiti “alberi habitat” per non distruggere completamente i nidi degli uccelli e le tane dei piccoli mammiferi e dei rettili.
In alcuni casi di procede alla ceduazione “a raso” eliminando completamente la vegetazione dall’area, e, in casi ancora più specifici, si sradicano gli alberi per sostituire un bosco naturale con un bosco diverso, che può essere, ad esempio, un castagneto produttivo, come nel caso della Riserva Val di Farma, in località Belagaio (GR), attualmente oggetto di una vicenda giudiziaria.

Cosa si fa del legname tagliato

L’uso del legname si può dividere in due grandi categorie; strutture portanti e manufatti in legno, oppure combustibile. Nel caso di boschi di querce ed essenze varie l’uso prevalente è come combustibile.
Il legname da bruciare si può ulteriormente distinguere in ceppi da caminetto o termocamino, che rappresenta l’utilizzo storico, e produzione di “cippato” e di “pellet” con un’ulteriore lavorazione che lo riduce in schegge e trucioli adatti per essere bruciati in impianti appositi.

Il legno è un buon combustibile?

Il legno non è un buon combustibile, perché produce fumo (leggi “polveri sottili”) e sostanze volatili tossiche, tra cui composti ciclici della serie del benzene potenzialmente cancerogeni (alla base della produzione di trementina, diluente alla nitro, basi per colle e vernici …) e perfino diossina.
Queste emissioni nocive possono essere parzialmente abbattute in grandi impianti industriali moderni, mentre finiscono integralmente in atmosfera se prodotte in impianti familiari e di piccole dimensioni, oppure in impianti obsoleti.
Ciò dipende dal fatto che, mentre i combustibili fossili sono composti essenzialmente di carbonio, che bruciando produce CO2, e idrogeno, che produce vapore acqueo, con una percentuale minima di altre sostanze, le piante vive contengono proteine e un infinità di altre molecole che, bruciando, producono migliaia di composti diversi (basti pensare al fumo delle sigarette).
Tagliare i boschi per bruciare il legno è energeticamente vantaggioso?
Finora non sono disponibili studi seri e non di parte che dimostrino in modo chiaro la convenienza della combustione del legno tagliato appositamente.
Infatti, per il taglio si usano grosse macchine che consumano gasolio, altre grandi macchine lo trasportano al punto di raccolta, altre lo segano fino alle dimensioni volute. Se poi il legno viene sottoposto al processo di cippatura, cioè di riduzione in schegge di piccole dimensioni, il consumo energetico aumenta notevolmente. A questi consumi va aggiunto quello per il trasporto verso l’impianto utilizzatore.
Se il legname viene utilizzato subito, senza stagionatura, si deve poi sottrarre l’energia necessaria per far evaporare l’acqua contenuta, che è notevole (540 calorie per grammo di acqua contenuta).
Il bilancio è presumibilmente positivo, ma c’è da chiedersi se la resa energetica sia abbastanza positiva da giustificare questa attività nociva sotto molti altri aspetti.
E’ evidente che, se il rendimento fosse poco superiore al valore “1” il processo non sarebbe conveniente, perché si consumano energie pregiate, come elettricità e gasolio, per ottenere un’energia di scarsa versatilità e molto inquinante. Col gasolio si fanno volare gli aerei, con il pellet no.

Tagliare i boschi per bruciarli combatte l’effetto serra?

Anche questo è un tema molto controverso. Se da un lato il legno è una risorsa rinnovabile, perché, finché saranno disponibili acqua e sole, gli alberi ricresceranno, se facciamo bene i conti potremmo avere delle sorprese.
Infatti, bruciare il legno produce più o meno la stessa quantità di CO2 che si produrrebbe bruciando combustibili fossili, e quindi non c’è un vantaggio immediato in questo senso, mentre, come già detto, si producono fumi nocivi per la salute.
Il effetti, questa produzione di CO2 non è aggiuntiva, ma è un anticipo di quella che si sarebbe prodotta nei decenni e nei secoli successivi via via che le piante sarebbero morte e si sarebbero decomposte. Però, è un’anticipazione non da poco.
Bruciando legno si risparmia di consumare combustibili fossili non rinnovabili, ma, come detto sopra, il risparmio è ben lontano dal 100%, perché per la gestione di questo processo si consumano un bel po’ di combustibili fossili, o, peggio, di elettricità, che è un’energia ancora più pregiata.
Ma l’argomentazione più forte è che i boschi sono anche il principale sistema di ricaptazione della CO2 dall’aria, attraverso il processo di fotosintesi che la trasforma in carboidrati (soprattutto cellulosa), emettendo ossigeno che migliora la qualità dell’aria.
Quindi, eliminare completamente o quasi un bosco comporta l’interruzione di questo meccanismo virtuoso per molti anni, e quindi contribuisce negativamente all’effetto serra.

Effetti del taglio dei boschi sulla biodiversità

La ceduazione, sia quella a raso che a stecchino, distrugge tutti i siti di nidificazione degli animali del bosco. In più, il rumore incessante delle seghe e il viavai di automezzi li terrorizza facendoli allontanare anche di chilometri.
Un bosco ceduato diventa un deserto e ci vorranno molti anni perché gli animali tornino a popolarlo. Da osservare anche che il bosco ceduato, anche dopo decenni, non tornerà necessariamente com’era prima. Infatti, certe piante crescono più di altre (per esempio, ailanto e robinia), e potranno approfittare del vuoto che si è creato per sostituire le specie a crescita più lenta (querce ed altre specie autoctone), cambiando la composizione e l’aspetto del bosco.
Il danno alla biodiversità, sia animale che vegetale, è particolarmente grave quando si effettua la ceduazione in aree di pregio naturalistico (parchi, riserve naturali, SIC …), che erano state sottoposte a vincoli proprio perché ospitavano ecosistemi vegetali e animali rari e a rischio di estinzione.

Effetti del taglio dei boschi sul paesaggio

Tutti abbiamo chiaro il danno al paesaggio causato dagli incendi boschivi. La ceduazione produce danni minori, perché gli alberi ricrescono in tempi più brevi, ma è indubbio che l’aspetto di un sito di valore paesaggistico viene deteriorato in misura anche molto grave. Si pensi, ad esempio, al Monte Circeo o al Monte Argentario.
E non si tratta di esempi astratti. Sul Monte Argentario sono effettivamente in corso interventi di ceduazione di tipo pesante, cioè a raso o a stecchino. Sembra che la Regione Toscana detenga il primato negativo in questo senso.
La ceduazione può produrre quindi esiti negativi sul piano economico, abbassando il valore degli immobili e deprimendo il turismo, sia quello residenziale che quello legato all’escursionismo. Nessuno organizzerebbe una vacanza o iniziative di trekking in un bosco tagliato.
Effetto della ceduazione sul dissesto idrogeologico
Anche se le radici restano in sede a tenere il terreno, l’effetto sulla stabilità del suolo è negativo. Intanto, le radici restano in sede al momento, ma, se la pianta tagliata muore, si decompongono nel giro di pochi anni.
E, comunque, dato che esiste sempre un equilibrio tra chioma e apparato radicale, anche se l’albero non muore, ma si riduce di dimensioni, l’apparato radicale si riduce in proporzione.
Da considerare poi che la chioma degli alberi attutisce la caduta della pioggia e della grandine, riducendo gli effetti di erosione e dilavamento del suolo. Inoltre, i residui del taglio (foglie e ramaglie), tendono a raccogliersi nel fondovalle ostruendo il corso dei torrenti.

Qual è, in definitiva, l’utilità della ceduazione?

Abbiamo visto che i vantaggi in termini di risparmio di combustibili fossili e di lotta all’effetto serra sono incerti, mentre i danni alla biodiversità ed al paesaggio sono importanti. E, come dice il proverbio, quando il guadagno appare incerto, vuol dire che la perdita è sicura.
L’unico vantaggio certo è di tipo economico, ma non vistoso, per le ditte che effettuano queste attività. Esiste inoltre un vantaggio per le aziende che utilizzano il legname come combustibile grazie agli incentivi UE per le fonti di energia rinnovabili.
Altro effetto utile è una modesta riduzione della disoccupazione. Modesta perché il lavoro è molto meccanizzato e il personale impiegato è minimo.
Il fatto che ci sia tanto interesse verso un’attività poco redditizia economicamente (il guadagno si basa in buona parte sugli incentivi pubblici) e che produce tanti danni e proteste da parte dei cittadini, può far nascere ragionevolmente anche il dubbio che ci siano infiltrazioni della criminalità organizzata, lavaggio di denaro sporco e simili.

Conclusioni

La ceduazione è stata fatta da secoli senza deteriorare irrimediabilmente il paesaggio e la biodiversità, come dicono i suoi sostenitori, ma si trattava di una ceduazione diversa.
Era fatta con macchine meno distruttive e con ritmi più lenti, producendo meno impatto sul paesaggio e sulla biodiversità.
La nuova ceduazione è pericolosa perché, da una decina d’anni, si abbattono i boschi non solo per ottenere legname da costruzione ceppi da bruciare nel camino, che sono utilizzi modesti come volumi.
Oggi, in più, si sta ceduando per alimentare le centrali elettriche a biomasse, le distillerie e i grandi impianti di riscaldamento collettivi. E questo comporta un aumento astronomico dei volumi. La maggior parte dei cittadini non se ne è ancora resa conto, ma a questo ritmo, i nostri boschi saranno irriconoscibili nel giro di pochi anni, o, al più, in pochi decenni
Da aggiungere che oggi la gente ha acquisito una sensibilità verso i temi ecologici e ambientali che prima non esisteva. Oggi i boschi non sono più visti come luoghi oscuri, pericolosi e degradati, ma come luoghi in cui si fa sport, si gode della vista di piante, fiori e animali selvatici, si ascolta il canto degli uccelli e degli insetti, si ritempra il corpo e lo spirito. E’ giusto privare i cittadini di tutto questo per un guadagno energetico opinabile, e forse col segno negativo, o per compiacere qualche lobby?

Proposte
1. Ridurre l’estensione dei boschi censiti come “cedui” e convertirli in gran parte in boschi “a fustaia”, dove non è consentito il taglio periodico.
2. In particolare, classificare “fustaia” tutti i boschi compresi in parchi, riserve naturali, SIC, aree di interesse paesaggistico, e altre aree comunque vincolate.
3. Nei boschi in cui la ceduazione sarà consentita (perché produrre un minimo di legname è fisiologico e necessario), modificare le regole del taglio, cioè:
a. Risparmiare tutti gli alberi più vecchi, che sono sede dei nidi degli animali, e il loro sottobosco circostante.
b. Consentire quindi solo il taglio di tronchi il cui diametro sia compreso tra un minimo (per non tagliare alberi troppo giovani destinati a ricostituire il bosco) e un massimo (per conservare gli alberi vecchi come “alberi habitat”).
4. Escludere il legno prodotto con disboscamenti e ceduazione dall’elenco delle “risorse rinnovabili”, ammettendo in questa definizione solo i materiali vegetali che si ottengono come scarti delle produzioni agricole (piante secche di mais, girasoli, grano ecc…), oltre al legno e altri materiali combustibili ricavati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani e industriali.
5. Escludere la ceduazione da qualsiasi tipo di incentivo di Stato.

Tutto questo si può fare intervenendo sulla modifica delle regole europee attualmente in discussione sulle energie rinnovabili, e sul TUF, cioè la legge italiana in corso di stesura che regolerà la gestione forestale.
Per stimolare un ripensamento e una rivisitazione dell’intera materia, superando posizioni anacronistiche, ma dure a morire, si propone di spostare la facoltà di “Scienze forestali”, o come si chiama oggi, dal gruppo delle discipline agricole al gruppo delle scienze della vita, accanto alla Botanica.

Questo perché la gestione dei boschi, oggi, non ha più senso se vista come ottimizzazione delle tecniche di sfruttamento economico del legname, cioè come una pratica agricola, ma deve essere vista più modernamente come una disciplina per conservare i boschi in buona salute, belli, sani e godibili per i cittadini e per gli animali selvatici.
Sfruttare i boschi alla vecchia maniera oggi non ha più senso. E’ un gioco che non vale la candela.
Da: Luigi Lenzini

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