C'era una volta in Italia (l'apartheid, la democrazia, la letteratura popolare)

Messaggio per Corrado Augias

Mercoledì 29 settembre 2021 10:45:50
Gentile Corrado Augias,
scrivo a lei in quanto giornalista e intellettuale che seguo e stimo, e pure come uomo d’altri tempi (confido che il termine non le dispiaccia!) che sarà forse più sensibile, perché non obnubilato dalla vernice patinata della contemporaneità, ad ascoltare questo grido di dolore che sgorga dalla nostra generazione di nati negli anni settanta e poi ottanta; e il dolore c’è senz’altro, e forse più, nelle successive generazioni, ma forse quelle son venute su più scaltre e con meno illusioni, o partono già scoraggiate prima di iniziare la corsa.
Forse avrà già capito di ciò che si tratta, ma prima voglio raccontarle una piccola storia. Mia madre è nata appena dopo la guerra ed è cresciuta nell’apartheid. Cioè in un paese spaccato in due: le case operaie in fondo, le villette degli impiegati e dei dirigenti al centro (nel Viale della Scienza!), il cinema degli impiegati e quello degli operai, e così pure i bar, i negozi alimentari e i circoli ricreativi, con un magnifico centro sportivo provvisto di campi da tennis, minigolf, piste d’atletica, ping-pong e chiosco dei gelati, riservato rigidamente agli impiegati e alle loro famiglie, ben chiuso da una robusta rete (a cui stavano appesi, invidiosi, i figli della classe operaia). E siccome mio nonno era custode del cinema e gestore di quel chiosco – miniera di dolciumi negati ai suoi propri figli – mia madre è cresciuta crocifissa da quell’apartheid, avendo accesso al mondo proibito, ma in qualità di “non avente diritto”. Poi le cose, finalmente, sono cambiate. Quella generazione dei nati nel dopoguerra divenne adulta con la fiducia in una società diversa, dove più non esistessero inferriate invalicabili, ma credettero che per i loro figli ci fosse un futuro diverso, in cui chi “studia, si impegna ed ha talento” possa farsi strada ed accedere a quel mondo elitario che prima era solo riservato ai “figli di papà”. E forse, per un breve arco di tempo, le cose sono andate proprio a quel modo. C’è stato un travaso di menti e di cuori, che dal popolo sono ascesi a ruoli sociali eminenti.
E così anche noi, figli e figlie di quei genitori fiduciosi nelle magnifiche sorti e progressive – figli i cui nonni e nonne erano state contadine o operai, in taluni casi poverissimi – anche noi siamo cresciuti fiduciosi (e quasi ignari delle differenze di classe!) credendo alla bella favola che chi “studia e s’impegna e va bene a scuola”, poi avrà il suo giusto posto nella vita. E ben ingenua ed amara suona oggi questa promessa. Perché la breccia che s’era aperta a un certo punto si è richiusa; forse per via dell’istruzione universitaria di massa? Fatto sta che avere laurea a pieni voti, e magari anche dottorato, master e quant’altro, non è più bastato. Non è più bastato nemmeno avere un talento di quelli che saltano all’occhio, nemmeno essere una mente acuta, brillante e originale. Allora, per farsi strada, servivano altre qualità – scaltrezza, una certa dose di opportunismo e ipocrisia, saper coltivare le relazioni, aver fiuto per gli agganci giusti, sapersi vendere al miglior offerente: tutte quante cose in cui, noi idealisti fiduciosi, non eravamo stati addestrati. E poi c’erano invece quelli che non dovevano fare grossi sforzi, perché “dentro” c’erano già, fin da quando erano nati.
Io in verità ci ho messo quasi metà della mia vita, a capirla questa cosa (la fede di mia madre essendo così fulgida!) ma infine ci sono arrivata, perché non ero la sola a battere la testa contro a questa inferriata. Ho visto amiche studentesse brillantissime laureate e dottorate venir espulse come corpi estranei dalla nostra università: talune migrate in Francia (con l’illusione che questa fosse una piaga italiana, e invece pare che tutta la vecchia Europa ne sia affetta) ; un altro brillante ingegno che ha dovuto fare il giro del mondo (Australia e poi USA) per trovare infine accesso al mondo accademico italiano; oppure altri, pur talentuosi, che han dovuto ripiegare su posizioni di retroguardia. E certo l’ecatombe è più forte e dolorosa in ambito umanistico; nel settore tecnico e scientifico, che riceve più denari e più credito: le cose forse vanno meglio?
Ora io dico, tutto ciò è irredimibile? Non v’è modo di sanare questa distorsione che amputa arti e tarpa le ali a coloro che più potrebbero dare un contributo fondamentale, per sollevare le sorti di questa nostra umanità alla deriva? Non v’è forse una urgente necessità d’una rivoluzione culturale? Per cui la classe intellettuale vigente faccia un mea culpa, e rigetti questo malsano sistema di perpetuazione di casta. E si smetta, in ambito universitario, intellettuale, editoriale, giornalistico, politico: di pascere ciascuno i rampolli del proprio pollaio, buttando giù recinti e lasciando che gli animali circolino liberi a beccar ognuno dove più gli appetisce, e così crescere tutti più in salute. Il mondo, e le nostre società e le nostre vite, sarebbero forse posti più interessanti e meno iniqui, se alla mediocrità dilagante in ogni ambito, si sostituisse il criterio sacrosanto: a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo i suoi talenti e meriti.
Cordialmente, Angela Masotti

N. B. Nella mia fattispecie, mi trovo ad aver scritto due libri (anzi tre) e a non poter trovare un editore o editrice che neppure si degni di darvi una rapida scorsa. E questo per due ragioni. Perché i miei sono libri assai diversi e inusuali da tutti quelli attualmente in circolazione; e che a parer loro non potrebbero ambire a diventare un best-seller (ma ciò dipende, a mio parere, da una degradata concezione di quella che è e dovrebbe essere la "letteratura popolare"). E soprattutto perché non ho, a mio favore, nessun referente illustre: che possa accattivarmi l’attenzione e l'interesse di chi è al di là di quella campana di vetro che è il mondo editoriale. Ed è perciò che sto cercando interlocutori, fuori da esso, tra le persone rette e lungimiranti che (forse) potrebbero aver piacere di leggere i miei libri. Il penultimo di questi è una storia delle donne (e della classe media italiana) frutto di dieci anni di ricerche, interviste, racconti orali, scritture, stesure e successive revisioni. L’altro ed ultimo, che tìtolasi 73, è una pietosa collazione di storie di vita e di morte di 73 donne, uomini e bambini, che ci raccontano tutto di loro (tutto ciò che è necessario sapere) un attimo prima di naufragare in mezzo al mare. Se lei ne avesse la pazienza e l’interesse, mi onorerebbe poterle inviare un breve estratto di entrambe le opere.

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Da: Angela Masotti

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