Gli smartphone stanno distruggendo il pianeta: nessuno ne vuole parlare
Messaggio per Milena Gabanelli
Lunedì 18 gennaio 2021 16:59:33
Gli smartphone stanno distruggendo il pianeta
L'energia che serve per produrli è enorme: forse dobbiamo smettere di cambiare telefonino ogni due anni.
Di Andrea Signorelli
11/05/2018
Getty Images
Saranno anche una meraviglia tecnologica, ma nel mondo si utilizzano gli smartphone come se fossero un dispositivo usa e getta. In media, infatti, cambiamo il nostro telefonino una volta ogni due anni; un’abitudine che ha una conseguenza imprevista: stiamo distruggendo l’ambiente. È la tesi sostenuta da una ricerca condotta alla McMaster University (ripresa da FastCompany), secondo la quale la produzione di un nuovo smartphone – e in particolare l’estrazione dei rari materiali che si trovano al suo interno – richiede lo stesso consumo di energia di dieci anni di utilizzo.
Da questo punto di vista, poco importa che la crescita delle vendite di smartphone stia calando (nel mondo ce ne sono già due miliardi e mezzo): un po’ perché, come detto, li cambiamo comunque troppo spesso; un po’ perché le aziende producono dispositivi sempre più grandi e più potenti, la cui impronta ecologica continua quindi ad aumentare. Stando ai dati diffusi da Apple, per esempio, un iPhone 7 Plus causa il 10% di emissioni di CO2 in più rispetto a un iPhone 6S; che a sua volta causa il 57% di emissioni in più rispetto al vecchio 4S. I vari programmi per il riciclo degli smartphone, da questo punto di vista, servono a ben poco: meno dell’1% dei dispositivi attualmente in circolazione è riciclato.
Non c’è nessun cloud, solo giganteschi edifici stracolmi di server
Per avere un’idea di quanto la situazione ambientale stia peggiorando a causa dei dispositivi tecnologici, basti pensare che solo nel 2007 tutto il settore ICT (information and communication technology) causava circa l’1% delle emissioni di gas serra globali; una percentuale che oggi è già triplicata e che potrebbe raggiungere il 14% entro il 2040 (circa la metà dell’impronta ecologica dell’intera industria dei trasporti). La colpa, ovviamente, non è solo degli smartphone: i computer, i tablet, gli smartwatch e tutti gli altri dispositivi hanno le loro responsabilità; ma il vero nemico da sconfiggere sono i server e i data center (che entro il 2020 rappresenteranno il 45% delle emissioni del settore ICT).
Nonostante siano stati etichettati con il rasserenante nome di “cloud”, è importante ricordare che, nella realtà, non c’è nessuna nuvola; bensì giganteschi edifici, stracolmi di server, che richiedono enormi quantità di energia per salvare le foto scattate con l’iPhone, i documenti archiviati su Dropbox, i file che conserviamo su Drive (ma anche per processare le nostre richieste a Google o le nostre attività su Facebook).
Getty Images
Nel mondo, oggi, ci sono 8, 6 milioni di data center; alcuni dei quali occupano superfici da centinaia di migliaia di metri quadrati (consumando energia anche per tenere tutti i server sempre al fresco). Non va sottovalutato neanche l'impatto ambientale causato dal successo delle criptovalute: il “mining” dei bitcoin, per esempio, richiede la stessa energia necessaria a soddisfare il fabbisogno di una nazione come l’Irlanda (a breve raggiungerà i 42 terawatt/ora).
L’emergere della IoT potrebbe aumentare in maniera drammatica le emissioni di gas serra
Se non bastasse, la situazione è destinata a peggiorare con l’avvento, imminente, della internet of things: decine di miliardi di dispositivi connessi tra di loro e che inviano costantemente informazioni ai server che devono elaborarli. “Stiamo già assistendo alla diffusione di una miriade di dispositivi connessi; dai wearables fino agli oggetti domestici, e persino macchine, camion e aeroplani”, si legge nello studio. “Se questo trend dovesse continuare, possiamo solo immaginare quale sarà il carico aggiuntivo che questi dispositivi imporranno alle infrastrutture dei data center, senza contare il consumo energetico necessario alla loro produzione. L’emergere della IoT potrebbe aumentare in maniera drammatica le emissioni di gas serra”.
Che cosa si può fare allora? Per quanto riguarda le grandi aziende tecnologiche, è fondamentale che si convertano il prima possibile, e interamente, alle energie rinnovabili (come già hanno iniziato a fare). Come consumatori, invece, possiamo iniziare ad acquistare uno smartphone nuovo ogni tre anni invece che ogni due (o magari limitarci a sostituire la batteria).
ll telefono cellulare è ormai diventato per tutti uno strumento indispensabile o a cui non si riesce a rinunciare. La diffusione di tali apparecchi ha raggiunto livelli incredibili coinvolgendo persone di tutte le età (sempre più frequentemente anche i bambini), in tutto il mondo. Come tutte le innovazioni ha creato una divisione che oppone coloro che ne sono (più o meno) entusiasti utilizzatori a chi invece li ritiene dannosi per la salute a causa delle emissioni elettromagnetiche che generano. Per definire l''abbondante presenza nell''atmosfera di onde elettromagnetiche è stato coniato il termine elettrosmog, a sottolineare come lo si ritenga un vero e proprio inquinamento ambientale. Anni di studi non sono ancora riusciti a stabilire con certezza se i telefoni portatili siano alla base di alcune forma tumorali e quindi rappresentino in concreto un pericolo sia per chi li utilizza sia per tutti coloro che vivono immersi nelle emissioni elettromagnetiche. E'' invece certo che siano una delle maggiori fonti di inquinamento nel senso "classico" del termine. I materiali con cui ogni apparecchio viene costruito contengono sostanze altamente inquinanti e nocive per la salute. Partendo dall''esterno troviamo materie plastiche che se smaltite in inceneritori possono produrre diossina, poi ci sono i composti utilizzati per costruire i display a cristalli liquidi, metalli pesanti come il piombo che viene impiegato nella realizzazione dei circuiti stampati, bromuro che serve da isolante, berillio che trova impiego nella realizzazione dei contatti ed infine cadmio largamente presente nelle batterie soprattutto di apparecchi meno recenti. Tutte queste sostanze chimiche possono provocare serissimi danni al fisico come malattie del sistema immunitario, malattie endocrine e neuronali, problemi all''apparato respiratorio e al fegato, possono inquinare il terreno e le falde idriche o disperdersi nell''atmosfera. Il problema ed i rischi sono molto seri se tiene presente che ogni anno nel mondo vengono buttati via circa 230 milioni di telefonini, più di 100 milioni solo in Europa. Quasi tutti possiedono più di un cellulare ed il livello di funzioni che ogni apparecchio propone rappresenta una fonte di grande consumo per le batterie che vengono sfruttate e sostituite con frequenza. Inoltre i costi di riparazione, nella maggior parte dei casi superiori al prezzo di acquisto del telefono stesso inducono a disfarsi con facilità dell''apparecchio guasto e comprarne uno nuovo, producendo una quantità enorme di rifiuti. Va anche considerato che la maggior parte dei telefoni dismessi finisce nei paesi come Pakistan, India, Cina ed in molte nazioni africane dove vengono smontati e privati dei componenti riciclabili (come il nichel e il platino), senza rispettare alcuna precauzione per la salute e poi gettati in discariche prive di ogni controllo. Per cercare di controllare in qualche modo l''eliminazione di questi particolari rifiuti molte compagnie telefoniche hanno lanciato campagne di sensibilizzazione con l''obiettivo di raccogliere i cellulari inutilizzabili e smaltirli in sicurezza ed i produttori si sono impegnati a realizzare apparecchi il più possibile riciclabili.
(Giovanni Bosio)
Gli smartphone uccideranno la Terra, silenziosamente
di Emanuele Villa - 24/04/2018 15: 340
Secondo alcuni ricercatori Canadesi, l'impatto ambientale dei dispositivi elettronici sarà sempre più nocivo per il pianeta in cui viviamo. Smartphone sul banco degli imputati: inquina la produzione, vengono sostituiti troppo spesso e smaltiti male
Ogni anno i principali produttori di dispositivi elettronici si affrettano a pubblicare report di sostenibilità ambientale: palazzi alimentati da energie rinnovabili, flotte aziendali ibride/elettriche, modifiche ai processi produttivi, eliminazione di materie prime inquinanti, riduzione dei consumi del prodotto finito, packaging proveniente da materiali riciclati e via dicendo.
Tutto il sistema si riassume nel dato del carbon footprint, che rappresenta la stima delle emissioni di gas serra causate da un prodotto, un servizio o un'organizzazione con tutte le sue attività. Scopriamo così, andando a leggerci il rapporto Apple del 2017, che l'azienda è stata in grado di diminuire il proprio impatto ambientale complessivo portandolo a 27, 5 milioni di tonnellate da 29, 5 milioni dell'anno precedente.
Non occorre essere esperti sull'argomento per realizzare (vedi immagine sopra), che le emissioni di gas serra riguardano per la maggior parte il processo produttivo di un apparecchio, seguite dalla fase di utilizzo e dal trasporto, per terminare con la fase finale del ciclo vitale.
Ogni anno le aziende più grandi si impegnano a rispettare i parametri ambientali imposti dalle leggi, cui sommano un impegno etico a ridurre il più possibile l'impatto dei propri prodotti, inteso come produzione, uso e smaltimento dello stesso.
Se però ha ragione la ricerca dell'Università canadese McMaster pubblicata il mese scorso sul Journal of Cleaner Production, c'è poco da star sereni. Lo studio ha analizzato l'impatto ambientale di tutto il comparto ICT mondiale, ma in particolare quello degli smartphone, in quanto dispositivo tecnologico per eccellenza dell'ultimo decennio. Il fatto che se ne parli con insistenza negli ultimi tempi è indice di numeri in ascesa: nel 2007 il settore IT rappresentava l'1% del carbon footprint mondiale, ma nel 2040 arriverà al 14% andando a fare concorrenza col grande dominatore della scena, i trasporti.
Perchè prendersela con gli smartphone quando ci sono dispositivi ben più inquinanti come i server e i data center? Semplice: ce ne sono molti di più, il loro numero cresce di anno in anno, vengono sostituiti troppo rapidamente e smaltiti male. La ricerca stima infatti che, a livello globale, solo l'1% degli smartphone venga correttamente riciclato; il resto (complici le dimensioni compatte) finisce in qualche cassonetto o anche peggio.
Bisogna "tenerli" di più
Per arginare il problema, la prima soluzione consiste nel tenerli per più tempo prima di sostituirli: stimando un ciclo di vita di 2 anni, la produzione dello smartphone è responsabile di circa il 90% delle emissioni di CO2 causate dell'apparecchio. Entrano in gioco soprattutto l'estrazione di metalli rari, elementi chimici difficili da produrre e via dicendo, veri responsabili di un carbon footprint in costante ascesa: più i telefoni diventano grandi più "costa" produrli in termini ambientali (iPhone 7 Plus produce il 10% di CO2 in più rispetto al 6S), più diventano potenti più richiedono alimentazione e occupano risorse dei server cui sono connessi, aumentando le emissioni a livello esponenziale.
Soluzioni? Ovviamente i produttori devono impegnarsi sempre più a ridurre l'inquinamento legato al proprio processo produttivo e distributivo, cosa che in linea di massima stanno già facendo.
Un recente report di Greenpeace poneva Fairphone e Apple ai primi posti assoluti: della seconda si è già detto (qui il report del 2017), mentre la prima ha raggiunto i vertici della classifica proprio per la sua capacità di realizzare uno smartphone "anti inquinamento" azzerando il fattore dell'obsolescenza programmata e rendendolo facilissimo da riparare. Apple, dal canto suo, ha recentemente fatto entrare in servizio Daisy (vedi video), il robot tuttofare che si occupa dello smaltimento dei vecchi iPhone: ne gestisce 200 all'ora e recupera tutti i materiali e i componenti pregiati tra cui alluminio, oro, argento, tungsteno, rame e molti altri. Bene Dell, HP, Lenovo e Microsoft, leggermente dietro Google e LG, da migliorare Samsung, Amazon e Xiaomi, solo per citare i nomi più altisonanti.
Che poi la soluzione sarebbe anche abbastanza semplice: tenersi il più possibile il proprio smartphone, sostituendolo quando è necessario e affrontando il ciclo finale di vita in modo responsabile e sostenibile. Da questo punto di vista la possibilità di sostituire la batteria era un plus non da poco, ma ultimamente ben pochi dispositivi lo permettono.
I ricercatori hanno scoperto che le tecnologie attorno agli smartphone e ai data center potrebbero essere le più dannose per l’ambiente, in particolare con i telefoni smart che entro il 2020 saranno responsabili della produzione dell’85% del gas serra prodotto dalla categoria di elettronica. Lo rivela uno studio condotto da due professioni dell’Università canadese McMaster.
Smartphone vicino al letto rischio per la salute, colpa delle luci blu
Si apprende che i gas serra prodotti dagli smartphone provengono dal ciclo produttivo, soprattutto dal processo di estrazione dei metalli rari che i produttori sfruttano per realizzare i processori e le schede madri a bordo dei device. Senza contare che la batteria limitata induce gli utenti a cambiare spesso dispositivo, il che inquina ulteriormente l’ambiente. Spiegano i ricercatori che:
Per ogni messaggio di testo, ogni telefonata, ogni video c’è un data center che consuma molta energia e continua ad essere alimentato da elettricità generata dai combustibili fossili. L’industria tecnologica entro il 2040 sarà responsabile del 14% dei gas serra totali.
Sono Margarita Vecchiarelli e ho deciso di inviarvi questi articoli (spero veri) con il fine di sensibilizzare la signorina Greta… e vedere se contestando certe realtà adottate dai giovanissimi riesce a portare in piazza milioni di ragazzi per salvare il pianeta non sapendo fare a meno di cellulari e tablet.
Cordiali saluti
L'energia che serve per produrli è enorme: forse dobbiamo smettere di cambiare telefonino ogni due anni.
Di Andrea Signorelli
11/05/2018
Getty Images
Saranno anche una meraviglia tecnologica, ma nel mondo si utilizzano gli smartphone come se fossero un dispositivo usa e getta. In media, infatti, cambiamo il nostro telefonino una volta ogni due anni; un’abitudine che ha una conseguenza imprevista: stiamo distruggendo l’ambiente. È la tesi sostenuta da una ricerca condotta alla McMaster University (ripresa da FastCompany), secondo la quale la produzione di un nuovo smartphone – e in particolare l’estrazione dei rari materiali che si trovano al suo interno – richiede lo stesso consumo di energia di dieci anni di utilizzo.
Da questo punto di vista, poco importa che la crescita delle vendite di smartphone stia calando (nel mondo ce ne sono già due miliardi e mezzo): un po’ perché, come detto, li cambiamo comunque troppo spesso; un po’ perché le aziende producono dispositivi sempre più grandi e più potenti, la cui impronta ecologica continua quindi ad aumentare. Stando ai dati diffusi da Apple, per esempio, un iPhone 7 Plus causa il 10% di emissioni di CO2 in più rispetto a un iPhone 6S; che a sua volta causa il 57% di emissioni in più rispetto al vecchio 4S. I vari programmi per il riciclo degli smartphone, da questo punto di vista, servono a ben poco: meno dell’1% dei dispositivi attualmente in circolazione è riciclato.
Non c’è nessun cloud, solo giganteschi edifici stracolmi di server
Per avere un’idea di quanto la situazione ambientale stia peggiorando a causa dei dispositivi tecnologici, basti pensare che solo nel 2007 tutto il settore ICT (information and communication technology) causava circa l’1% delle emissioni di gas serra globali; una percentuale che oggi è già triplicata e che potrebbe raggiungere il 14% entro il 2040 (circa la metà dell’impronta ecologica dell’intera industria dei trasporti). La colpa, ovviamente, non è solo degli smartphone: i computer, i tablet, gli smartwatch e tutti gli altri dispositivi hanno le loro responsabilità; ma il vero nemico da sconfiggere sono i server e i data center (che entro il 2020 rappresenteranno il 45% delle emissioni del settore ICT).
Nonostante siano stati etichettati con il rasserenante nome di “cloud”, è importante ricordare che, nella realtà, non c’è nessuna nuvola; bensì giganteschi edifici, stracolmi di server, che richiedono enormi quantità di energia per salvare le foto scattate con l’iPhone, i documenti archiviati su Dropbox, i file che conserviamo su Drive (ma anche per processare le nostre richieste a Google o le nostre attività su Facebook).
Getty Images
Nel mondo, oggi, ci sono 8, 6 milioni di data center; alcuni dei quali occupano superfici da centinaia di migliaia di metri quadrati (consumando energia anche per tenere tutti i server sempre al fresco). Non va sottovalutato neanche l'impatto ambientale causato dal successo delle criptovalute: il “mining” dei bitcoin, per esempio, richiede la stessa energia necessaria a soddisfare il fabbisogno di una nazione come l’Irlanda (a breve raggiungerà i 42 terawatt/ora).
L’emergere della IoT potrebbe aumentare in maniera drammatica le emissioni di gas serra
Se non bastasse, la situazione è destinata a peggiorare con l’avvento, imminente, della internet of things: decine di miliardi di dispositivi connessi tra di loro e che inviano costantemente informazioni ai server che devono elaborarli. “Stiamo già assistendo alla diffusione di una miriade di dispositivi connessi; dai wearables fino agli oggetti domestici, e persino macchine, camion e aeroplani”, si legge nello studio. “Se questo trend dovesse continuare, possiamo solo immaginare quale sarà il carico aggiuntivo che questi dispositivi imporranno alle infrastrutture dei data center, senza contare il consumo energetico necessario alla loro produzione. L’emergere della IoT potrebbe aumentare in maniera drammatica le emissioni di gas serra”.
Che cosa si può fare allora? Per quanto riguarda le grandi aziende tecnologiche, è fondamentale che si convertano il prima possibile, e interamente, alle energie rinnovabili (come già hanno iniziato a fare). Come consumatori, invece, possiamo iniziare ad acquistare uno smartphone nuovo ogni tre anni invece che ogni due (o magari limitarci a sostituire la batteria).
ll telefono cellulare è ormai diventato per tutti uno strumento indispensabile o a cui non si riesce a rinunciare. La diffusione di tali apparecchi ha raggiunto livelli incredibili coinvolgendo persone di tutte le età (sempre più frequentemente anche i bambini), in tutto il mondo. Come tutte le innovazioni ha creato una divisione che oppone coloro che ne sono (più o meno) entusiasti utilizzatori a chi invece li ritiene dannosi per la salute a causa delle emissioni elettromagnetiche che generano. Per definire l''abbondante presenza nell''atmosfera di onde elettromagnetiche è stato coniato il termine elettrosmog, a sottolineare come lo si ritenga un vero e proprio inquinamento ambientale. Anni di studi non sono ancora riusciti a stabilire con certezza se i telefoni portatili siano alla base di alcune forma tumorali e quindi rappresentino in concreto un pericolo sia per chi li utilizza sia per tutti coloro che vivono immersi nelle emissioni elettromagnetiche. E'' invece certo che siano una delle maggiori fonti di inquinamento nel senso "classico" del termine. I materiali con cui ogni apparecchio viene costruito contengono sostanze altamente inquinanti e nocive per la salute. Partendo dall''esterno troviamo materie plastiche che se smaltite in inceneritori possono produrre diossina, poi ci sono i composti utilizzati per costruire i display a cristalli liquidi, metalli pesanti come il piombo che viene impiegato nella realizzazione dei circuiti stampati, bromuro che serve da isolante, berillio che trova impiego nella realizzazione dei contatti ed infine cadmio largamente presente nelle batterie soprattutto di apparecchi meno recenti. Tutte queste sostanze chimiche possono provocare serissimi danni al fisico come malattie del sistema immunitario, malattie endocrine e neuronali, problemi all''apparato respiratorio e al fegato, possono inquinare il terreno e le falde idriche o disperdersi nell''atmosfera. Il problema ed i rischi sono molto seri se tiene presente che ogni anno nel mondo vengono buttati via circa 230 milioni di telefonini, più di 100 milioni solo in Europa. Quasi tutti possiedono più di un cellulare ed il livello di funzioni che ogni apparecchio propone rappresenta una fonte di grande consumo per le batterie che vengono sfruttate e sostituite con frequenza. Inoltre i costi di riparazione, nella maggior parte dei casi superiori al prezzo di acquisto del telefono stesso inducono a disfarsi con facilità dell''apparecchio guasto e comprarne uno nuovo, producendo una quantità enorme di rifiuti. Va anche considerato che la maggior parte dei telefoni dismessi finisce nei paesi come Pakistan, India, Cina ed in molte nazioni africane dove vengono smontati e privati dei componenti riciclabili (come il nichel e il platino), senza rispettare alcuna precauzione per la salute e poi gettati in discariche prive di ogni controllo. Per cercare di controllare in qualche modo l''eliminazione di questi particolari rifiuti molte compagnie telefoniche hanno lanciato campagne di sensibilizzazione con l''obiettivo di raccogliere i cellulari inutilizzabili e smaltirli in sicurezza ed i produttori si sono impegnati a realizzare apparecchi il più possibile riciclabili.
(Giovanni Bosio)
Gli smartphone uccideranno la Terra, silenziosamente
di Emanuele Villa - 24/04/2018 15: 340
Secondo alcuni ricercatori Canadesi, l'impatto ambientale dei dispositivi elettronici sarà sempre più nocivo per il pianeta in cui viviamo. Smartphone sul banco degli imputati: inquina la produzione, vengono sostituiti troppo spesso e smaltiti male
Ogni anno i principali produttori di dispositivi elettronici si affrettano a pubblicare report di sostenibilità ambientale: palazzi alimentati da energie rinnovabili, flotte aziendali ibride/elettriche, modifiche ai processi produttivi, eliminazione di materie prime inquinanti, riduzione dei consumi del prodotto finito, packaging proveniente da materiali riciclati e via dicendo.
Tutto il sistema si riassume nel dato del carbon footprint, che rappresenta la stima delle emissioni di gas serra causate da un prodotto, un servizio o un'organizzazione con tutte le sue attività. Scopriamo così, andando a leggerci il rapporto Apple del 2017, che l'azienda è stata in grado di diminuire il proprio impatto ambientale complessivo portandolo a 27, 5 milioni di tonnellate da 29, 5 milioni dell'anno precedente.
Non occorre essere esperti sull'argomento per realizzare (vedi immagine sopra), che le emissioni di gas serra riguardano per la maggior parte il processo produttivo di un apparecchio, seguite dalla fase di utilizzo e dal trasporto, per terminare con la fase finale del ciclo vitale.
Ogni anno le aziende più grandi si impegnano a rispettare i parametri ambientali imposti dalle leggi, cui sommano un impegno etico a ridurre il più possibile l'impatto dei propri prodotti, inteso come produzione, uso e smaltimento dello stesso.
Se però ha ragione la ricerca dell'Università canadese McMaster pubblicata il mese scorso sul Journal of Cleaner Production, c'è poco da star sereni. Lo studio ha analizzato l'impatto ambientale di tutto il comparto ICT mondiale, ma in particolare quello degli smartphone, in quanto dispositivo tecnologico per eccellenza dell'ultimo decennio. Il fatto che se ne parli con insistenza negli ultimi tempi è indice di numeri in ascesa: nel 2007 il settore IT rappresentava l'1% del carbon footprint mondiale, ma nel 2040 arriverà al 14% andando a fare concorrenza col grande dominatore della scena, i trasporti.
Perchè prendersela con gli smartphone quando ci sono dispositivi ben più inquinanti come i server e i data center? Semplice: ce ne sono molti di più, il loro numero cresce di anno in anno, vengono sostituiti troppo rapidamente e smaltiti male. La ricerca stima infatti che, a livello globale, solo l'1% degli smartphone venga correttamente riciclato; il resto (complici le dimensioni compatte) finisce in qualche cassonetto o anche peggio.
Bisogna "tenerli" di più
Per arginare il problema, la prima soluzione consiste nel tenerli per più tempo prima di sostituirli: stimando un ciclo di vita di 2 anni, la produzione dello smartphone è responsabile di circa il 90% delle emissioni di CO2 causate dell'apparecchio. Entrano in gioco soprattutto l'estrazione di metalli rari, elementi chimici difficili da produrre e via dicendo, veri responsabili di un carbon footprint in costante ascesa: più i telefoni diventano grandi più "costa" produrli in termini ambientali (iPhone 7 Plus produce il 10% di CO2 in più rispetto al 6S), più diventano potenti più richiedono alimentazione e occupano risorse dei server cui sono connessi, aumentando le emissioni a livello esponenziale.
Soluzioni? Ovviamente i produttori devono impegnarsi sempre più a ridurre l'inquinamento legato al proprio processo produttivo e distributivo, cosa che in linea di massima stanno già facendo.
Un recente report di Greenpeace poneva Fairphone e Apple ai primi posti assoluti: della seconda si è già detto (qui il report del 2017), mentre la prima ha raggiunto i vertici della classifica proprio per la sua capacità di realizzare uno smartphone "anti inquinamento" azzerando il fattore dell'obsolescenza programmata e rendendolo facilissimo da riparare. Apple, dal canto suo, ha recentemente fatto entrare in servizio Daisy (vedi video), il robot tuttofare che si occupa dello smaltimento dei vecchi iPhone: ne gestisce 200 all'ora e recupera tutti i materiali e i componenti pregiati tra cui alluminio, oro, argento, tungsteno, rame e molti altri. Bene Dell, HP, Lenovo e Microsoft, leggermente dietro Google e LG, da migliorare Samsung, Amazon e Xiaomi, solo per citare i nomi più altisonanti.
Che poi la soluzione sarebbe anche abbastanza semplice: tenersi il più possibile il proprio smartphone, sostituendolo quando è necessario e affrontando il ciclo finale di vita in modo responsabile e sostenibile. Da questo punto di vista la possibilità di sostituire la batteria era un plus non da poco, ma ultimamente ben pochi dispositivi lo permettono.
I ricercatori hanno scoperto che le tecnologie attorno agli smartphone e ai data center potrebbero essere le più dannose per l’ambiente, in particolare con i telefoni smart che entro il 2020 saranno responsabili della produzione dell’85% del gas serra prodotto dalla categoria di elettronica. Lo rivela uno studio condotto da due professioni dell’Università canadese McMaster.
Smartphone vicino al letto rischio per la salute, colpa delle luci blu
Si apprende che i gas serra prodotti dagli smartphone provengono dal ciclo produttivo, soprattutto dal processo di estrazione dei metalli rari che i produttori sfruttano per realizzare i processori e le schede madri a bordo dei device. Senza contare che la batteria limitata induce gli utenti a cambiare spesso dispositivo, il che inquina ulteriormente l’ambiente. Spiegano i ricercatori che:
Per ogni messaggio di testo, ogni telefonata, ogni video c’è un data center che consuma molta energia e continua ad essere alimentato da elettricità generata dai combustibili fossili. L’industria tecnologica entro il 2040 sarà responsabile del 14% dei gas serra totali.
Sono Margarita Vecchiarelli e ho deciso di inviarvi questi articoli (spero veri) con il fine di sensibilizzare la signorina Greta… e vedere se contestando certe realtà adottate dai giovanissimi riesce a portare in piazza milioni di ragazzi per salvare il pianeta non sapendo fare a meno di cellulari e tablet.
Cordiali saluti
Da: Margarita Vecchiarelli
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