Il peccato originale della monarchia italiana: Il re sabaudo, fatta l’Italia, poteva fare gli italiani...
Messaggio per Corrado Augias
Martedì 6 aprile 2021 09:41:44
...senza fare una classe nobiliare italiana?
Caro Augias,
Complimenti per le scelte che fa per noi nelle sue “Città Segrete”. In particolare, su Palermo, mi ha colpito il contrasto fra il patrimonio di bellezza e cultura che era affidato alla classe nobiliare e la sostanziale inefficacia di quest’ultima per il Paese. Contraddizione colta con lucidità, nostalgia e cinismo da Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” e ripresa da Luchino Visconti. Guarda caso, entrambi nobili…
Da qui, sono riandato alla nascita del Regno d’Italia e mi sono domandato se la monarchia sabauda, fatta l’Italia, non avrebbe potuto e dovuto fare gli italiani anche unificando la classe nobiliare. Il mio sospetto è che la monarchia non fece abbastanza per snidare i gattopardi e avvalersi di chi portava le glorie e le ambizioni di parti del Paese messe assieme tanto rapidamente, tutte (Venezia a parte) di costituzione monarchica o nobiliare.
Anche se si è convintamente repubblicani (lei, conoscendo i suoi valori laici, non può che esserlo, e anche io lo sono) è lecito chiedersi che cosa ha permesso e ancora permette ad alcune monarchie europee di funzionare in modo efficace.
In ogni caso, una struttura dinastica solida è quanto sarebbe servito all’Italia in quel momento storico. Temo inoltre che la sua mancanza sia stata il “peccato originale” causa di gravi sciagure: due guerre mondiali, nel mezzo la dittatura fascista, il decadimento del Meridione, i vuoti di potere occupati dalla mafia, il perdurante trasformismo politico, il disordine amministrativo e la sfiducia nelle istituzioni che ci caratterizzano.
Non era facile, anche perché noi di nobiltà ne avevamo troppe, relitti di imperi, regni, occupazioni succedutisi in oltre un millennio. I Savoia, quindi, non potevano contare su una rappresentanza nobiliare di singole contee o Länder (guardiamo ancora a Palermo, popolata di nobili da normanni a spagnoli). Ma ci si poteva inventare qualcosa, tipo una camera dei “Lord”, dove sedesse per cooptazione o suffragio il meglio della nobiltà con l’onere e l’onore di portare al nuovo Regno quanto di meglio c’era e c’è nelle singole regioni e culture.
Il mio tragico sospetto, invece, è che i Savoia non vollero coinvolgersi. Preferirono contare sulla burocrazia piemontese (che dovette inevitabilmente integrarsi con quella borbonica). Trovarono più tranquillizzante l’appoggio borghese, fino a sperare che il Regno fosse salvato da un dittatore ex-socialista e borghese come Mussolini.
Proprio non capisco. Se un re crede di essere legittimato perché valore e capacità verrebbero dal “sangue”, come può non concepirsi come il vertice di una piramide nobiliare con le medesime caratteristiche? E quando la base della piramide si allarga, deve immediatamente porsi il problema di collegare saldamente i livelli intermedi della nobiltà. Altrimenti, fa il gioco di chi vuole solo conservare i privilegi e non i doveri, lasciando che “tutto cambi, perché nulla cambi”. Sarà poi la storia a dimostrare che tutto cambia comunque, magari attraverso passaggi nefasti.
Un suo grande ammiratore,
Giuseppe Baselli
Caro Augias,
Complimenti per le scelte che fa per noi nelle sue “Città Segrete”. In particolare, su Palermo, mi ha colpito il contrasto fra il patrimonio di bellezza e cultura che era affidato alla classe nobiliare e la sostanziale inefficacia di quest’ultima per il Paese. Contraddizione colta con lucidità, nostalgia e cinismo da Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” e ripresa da Luchino Visconti. Guarda caso, entrambi nobili…
Da qui, sono riandato alla nascita del Regno d’Italia e mi sono domandato se la monarchia sabauda, fatta l’Italia, non avrebbe potuto e dovuto fare gli italiani anche unificando la classe nobiliare. Il mio sospetto è che la monarchia non fece abbastanza per snidare i gattopardi e avvalersi di chi portava le glorie e le ambizioni di parti del Paese messe assieme tanto rapidamente, tutte (Venezia a parte) di costituzione monarchica o nobiliare.
Anche se si è convintamente repubblicani (lei, conoscendo i suoi valori laici, non può che esserlo, e anche io lo sono) è lecito chiedersi che cosa ha permesso e ancora permette ad alcune monarchie europee di funzionare in modo efficace.
In ogni caso, una struttura dinastica solida è quanto sarebbe servito all’Italia in quel momento storico. Temo inoltre che la sua mancanza sia stata il “peccato originale” causa di gravi sciagure: due guerre mondiali, nel mezzo la dittatura fascista, il decadimento del Meridione, i vuoti di potere occupati dalla mafia, il perdurante trasformismo politico, il disordine amministrativo e la sfiducia nelle istituzioni che ci caratterizzano.
Non era facile, anche perché noi di nobiltà ne avevamo troppe, relitti di imperi, regni, occupazioni succedutisi in oltre un millennio. I Savoia, quindi, non potevano contare su una rappresentanza nobiliare di singole contee o Länder (guardiamo ancora a Palermo, popolata di nobili da normanni a spagnoli). Ma ci si poteva inventare qualcosa, tipo una camera dei “Lord”, dove sedesse per cooptazione o suffragio il meglio della nobiltà con l’onere e l’onore di portare al nuovo Regno quanto di meglio c’era e c’è nelle singole regioni e culture.
Il mio tragico sospetto, invece, è che i Savoia non vollero coinvolgersi. Preferirono contare sulla burocrazia piemontese (che dovette inevitabilmente integrarsi con quella borbonica). Trovarono più tranquillizzante l’appoggio borghese, fino a sperare che il Regno fosse salvato da un dittatore ex-socialista e borghese come Mussolini.
Proprio non capisco. Se un re crede di essere legittimato perché valore e capacità verrebbero dal “sangue”, come può non concepirsi come il vertice di una piramide nobiliare con le medesime caratteristiche? E quando la base della piramide si allarga, deve immediatamente porsi il problema di collegare saldamente i livelli intermedi della nobiltà. Altrimenti, fa il gioco di chi vuole solo conservare i privilegi e non i doveri, lasciando che “tutto cambi, perché nulla cambi”. Sarà poi la storia a dimostrare che tutto cambia comunque, magari attraverso passaggi nefasti.
Un suo grande ammiratore,
Giuseppe Baselli
Da: Giuseppe Baselli
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