Libro: Le cose che non ci diciamo
Messaggio per Ferruccio De Bortoli
Giovedì 4 febbraio 2021 17:50:19
Buona sera Dott. De Bortoli. Ho letto il suo libro "Le cose che non ci diciamo" di un fiato ma arrivato al capitolo 11, "La ferita aperta e i troppi silenzi Milanesi", qualcosa non girava. Quello che leggevo e quello che provavo, da Milanese, mal si conciliavano. Oggi, Milan l'è un gran Milan, è uno slogan che non sento più mio e questa città, questo paese, non sono più quelli di una volta dove, come giustamente ricorda lei, ogni abitazione era una piccola impresa. Nell'immediato dopo guerra, e poi fino agli anni 80, per aprire una attività era sufficiente acquistare una borsa degli attrezzi e proporsi al mercato. Oggi solo per pensare all'impresa devi ottemperare a tante e tali procedure burocratiche, spesso senza senso, che, di fatto, frenano la libera iniziativa imprenditoriale. Sono un imprenditore formatosi nella Milano degli anni 80. Ogni mattina mi alzavo con gioia e mi recavo nella mia fabbrichetta oggi, dopo 40 anni, ogni mattina è una lotta. Fatico non poco per trovare la forza di volontà necessaria per uscire dal mio letto e questo solo perché son certo, in azienda, mi attenderanno mille e mille problemi burocratici che mi distoglieranno dal mio lavoro. Potrei raccontarle giornate di lavoro da far accapponare la pelle. Ore e ore spese su siti di questo o di quel ministero senza riuscire a venire a capo di nulla. Giornate interminabili spese a cercare risposte dalla PA. Ispezioni condotte dai vari organi di sorveglianza e controllo che dopo giorni e giorni di sopralluogo terminano in niente. Ore spese al computer per convincere un funzionario di turno che la merce sottoposta a verifica non è pericolosa e che ho i clienti fuori dalla porta che aspettano il materiale che lui sta trattenendo. Potrei andare avanti per pagine e pagine ma non voglio annoiarla. Credo, anzi son certo, che se non torneremo a credere nel lavoro e a promuovere la libera iniziativa adottando, finalmente, quelle semplificazioni che ormai da anni chiediamo, da questo disastro sanitario non ci alzeremo più perché, come racconta Lei, "Ne farem su un alter" oggi non funziona. Non voglio entrare nel merito di come è stata gestita l'emergenza sanitaria di cui Lei parla ampiamente nel suo libro, ma mi lasci dire che i nostri nonni andavano a scuola e al lavoro anche quando cadevano le bombe e per quelle le mascherine e il gel non bastavano. Noi, che ci perdonino, abbiamo buttato via l'economia di una nazione solo perché non abbiamo più il coraggio di accettare l'idea che, prima o poi, si possa/debba morire (soprattutto se si hanno più di 80 anni). Manco fosse una novità di cui eravamo all'oscuro. Perfino ai tempi della peste del Manzoni la gente lavorava e la mortalità era ben oltre il 2%. Ovviamente questo è, condivisibile o meno, solo il mio punto di vista. Comunque sia, grazie dell'attenzione e ancora complimenti per il libro.
Da: Cappelletti Gianluigi
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