Lo smemorato di Collegno
Messaggio per Paolo Mieli
Venerdì 5 febbraio 2021 13:47:08
Dott. Paolo Mieli,
ho seguito con interesse ieri il racconto sullo Smemorato di Collegno. Conosco bene il libro della Roscioni, un bellissimo libro, approfondito, documentato. Ma la Lisa Roscioni che ho visto e ascoltato non mi è sembrata la scrittrice che nell’introduzione dice: “Scopo di questo libro non è quello di stabilire chi fosse veramente lo smemorato…perché egli è e rimane un personaggio delle cronache”. E il libro, in verità, anche se la scia alla fine con l’impressione che egli fosse Bruneri, riporta tutta una serie di documentazioni e ragionamenti per cui potrebbe essere benissimo il prof Giulio Canella.
La storia dello smemorato nasce fin dall’inizio con punti oscuri irrisolti. Il primo è che al momento dell’arresto dell’uomo che rubava vasi di rame al cimitero, la questura compila non un verbale ma due, con protocolli diversi e contenuto diverso. In uno descrive il ladro di vasi e nell’altro un uomo che compiva gesti pazzeschi in strada. La spiegazione che un anno dopo la polizia dà ai Giudici è banale stupisce lo stesso Sciascia per cui egli stesso dice si fa presumere che gli arrestati quel giorno fossero due.
Il fatto è che l’uomo che viene poi condotto in manicomio di Collegno è accompagnato dal verbale che dice semplicemente che commetteva atti pazzeschi in pubblico. Il primo enigma che non viene affrontato è: chi era l’uomo che venne ricoverato al manicomio col n. 44170? Ci sono due fotografie: quella scattata in Questura e quella eseguita dal dottor Ferrio che riproducono due persone completamente diverse. La cosa rimane senza risposta e tutti Giudici, seguiti dai giornali, uniformati dalla censur, vanno avanti come se nulla fosse. D’altronde dopo il comunicato dell’Agenzia Stefani (del regime) qualcuno poteva dire diversamente?
Anche lei, Dott. Mieli, ha dato molta importanza alle impronte digitali. Le riporto ciò che ho scritto nel mio libro “Lo Smemorato di Collegno un caso oltre il tempo”, con la nota di conferma del libro della francese Dal Bon
“Si parlò molto delle impronte digitali. Quelle del reduce vagabondo che commetteva atti pazzeschi in piazza Carlo Alberto a Torino erano state rilevate il 10 marzo 1926. L’ufficio centrale delle identificazioni di Roma aveva risposto che non corrispondevano a nessun soggetto ricercato o schedato dalla polizia. Solo dopo l’episodio della lettera anonima si procedette a un nuovo rilevamento. Misteriosamente la scuola di polizia scientifica di Roma decretò allora che le impronte corrispondevano a quelle di Mario Bruneri prese durante tre arresti tra il 1920 e il 1922.
Il comunicato recava la firma del dottor Sorrentino, direttore della scuola di polizia scientifica, il quale fu anche incaricato per la perizia dal Tribunale. In realtà quelle impronte erano delle grosse macchie nere illeggibili. Si trattava di alcune dita di una mano destra, senza numero di identificazione, senza nome, senza firma, perfino senza data.
“Inoltre mentre il dottor Sorrentino assicurava che le impronte digitali di Mario Bruneri erano state prese dai registri delle matricole delle prigioni di Torino del 21 gennaio e del 29 luglio 1920 (non risulta invece traccia di un Mario Bruneri imprigionato), il Tribunale civile di Torino sosteneva che provenivano da un’indagine effettuata il 19 luglio 1921”.
(NOTA Christine Dal Bon, L’uomo di nessun colore, cit. pag. 80. Le impronte digitali sono delle macchie illeggibili: vedi queste contraddizioni nella perizia di Coppola, pp. 1086-1087 e nella controperizia di Perrando e Pellegrini, pp. 97-127, 110-130. Le date del dottor Sorrentino non coincidono in quanto si può legittimamente dubitare delle incarcerazioni e degli arresti. La sentenza nella causa civile n. 3223, 5 novembre 1928, conferma così il dubbio: “Le impronte di Mario Bruneri, sulle quali si esercitò la indagine peritale, non risultano da un cartellino segnaletico (sic, ndr) iniziale di un ufficio di p. s. ” pp. 125-126.
Dall’inchiesta condotta da Francesco Canella nella prigione di Torino risulta che Mario Bruneri non è mai stato imprigionato. Lo affermano anche i periti G. Perrando e R. Pellegrini: “Nel Casellario centrale non esistono le impronte del Bruneri, nonostante si tratti di un pregiudicato; che non risulta che la Questura e le Carceri Giudiziarie si siano curate di redigere gli apposti cartellini segnaletici (sic, ndr) e quelli dattiloscopici…”.)
Com’era possibile che Mario Bruneri, latitante, senza passare da un ufficio di Pubblica Sicurezza, si fosse gentilmente presentato in prigione per deporvi le impronte digitali e poi congedarsi, senza lasciarvi traccia o almeno una fotografia?
Se davvero Mario Bruneri fosse stato arrestato più volte, come spiegare l’assenza di foto nella cartella segnaletica, accanto alle impronte, come prevedeva la procedura usuale? L’unica foto esistente fu recuperata all’epoca dalla famiglia Canella presso la Federazione del Libro di Torino.
L’altra foto, l’unica ufficiale, si trova in questura: è quella del trafugatore di tombe, datata 10 marzo 1926, n. 15. 680.
Si può, inoltre, intravedere la semiconfessione di un inganno quando le perizie e le sentenze indicano che un esemplare delle impronte fu scartato perché poco leggibile, quindi “inadatto all’esame”.
Testimone chiave di tutti i processi fu Padre Agostino Gemelli che persuase i familiari del Bruneri a costituirsi in giudizio contro la prima sentenza, non solo ma gli procurò il miglior avvocato del Vaticano. Non crede che sia il tempo di togliere questo frate dal trono dello scienziato famoso, elevato all’onore della nazione, del quale ogni parola era ritenuta e sbandierata come verità indiscutibile? Gemelli si macchiò di una delle infamie più grandi del ventennio fascista, sostenendo le leggi razziali e adoperandosi per l’adesione della Chiesa alla politica antisemitica del regime. Nella vicenda dello Smemorato (al quale aveva di fatto sottratto la Rivista di Filosofia neoscolastica di cui il Canella era stato ideatore e cofondatore col Gemelli), come in altre, approfittò della sua posizione, agendo con arrogante superbia e malafede, inspiegabili per un frate dotato di grande intelligenza e scienza, in grado di comprendere i danni e il dolore che andava provocando. Sia il Gemelli che l’amico Dalla Torre furono invitati dal futuro papa Pacelli a non occuparsi più del caso dello smemorato, per l’acredine con cui scrivevano del caso sull’Osservatore Romano”.
Anche altre cose non affrontate con sufficiente chiarezza sono emerse nella trasmissione. Un DNA ad uso televisivo, che se è vero disattendeva le attese del nipote Julio Canella, (329 -------) architetto che vive a Verona, aveva anche elementi positivi. Inoltre è vero che i Canella spesero per il processo le risorse della famiglia (il padre vendette anche una sontuosissima e grande villa a Rio), ma le tenute in Brasile assicuravano comunque un futuro dignitoso.
Concludo col dirle che la Roscioni che io stimo molto per i suoi libri, mi ha stupito per essere diventata una donna di parte, proprio come dice Cesare Musatti sull’inattendibilità dei testimoni, che dicono sempre ciò che uno si aspetta da loro.
Con profonda stima e ammirazione per il suo lavoro che seguo con interesse, Accolga i miei saluti
Luciano Sartori
339-------
ho seguito con interesse ieri il racconto sullo Smemorato di Collegno. Conosco bene il libro della Roscioni, un bellissimo libro, approfondito, documentato. Ma la Lisa Roscioni che ho visto e ascoltato non mi è sembrata la scrittrice che nell’introduzione dice: “Scopo di questo libro non è quello di stabilire chi fosse veramente lo smemorato…perché egli è e rimane un personaggio delle cronache”. E il libro, in verità, anche se la scia alla fine con l’impressione che egli fosse Bruneri, riporta tutta una serie di documentazioni e ragionamenti per cui potrebbe essere benissimo il prof Giulio Canella.
La storia dello smemorato nasce fin dall’inizio con punti oscuri irrisolti. Il primo è che al momento dell’arresto dell’uomo che rubava vasi di rame al cimitero, la questura compila non un verbale ma due, con protocolli diversi e contenuto diverso. In uno descrive il ladro di vasi e nell’altro un uomo che compiva gesti pazzeschi in strada. La spiegazione che un anno dopo la polizia dà ai Giudici è banale stupisce lo stesso Sciascia per cui egli stesso dice si fa presumere che gli arrestati quel giorno fossero due.
Il fatto è che l’uomo che viene poi condotto in manicomio di Collegno è accompagnato dal verbale che dice semplicemente che commetteva atti pazzeschi in pubblico. Il primo enigma che non viene affrontato è: chi era l’uomo che venne ricoverato al manicomio col n. 44170? Ci sono due fotografie: quella scattata in Questura e quella eseguita dal dottor Ferrio che riproducono due persone completamente diverse. La cosa rimane senza risposta e tutti Giudici, seguiti dai giornali, uniformati dalla censur, vanno avanti come se nulla fosse. D’altronde dopo il comunicato dell’Agenzia Stefani (del regime) qualcuno poteva dire diversamente?
Anche lei, Dott. Mieli, ha dato molta importanza alle impronte digitali. Le riporto ciò che ho scritto nel mio libro “Lo Smemorato di Collegno un caso oltre il tempo”, con la nota di conferma del libro della francese Dal Bon
“Si parlò molto delle impronte digitali. Quelle del reduce vagabondo che commetteva atti pazzeschi in piazza Carlo Alberto a Torino erano state rilevate il 10 marzo 1926. L’ufficio centrale delle identificazioni di Roma aveva risposto che non corrispondevano a nessun soggetto ricercato o schedato dalla polizia. Solo dopo l’episodio della lettera anonima si procedette a un nuovo rilevamento. Misteriosamente la scuola di polizia scientifica di Roma decretò allora che le impronte corrispondevano a quelle di Mario Bruneri prese durante tre arresti tra il 1920 e il 1922.
Il comunicato recava la firma del dottor Sorrentino, direttore della scuola di polizia scientifica, il quale fu anche incaricato per la perizia dal Tribunale. In realtà quelle impronte erano delle grosse macchie nere illeggibili. Si trattava di alcune dita di una mano destra, senza numero di identificazione, senza nome, senza firma, perfino senza data.
“Inoltre mentre il dottor Sorrentino assicurava che le impronte digitali di Mario Bruneri erano state prese dai registri delle matricole delle prigioni di Torino del 21 gennaio e del 29 luglio 1920 (non risulta invece traccia di un Mario Bruneri imprigionato), il Tribunale civile di Torino sosteneva che provenivano da un’indagine effettuata il 19 luglio 1921”.
(NOTA Christine Dal Bon, L’uomo di nessun colore, cit. pag. 80. Le impronte digitali sono delle macchie illeggibili: vedi queste contraddizioni nella perizia di Coppola, pp. 1086-1087 e nella controperizia di Perrando e Pellegrini, pp. 97-127, 110-130. Le date del dottor Sorrentino non coincidono in quanto si può legittimamente dubitare delle incarcerazioni e degli arresti. La sentenza nella causa civile n. 3223, 5 novembre 1928, conferma così il dubbio: “Le impronte di Mario Bruneri, sulle quali si esercitò la indagine peritale, non risultano da un cartellino segnaletico (sic, ndr) iniziale di un ufficio di p. s. ” pp. 125-126.
Dall’inchiesta condotta da Francesco Canella nella prigione di Torino risulta che Mario Bruneri non è mai stato imprigionato. Lo affermano anche i periti G. Perrando e R. Pellegrini: “Nel Casellario centrale non esistono le impronte del Bruneri, nonostante si tratti di un pregiudicato; che non risulta che la Questura e le Carceri Giudiziarie si siano curate di redigere gli apposti cartellini segnaletici (sic, ndr) e quelli dattiloscopici…”.)
Com’era possibile che Mario Bruneri, latitante, senza passare da un ufficio di Pubblica Sicurezza, si fosse gentilmente presentato in prigione per deporvi le impronte digitali e poi congedarsi, senza lasciarvi traccia o almeno una fotografia?
Se davvero Mario Bruneri fosse stato arrestato più volte, come spiegare l’assenza di foto nella cartella segnaletica, accanto alle impronte, come prevedeva la procedura usuale? L’unica foto esistente fu recuperata all’epoca dalla famiglia Canella presso la Federazione del Libro di Torino.
L’altra foto, l’unica ufficiale, si trova in questura: è quella del trafugatore di tombe, datata 10 marzo 1926, n. 15. 680.
Si può, inoltre, intravedere la semiconfessione di un inganno quando le perizie e le sentenze indicano che un esemplare delle impronte fu scartato perché poco leggibile, quindi “inadatto all’esame”.
Testimone chiave di tutti i processi fu Padre Agostino Gemelli che persuase i familiari del Bruneri a costituirsi in giudizio contro la prima sentenza, non solo ma gli procurò il miglior avvocato del Vaticano. Non crede che sia il tempo di togliere questo frate dal trono dello scienziato famoso, elevato all’onore della nazione, del quale ogni parola era ritenuta e sbandierata come verità indiscutibile? Gemelli si macchiò di una delle infamie più grandi del ventennio fascista, sostenendo le leggi razziali e adoperandosi per l’adesione della Chiesa alla politica antisemitica del regime. Nella vicenda dello Smemorato (al quale aveva di fatto sottratto la Rivista di Filosofia neoscolastica di cui il Canella era stato ideatore e cofondatore col Gemelli), come in altre, approfittò della sua posizione, agendo con arrogante superbia e malafede, inspiegabili per un frate dotato di grande intelligenza e scienza, in grado di comprendere i danni e il dolore che andava provocando. Sia il Gemelli che l’amico Dalla Torre furono invitati dal futuro papa Pacelli a non occuparsi più del caso dello smemorato, per l’acredine con cui scrivevano del caso sull’Osservatore Romano”.
Anche altre cose non affrontate con sufficiente chiarezza sono emerse nella trasmissione. Un DNA ad uso televisivo, che se è vero disattendeva le attese del nipote Julio Canella, (329 -------) architetto che vive a Verona, aveva anche elementi positivi. Inoltre è vero che i Canella spesero per il processo le risorse della famiglia (il padre vendette anche una sontuosissima e grande villa a Rio), ma le tenute in Brasile assicuravano comunque un futuro dignitoso.
Concludo col dirle che la Roscioni che io stimo molto per i suoi libri, mi ha stupito per essere diventata una donna di parte, proprio come dice Cesare Musatti sull’inattendibilità dei testimoni, che dicono sempre ciò che uno si aspetta da loro.
Con profonda stima e ammirazione per il suo lavoro che seguo con interesse, Accolga i miei saluti
Luciano Sartori
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Da: Luciano Sartori
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