Segnalazione/proposta situazione ospedaliera
Messaggio per Massimo Gramellini
Domenica 14 marzo 2021 16:36:54
Ho deciso di portare l’attenzione e divulgare l’esperienza personale che ha coinvolto mio padre e noi famigliari presso l’Ospedale di Rimini, per almeno due motivi: il primo perché il mio dolore si mescola alla rabbia per l’accaduto; il secondo perché come psicologa, sono testimone ormai da mesi di tante storie da parte dei miei clienti che hanno il sapore della stessa mia frustrazione e impotenza.
Che esista una pandemia, ormai penso sia assodato, ma che dopo un anno ci si trinceri dietro questa per nascondere le difficoltà già preesistenti a livello sanitario, questa è un’altra storia..
Rimanere dodici ore fuori da un Pronto Soccorso prima che un Medico ci aggiorni come famigliari di ciò che sta accadendo a mio padre, lasciare i numeri di cellulare senza essere richiamati, sentirsi rispondere da una infermiera che dobbiamo “incrociare le dita” per sperare di essere richiamati dal Dottore, non essere contattati nemmeno per un raccordo anamnestico, ecco, questa è un’altra storia..
In tutta questa disorganizzazione ospedaliera, in cui occorre sperare di incontrare quel sanitario che, per propria caratteristica personale è mosso da una spinta empatica, ti guarda e prova a trovare una strategia, perché capisce la difficoltà che stai vivendo, si aggiunge la più grande crudeltà di questo periodo storico: il non poter restare accanto al proprio famigliare, perché “la procedura è questa”.. e allora mi viene in mente, forse si risentirà qualche sanitario, ma sento che mi capirà quello che non si barrica dietro frasi fatte, la “Banalità del male” col suo male burocratico, o il processo di Norimberga post guerra, in cui candidamente i Generali rispondevano “ abbiamo obbedito agli ordini”.. sembrerà esagerato, ma vi assicuro che non lo è…
Ora, mio padre non ce l’ha fatta, se n’è andato da solo, proprio quello che temeva maggiormente e che gli faceva ripetere spesso di non portarlo in ospedale, perché lì sarebbe rimasto abbandonato.. le “regole”, quelle che superano il buon senso e l’umanità non ci hanno permesso di restare con lui. Quello che a noi premeva di più era stare vicini, almeno negli ultimi suoi istanti di vita.. sarebbe servito a Lui perché avrebbe trovato qualcuno che lo rassicurasse, qualcuno intimo che gli bagnasse le labbra arse dall’ossigeno della mascherina, qualcuno che lo guardasse come solo una figlia o una moglie può fare, qualcuno che gli tenesse la mano, perché noi siamo fatti di sensi e abbiamo bisogno di questo momento anche per elaborare un dolore così grande..
Sarebbe servito a noi famigliari, come anche ai miei clienti, scambiarsi le ultime parole che spesso si trattengono per pudore, sarebbe servito per darci quelle carezze che avrebbero lenito il grande dispiacere.
L’intenzione nello scrivere tutto questo è quello di ripristinare un diritto dell’ammalato ed un atto di umanità nella cura del paziente: occorrono corsi di formazione specifici per i sanitari e supervisioni costanti, perché alcune risposte non sono accettabili e non possono essere relegate al buon senso di alcuni operatori. Occorrono procedure che vadano oltre alcuni gesti sporadici e umani di alcuni infermieri, i quali trasgredendo alle “regole” lasciano il numero del loro cellulare per aggiornare i parenti sulle condizioni cliniche dei pazienti. Occorre una procedura standard che vada oltre il buon senso di una infermiera, la quale si assume una “responsabilità” e ti lascia entrare in una stanzina per vedere 10 minuti tuo padre.. Occorre prevedere uno sportello h 24 gestito da infermieri, in cui in tempo reale vengano comunicate tempestivamente le condizioni cliniche del proprio famigliare. Occorre sapere prevedere spazi e tempo in cui il famigliare possa restare accanto all’ammalato, perché questi momenti fanno parte della cura stessa e sono imprescindibili all’assistenza.
Non occorre essere illuminati per dirci che se il famigliare è reso alleato dal sanitario, oltre al dolore e all’ansia che già deve tollerare, non dovrà provare anche la rabbia nel non essere reso partecipe di ciò che sta accadendo..
Occorre ribadire anche che nella Deontologia del sanitario, il sapere comunicare certe notizie fa parte del Codice stesso, non è un optional.
Allora se il Covid ha solamente evidenziato carenze già esistenti, occorre che la Comunità, il Tribunale Diritti del Malato, gli Ordini stessi, da quello dei Medici a quello degli Psicologi al Collegio degli Infermieri, si attivino cominciando ad attuare un cambiamento, perché ho l’impressione che questa situazione permarrà oltre la pandemia..
La speranza è che si inizi a prestare veramente attenzione a ciò che sta accadendo all’interno degli Ospedali; occorre fornire agli operatori più strumenti e un maggiore controllo, affinchè sappiano gestire situazioni con questa criticità; una formazione specifica per sapere sostenere i famigliari ed i pazienti stessi, per sapere comunicare le notizie in una modalità sana; la sfida è quella di non ritrovare più operatori desensibilizzati ma persone che riescono ancora a soffermare il loro sguardo sui pazienti e i loro famigliari, capendo che paziente e famigliare sono un tutt’uno: prendersi cura dell’ammalato significa farlo anche con il famigliare ed entrambi hanno il diritto di stare vicini, Covid o non Covid.
Che esista una pandemia, ormai penso sia assodato, ma che dopo un anno ci si trinceri dietro questa per nascondere le difficoltà già preesistenti a livello sanitario, questa è un’altra storia..
Rimanere dodici ore fuori da un Pronto Soccorso prima che un Medico ci aggiorni come famigliari di ciò che sta accadendo a mio padre, lasciare i numeri di cellulare senza essere richiamati, sentirsi rispondere da una infermiera che dobbiamo “incrociare le dita” per sperare di essere richiamati dal Dottore, non essere contattati nemmeno per un raccordo anamnestico, ecco, questa è un’altra storia..
In tutta questa disorganizzazione ospedaliera, in cui occorre sperare di incontrare quel sanitario che, per propria caratteristica personale è mosso da una spinta empatica, ti guarda e prova a trovare una strategia, perché capisce la difficoltà che stai vivendo, si aggiunge la più grande crudeltà di questo periodo storico: il non poter restare accanto al proprio famigliare, perché “la procedura è questa”.. e allora mi viene in mente, forse si risentirà qualche sanitario, ma sento che mi capirà quello che non si barrica dietro frasi fatte, la “Banalità del male” col suo male burocratico, o il processo di Norimberga post guerra, in cui candidamente i Generali rispondevano “ abbiamo obbedito agli ordini”.. sembrerà esagerato, ma vi assicuro che non lo è…
Ora, mio padre non ce l’ha fatta, se n’è andato da solo, proprio quello che temeva maggiormente e che gli faceva ripetere spesso di non portarlo in ospedale, perché lì sarebbe rimasto abbandonato.. le “regole”, quelle che superano il buon senso e l’umanità non ci hanno permesso di restare con lui. Quello che a noi premeva di più era stare vicini, almeno negli ultimi suoi istanti di vita.. sarebbe servito a Lui perché avrebbe trovato qualcuno che lo rassicurasse, qualcuno intimo che gli bagnasse le labbra arse dall’ossigeno della mascherina, qualcuno che lo guardasse come solo una figlia o una moglie può fare, qualcuno che gli tenesse la mano, perché noi siamo fatti di sensi e abbiamo bisogno di questo momento anche per elaborare un dolore così grande..
Sarebbe servito a noi famigliari, come anche ai miei clienti, scambiarsi le ultime parole che spesso si trattengono per pudore, sarebbe servito per darci quelle carezze che avrebbero lenito il grande dispiacere.
L’intenzione nello scrivere tutto questo è quello di ripristinare un diritto dell’ammalato ed un atto di umanità nella cura del paziente: occorrono corsi di formazione specifici per i sanitari e supervisioni costanti, perché alcune risposte non sono accettabili e non possono essere relegate al buon senso di alcuni operatori. Occorrono procedure che vadano oltre alcuni gesti sporadici e umani di alcuni infermieri, i quali trasgredendo alle “regole” lasciano il numero del loro cellulare per aggiornare i parenti sulle condizioni cliniche dei pazienti. Occorre una procedura standard che vada oltre il buon senso di una infermiera, la quale si assume una “responsabilità” e ti lascia entrare in una stanzina per vedere 10 minuti tuo padre.. Occorre prevedere uno sportello h 24 gestito da infermieri, in cui in tempo reale vengano comunicate tempestivamente le condizioni cliniche del proprio famigliare. Occorre sapere prevedere spazi e tempo in cui il famigliare possa restare accanto all’ammalato, perché questi momenti fanno parte della cura stessa e sono imprescindibili all’assistenza.
Non occorre essere illuminati per dirci che se il famigliare è reso alleato dal sanitario, oltre al dolore e all’ansia che già deve tollerare, non dovrà provare anche la rabbia nel non essere reso partecipe di ciò che sta accadendo..
Occorre ribadire anche che nella Deontologia del sanitario, il sapere comunicare certe notizie fa parte del Codice stesso, non è un optional.
Allora se il Covid ha solamente evidenziato carenze già esistenti, occorre che la Comunità, il Tribunale Diritti del Malato, gli Ordini stessi, da quello dei Medici a quello degli Psicologi al Collegio degli Infermieri, si attivino cominciando ad attuare un cambiamento, perché ho l’impressione che questa situazione permarrà oltre la pandemia..
La speranza è che si inizi a prestare veramente attenzione a ciò che sta accadendo all’interno degli Ospedali; occorre fornire agli operatori più strumenti e un maggiore controllo, affinchè sappiano gestire situazioni con questa criticità; una formazione specifica per sapere sostenere i famigliari ed i pazienti stessi, per sapere comunicare le notizie in una modalità sana; la sfida è quella di non ritrovare più operatori desensibilizzati ma persone che riescono ancora a soffermare il loro sguardo sui pazienti e i loro famigliari, capendo che paziente e famigliare sono un tutt’uno: prendersi cura dell’ammalato significa farlo anche con il famigliare ed entrambi hanno il diritto di stare vicini, Covid o non Covid.
Da: Claudia Bertozzini
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