Ospiti delle RSA: pietà, misericordia e compassione
Messaggio per Massimo Gramellini
Martedì 27 aprile 2021 08:45:39
Mia mamma, 97 anni, risiede dal 2019 in una RSA di un piccolo comune della provincia di Brescia. Come tutti sappiamo è dall’8 marzo 2020 che queste strutture sono blindate e che gli “ospiti “ non hanno contatti umani.
Il 13 aprile, a me e ai miei fratelli, è stato concesso di incontrarla, singolarmente, per un totale di 20 minuti.
L’incontro avviene all’ingresso di una chiesa: 2metri x 2 di spazio chiuso da una lastra in plexiglas provvista di due manicotti in cellophane spesso. Ho circa 7 minuti, provo la febbre, igienizzo le mani, infilo i guanti e un altro manicotto.
Infilo finalmente il braccio ma non riesco a prenderle la mano perché la sedia a rotelle sulla quale siede la tiene lontana dalla barriera in plexiglas. L’operatrice che l’accompagna cerca di sistemarla leggermente di profilo e così riusciamo a toccarci. Riesco a sentire il calore della sua mano e la sua presa così forte e desiderosa di contatto. Le sue dita mi stringono, mi accarezzano e cercano qualcosa di più ma non ci arrivano. Io ho il pianto negli occhi e nel cuore, un groppo mi chiude la gola; lei un sorriso triste e incredulo ma continua a perlustrare con le sue dita ogni centimetro possibile della mia mano come se dovesse fare scorta di qualcosa di vitale. 7 minuti, il tempo è scaduto. La saluto, mi guarda smarrita; le dico che ora potrà toccare anche i miei fratelli. Il groppo in gola è sempre lì e quando se ne va subentra la rabbia e l’indignazione per ciò che sta accadendo a tutti gli anziani ospiti di queste strutture.
Mi chiedo come è possibile che la loro solitudine, il loro isolamento vengano considerati prevalenti e obbligatori per salvaguardare la loro vita.
E nessuno si pone il problema della qualità di vita che sono costretti a vivere.
Non è altrettanto grave lasciarli dunque all’angoscia dell’abbandono? Non si dovrebbe esercitare, attraverso l’etica delle responsabilità, la pietà, la misericordia e la compassione?
Non scegliere non è immorale?
Il 13 aprile, a me e ai miei fratelli, è stato concesso di incontrarla, singolarmente, per un totale di 20 minuti.
L’incontro avviene all’ingresso di una chiesa: 2metri x 2 di spazio chiuso da una lastra in plexiglas provvista di due manicotti in cellophane spesso. Ho circa 7 minuti, provo la febbre, igienizzo le mani, infilo i guanti e un altro manicotto.
Infilo finalmente il braccio ma non riesco a prenderle la mano perché la sedia a rotelle sulla quale siede la tiene lontana dalla barriera in plexiglas. L’operatrice che l’accompagna cerca di sistemarla leggermente di profilo e così riusciamo a toccarci. Riesco a sentire il calore della sua mano e la sua presa così forte e desiderosa di contatto. Le sue dita mi stringono, mi accarezzano e cercano qualcosa di più ma non ci arrivano. Io ho il pianto negli occhi e nel cuore, un groppo mi chiude la gola; lei un sorriso triste e incredulo ma continua a perlustrare con le sue dita ogni centimetro possibile della mia mano come se dovesse fare scorta di qualcosa di vitale. 7 minuti, il tempo è scaduto. La saluto, mi guarda smarrita; le dico che ora potrà toccare anche i miei fratelli. Il groppo in gola è sempre lì e quando se ne va subentra la rabbia e l’indignazione per ciò che sta accadendo a tutti gli anziani ospiti di queste strutture.
Mi chiedo come è possibile che la loro solitudine, il loro isolamento vengano considerati prevalenti e obbligatori per salvaguardare la loro vita.
E nessuno si pone il problema della qualità di vita che sono costretti a vivere.
Non è altrettanto grave lasciarli dunque all’angoscia dell’abbandono? Non si dovrebbe esercitare, attraverso l’etica delle responsabilità, la pietà, la misericordia e la compassione?
Non scegliere non è immorale?
Da: Catia
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