Il virtuale senza virtù
Messaggio per Massimo Gramellini
Sabato 2 ottobre 2021 13:10:56
Buongiorno Dott. Gramellini,
Le invio questi pensieri sparsi senza obbligo di risposta, ma solo per condividere una spiacevole sensazione di disarmo della ragione e del senso critico.
Quando mi sono iscritto al liceo classico, alcuni conoscenti di allora, con una sorta di sottile disprezzo dettato da un orizzonte forzatamente pragmatico, mi dissero che non mi sarebbe servito a niente: un punto di vista orientato dall'assenza di aspettative culturali oppure la resa precoce ed immotivata ad un materialità non del tutto ponderata? Senza saperlo, in quel momento veniva capovolto il teorema medievale della cultura come strumento di sottomissione (v. Eco) e tutto ciò che era individuato come vagamente complesso, poiché considerato scioccamente elitario, era oggetto di un aprioristico rifiuto misoneista.
Volendo riportare questo al presente, e su di una scala drammaticamente più vasta, sembrerebbe non esistere un indirizzo di studi che riesca ad apparire utile in prospettiva, perché l'evidente distacco dalla realtà in favore di una vuota comunicazione compulsiva porta, in casi estremi, al disinteresse per qualsiasi tema che non sia generato all'interno del circuito comunicativo cui si partecipa. E tale partecipazione, in molti casi, non comporta l'espressione d'idee, ma solo l'approvazione o la disapprovazione di spunti altrui, troppo spesso privi di un qualsiasi reale significato.
Non vorrei impantanarmi nella retorica del sessantenne che disprezza a priori l'incomprensibile contemporaneità alla quale, forse, sente di non appartenere, scivolando così nella pericolosa e nostalgica presunzione di voler essere tra coloro (pochi, peraltro...) che possiedono i segreti codici d'accesso alle verità del mondo (v. Sermonti), però trovo incredibile che poco più di tre decenni abbiano ribaltato la concezione complessiva della realtà e l'approccio alla conoscenza. Forse perché la realtà che appare sui nostri dispositivi spesso non è tale e genera confusione, perché l'universo racchiuso nel WEB, indipendentemente dalla sua attendibilità, soddisfa istantaneamente ogni necessità non sollecitata di aggiornamento, anche se per lo più indirizzata verso argomenti che evaporano mentre vengono trattati, sostituiti velocemente da altri meglio sponsorizzati. Assistiamo al capovolgimento tra mezzi e fini, allo sviluppo incontrollato dell'affordance, termine coniato da James J. Gibson ed esteso da Marshall McLuhan, dove regna l'immanenza incontrollabile degli algoritmi. Diveniamo lo strumento attraverso il quale gli algoritmi stessi cercano di raggiungere i loro obiettivi, influenzando e condizionando i nostri comportamenti e, soprattutto, le nostre scelte.
Molti giovani vagano come novelli rabdomanti alla ricerca di giga d'acquisire presso più o meni consci donatori. Osservano il mondo in pochi pollici di schermo, rapiti da lampi di una realtà tanto marginale quanto incoerente.
Mi riesce difficile adeguarmi al fatto che una ragazza di 13 anni, in possesso dell'equivalente di una lampada di Aladino del sapere (e senza limiti di desideri), mi chieda come mai gli australiani non cadano nel vuoto, vista la loro posizione geografica (... almeno viene riconosciuta la sfericità della Terra!). Cerco di spiegarglielo nel modo in cui l'hanno spiegato a me, semplicemente. Non sono Piero Angela né Piergiorgio Oddifreddi, non ho mai avuto buoni voti in fisica, eppure lo so, l'ho sempre saputo: e saperlo mi aiuta, come tante altre cose che considero basilari, ad orientarmi in tutto ciò che consegue al fatto di essere un abitante di questo pianeta. Cerco di spiegarglielo, ma non ottengo alcun risultato. Anzi, i dubbi aumentano. Ma perché, ragazza che vedrai il primo essere umano su Marte, non digiti le parole magiche, l'Abracadabra o l'Apriti Sesamo del tuo smartphone, e cerchi di mettere in pausa l'improduttiva frenesia di tante comunicazioni pressoché inutili, andando invece a cercare le risposte a quei dubbi così decisivi? Forse una faccina o un like verso pseudo-estranei hanno sempre la precedenza sulla possibilità di acquisire un concetto che ha impegnato alcune delle menti più degne della storia dell'umanità? Perché a nessuno dei tuoi amici elettronici interessa saperlo? Perché nessuno di loro è in grado di spiegartelo? Eppure, in quella strana cyber-propaggine della tua naturale morfologia c'è tutto ciò che, cercando bene, potrebbe farti compiere un balzo culturale simile a quello della scimmia che incontra il monolito in “2001: Odissea nello spazio”.
E qui scatta la trappola che tanto temevo: “Ah, se l'avessimo avuto ai nostri tempi! ”, convinti che ne avremmo fatto un uso completamente responsabile. Ma se avessimo avuto lo smartphone ai nostri tempi, siamo sicuri che avremmo avuto la capacità di sfuggire alla feroce attrazione che cattura così perdutamente l'attenzione e, in certi casi, la coscienza di chi lo usa? Avevamo già i nostri problemi con l'incomunicabilità tra genitori e figli, che gravava sulle nostre spalle come il mondo su quelle di Atlante, per cui l'essere scampati ad altri condizionamenti può essere ritenuto un fortunato ritardo temporale nell'acquisizione tecnologica.
Le invio questi pensieri sparsi senza obbligo di risposta, ma solo per condividere una spiacevole sensazione di disarmo della ragione e del senso critico.
Quando mi sono iscritto al liceo classico, alcuni conoscenti di allora, con una sorta di sottile disprezzo dettato da un orizzonte forzatamente pragmatico, mi dissero che non mi sarebbe servito a niente: un punto di vista orientato dall'assenza di aspettative culturali oppure la resa precoce ed immotivata ad un materialità non del tutto ponderata? Senza saperlo, in quel momento veniva capovolto il teorema medievale della cultura come strumento di sottomissione (v. Eco) e tutto ciò che era individuato come vagamente complesso, poiché considerato scioccamente elitario, era oggetto di un aprioristico rifiuto misoneista.
Volendo riportare questo al presente, e su di una scala drammaticamente più vasta, sembrerebbe non esistere un indirizzo di studi che riesca ad apparire utile in prospettiva, perché l'evidente distacco dalla realtà in favore di una vuota comunicazione compulsiva porta, in casi estremi, al disinteresse per qualsiasi tema che non sia generato all'interno del circuito comunicativo cui si partecipa. E tale partecipazione, in molti casi, non comporta l'espressione d'idee, ma solo l'approvazione o la disapprovazione di spunti altrui, troppo spesso privi di un qualsiasi reale significato.
Non vorrei impantanarmi nella retorica del sessantenne che disprezza a priori l'incomprensibile contemporaneità alla quale, forse, sente di non appartenere, scivolando così nella pericolosa e nostalgica presunzione di voler essere tra coloro (pochi, peraltro...) che possiedono i segreti codici d'accesso alle verità del mondo (v. Sermonti), però trovo incredibile che poco più di tre decenni abbiano ribaltato la concezione complessiva della realtà e l'approccio alla conoscenza. Forse perché la realtà che appare sui nostri dispositivi spesso non è tale e genera confusione, perché l'universo racchiuso nel WEB, indipendentemente dalla sua attendibilità, soddisfa istantaneamente ogni necessità non sollecitata di aggiornamento, anche se per lo più indirizzata verso argomenti che evaporano mentre vengono trattati, sostituiti velocemente da altri meglio sponsorizzati. Assistiamo al capovolgimento tra mezzi e fini, allo sviluppo incontrollato dell'affordance, termine coniato da James J. Gibson ed esteso da Marshall McLuhan, dove regna l'immanenza incontrollabile degli algoritmi. Diveniamo lo strumento attraverso il quale gli algoritmi stessi cercano di raggiungere i loro obiettivi, influenzando e condizionando i nostri comportamenti e, soprattutto, le nostre scelte.
Molti giovani vagano come novelli rabdomanti alla ricerca di giga d'acquisire presso più o meni consci donatori. Osservano il mondo in pochi pollici di schermo, rapiti da lampi di una realtà tanto marginale quanto incoerente.
Mi riesce difficile adeguarmi al fatto che una ragazza di 13 anni, in possesso dell'equivalente di una lampada di Aladino del sapere (e senza limiti di desideri), mi chieda come mai gli australiani non cadano nel vuoto, vista la loro posizione geografica (... almeno viene riconosciuta la sfericità della Terra!). Cerco di spiegarglielo nel modo in cui l'hanno spiegato a me, semplicemente. Non sono Piero Angela né Piergiorgio Oddifreddi, non ho mai avuto buoni voti in fisica, eppure lo so, l'ho sempre saputo: e saperlo mi aiuta, come tante altre cose che considero basilari, ad orientarmi in tutto ciò che consegue al fatto di essere un abitante di questo pianeta. Cerco di spiegarglielo, ma non ottengo alcun risultato. Anzi, i dubbi aumentano. Ma perché, ragazza che vedrai il primo essere umano su Marte, non digiti le parole magiche, l'Abracadabra o l'Apriti Sesamo del tuo smartphone, e cerchi di mettere in pausa l'improduttiva frenesia di tante comunicazioni pressoché inutili, andando invece a cercare le risposte a quei dubbi così decisivi? Forse una faccina o un like verso pseudo-estranei hanno sempre la precedenza sulla possibilità di acquisire un concetto che ha impegnato alcune delle menti più degne della storia dell'umanità? Perché a nessuno dei tuoi amici elettronici interessa saperlo? Perché nessuno di loro è in grado di spiegartelo? Eppure, in quella strana cyber-propaggine della tua naturale morfologia c'è tutto ciò che, cercando bene, potrebbe farti compiere un balzo culturale simile a quello della scimmia che incontra il monolito in “2001: Odissea nello spazio”.
E qui scatta la trappola che tanto temevo: “Ah, se l'avessimo avuto ai nostri tempi! ”, convinti che ne avremmo fatto un uso completamente responsabile. Ma se avessimo avuto lo smartphone ai nostri tempi, siamo sicuri che avremmo avuto la capacità di sfuggire alla feroce attrazione che cattura così perdutamente l'attenzione e, in certi casi, la coscienza di chi lo usa? Avevamo già i nostri problemi con l'incomunicabilità tra genitori e figli, che gravava sulle nostre spalle come il mondo su quelle di Atlante, per cui l'essere scampati ad altri condizionamenti può essere ritenuto un fortunato ritardo temporale nell'acquisizione tecnologica.
Da: Pierfranco Spaziani
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