Smantellare il precariato
Messaggio per Maurizio Landini
Venerdì 12 febbraio 2021 01:04:11
Buonasera Sig. Landini,
mi presento brevemente: ho 64 anni, vivo nell’interland di Firenze. Ho la tessera della CGIL dal 1979 e sento il bisogno/dovere di fare una proposta per il problema numero uno in Italia: il precariato.
Mi rivolgo a Lei perché condivido la sua battaglia contro il precariato e perché credo che Lei sia la persona giusta a cui affidare questi miei pensieri, oltre a riconoscerLe la tenacia necessaria a condurre la battaglia verso una controparte che si muove e staziona su una posizione dominante (anche per l’atteggiamento “ruffiano” del mondo dell’informazione).
Ritengo che la tranquillità di tutti i cittadini si basi sul lavoro (oltre che sulla salute e l’equilibrio degli affetti). Il lavoro infatti permette di provvedere alle necessità primarie e consentire di elaborare programmi per il futuro (diritto che deve essere riconosciuto ad ogni essere vivente). Questo diritto è stato negato a tutti i lavoratori dipendenti che sono sotto le forche caudine del precariato. E’ pertanto l’argomento più importante, in assoluto, da affrontare e riequilibrare.
Veniamo ad illustrare l’argomento che può riportare il giusto equilibrio nei rapporti di lavoro tra gli imprenditori ed i dipendenti.
Presupposto importante è il ruolo delle controparti, che in una azienda deve essere paritetico tra imprenditore e dipendenti. E’ noto, e ampiamente riportato nella letteratura di economia aziendale, che ogni azienda comporta il rischio di impresa e l’imprenditore deve farsene carico. Con il precariato invece gli imprenditori hanno trasferito tale rischio in capo ai dipendenti.
Quando un’azienda sta sul mercato presentando livelli di fatturato costanti nel tempo, con oscillazioni fisiologiche tra un anno e l’altro, dividendi continui per gli azionisti, ottenuti con livelli costanti di risorse umane, magari con contratti a tempo determinato, si può asserire che tale dimensione di risorse è comunque da ritenersi strutturale per l’azienda che vuole ripetere ancora gli stessi risultati ed ambire ad attese sfidanti, spesso decantate ai mercati nelle dichiarazioni trimestrali.
Quindi fatto 100 il livello strutturale di risorse di un’azienda, quell’azienda avrà bisogno di tutta quella forza di lavoro per ripetersi nel tempo. Ne deriva che i soggetti che partecipano alla vita aziendale (imprenditore e dipendenti) hanno il diritto di considerare continuativo il rapporto di lavoro. Consideriamo comunque un certo grado di incertezza sulla stabilità del lavoro, derivante dalle variabili dei mercati, dei settori merceologici, dalle variabili creditizie dei sistemi finanziari, dalla collocazione geografica, ecc. ; può comunque essere concordato tra le parti sociali qual è il livello di rischio che può gravare sulle capacità di un’impresa a ripetersi nel tempo. Sulla base delle suddette considerazioni può essere convenuto dalle parti sociali la percentuale di contratti a tempo indeterminato (80%, 90%) che può assicurare il livello strutturale di risorse di un’azienda, e convenire pertanto qual è l’entità mutevole di tale livello. Soltanto quell’entità mutevole (5%, 10%, max 15%) potrà coincidere con rapporti di lavoro a tempo determinato, ovviamente con retribuzione adeguata.
Soltanto così può essere riconosciuto alla moltitudine degli attori in causa il diritto che gli spetta: per i dipendenti la tranquillità della stabilità del rapporto di lavoro e la possibilità di credere nel futuro, ai datori di lavoro invece la possibilità di rendere elastica l’azienda e adeguarla alle dimensioni tempo per tempo necessarie.
E’ l’ora di riequilibrare le posizioni e far cessare l’atteggiamento vessatorio che impregna il rapporto di lavoro precario e restituire ai lavoratori la dignità di credere nel futuro, nel contempo conservando agli imprenditori la giusta tranquillità di esercitare le leve occupazionali misurate alle necessità dell’impresa.
Le conseguenze del precariato sono evidenti a tutti. La distribuzione della ricchezza prodotta deve essere riequilibrata a favore delle fasce più deboli, cresciute sempre di più negli ultimi tempi. Anche sotto l’aspetto demografico hanno inciso fortemente sulla forte diminuzione delle nascite e determinato l’assenza di una generazione, forse anche di più. L’avidità del mondo imprenditoriale deve essere frenata: non può e non deve distruggere il tessuto sociale italiano.
Non so se sono riuscito ad esporre con chiarezza il mio punto di vista e quanto possa essere da Lei condiviso. La ringrazio comunque della Sua disponibilità.
Con tanta fiducia nella Sua azione, Le porgo cordiali saluti.
Paolo, da Firenze
mi presento brevemente: ho 64 anni, vivo nell’interland di Firenze. Ho la tessera della CGIL dal 1979 e sento il bisogno/dovere di fare una proposta per il problema numero uno in Italia: il precariato.
Mi rivolgo a Lei perché condivido la sua battaglia contro il precariato e perché credo che Lei sia la persona giusta a cui affidare questi miei pensieri, oltre a riconoscerLe la tenacia necessaria a condurre la battaglia verso una controparte che si muove e staziona su una posizione dominante (anche per l’atteggiamento “ruffiano” del mondo dell’informazione).
Ritengo che la tranquillità di tutti i cittadini si basi sul lavoro (oltre che sulla salute e l’equilibrio degli affetti). Il lavoro infatti permette di provvedere alle necessità primarie e consentire di elaborare programmi per il futuro (diritto che deve essere riconosciuto ad ogni essere vivente). Questo diritto è stato negato a tutti i lavoratori dipendenti che sono sotto le forche caudine del precariato. E’ pertanto l’argomento più importante, in assoluto, da affrontare e riequilibrare.
Veniamo ad illustrare l’argomento che può riportare il giusto equilibrio nei rapporti di lavoro tra gli imprenditori ed i dipendenti.
Presupposto importante è il ruolo delle controparti, che in una azienda deve essere paritetico tra imprenditore e dipendenti. E’ noto, e ampiamente riportato nella letteratura di economia aziendale, che ogni azienda comporta il rischio di impresa e l’imprenditore deve farsene carico. Con il precariato invece gli imprenditori hanno trasferito tale rischio in capo ai dipendenti.
Quando un’azienda sta sul mercato presentando livelli di fatturato costanti nel tempo, con oscillazioni fisiologiche tra un anno e l’altro, dividendi continui per gli azionisti, ottenuti con livelli costanti di risorse umane, magari con contratti a tempo determinato, si può asserire che tale dimensione di risorse è comunque da ritenersi strutturale per l’azienda che vuole ripetere ancora gli stessi risultati ed ambire ad attese sfidanti, spesso decantate ai mercati nelle dichiarazioni trimestrali.
Quindi fatto 100 il livello strutturale di risorse di un’azienda, quell’azienda avrà bisogno di tutta quella forza di lavoro per ripetersi nel tempo. Ne deriva che i soggetti che partecipano alla vita aziendale (imprenditore e dipendenti) hanno il diritto di considerare continuativo il rapporto di lavoro. Consideriamo comunque un certo grado di incertezza sulla stabilità del lavoro, derivante dalle variabili dei mercati, dei settori merceologici, dalle variabili creditizie dei sistemi finanziari, dalla collocazione geografica, ecc. ; può comunque essere concordato tra le parti sociali qual è il livello di rischio che può gravare sulle capacità di un’impresa a ripetersi nel tempo. Sulla base delle suddette considerazioni può essere convenuto dalle parti sociali la percentuale di contratti a tempo indeterminato (80%, 90%) che può assicurare il livello strutturale di risorse di un’azienda, e convenire pertanto qual è l’entità mutevole di tale livello. Soltanto quell’entità mutevole (5%, 10%, max 15%) potrà coincidere con rapporti di lavoro a tempo determinato, ovviamente con retribuzione adeguata.
Soltanto così può essere riconosciuto alla moltitudine degli attori in causa il diritto che gli spetta: per i dipendenti la tranquillità della stabilità del rapporto di lavoro e la possibilità di credere nel futuro, ai datori di lavoro invece la possibilità di rendere elastica l’azienda e adeguarla alle dimensioni tempo per tempo necessarie.
E’ l’ora di riequilibrare le posizioni e far cessare l’atteggiamento vessatorio che impregna il rapporto di lavoro precario e restituire ai lavoratori la dignità di credere nel futuro, nel contempo conservando agli imprenditori la giusta tranquillità di esercitare le leve occupazionali misurate alle necessità dell’impresa.
Le conseguenze del precariato sono evidenti a tutti. La distribuzione della ricchezza prodotta deve essere riequilibrata a favore delle fasce più deboli, cresciute sempre di più negli ultimi tempi. Anche sotto l’aspetto demografico hanno inciso fortemente sulla forte diminuzione delle nascite e determinato l’assenza di una generazione, forse anche di più. L’avidità del mondo imprenditoriale deve essere frenata: non può e non deve distruggere il tessuto sociale italiano.
Non so se sono riuscito ad esporre con chiarezza il mio punto di vista e quanto possa essere da Lei condiviso. La ringrazio comunque della Sua disponibilità.
Con tanta fiducia nella Sua azione, Le porgo cordiali saluti.
Paolo, da Firenze
Da: Paolo Nardoni
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