La mia sinistra è differente
Messaggio per Massimo Gramellini
Sabato 20 marzo 2021 17:46:43
La migliore istantanea dello stato di salute del Partito Democratico, la sua vera e propria ecografia preparto, non sono le dimissioni di Zingaretti e neppure la chiamata dell’esule Enrico Letta, prima vittima illustre di quella micidiale arma di precisione che è lo staiserenismo renziano. No, la foto migliore è in effetti un video. Un video andato in onda ieri sera sulla terza rete nel corso di uno dei migliori talk dell’attuale palinsesto Rai (Le parole della settimana), esattamente nel momento in cui il conduttore, il giornalista torinese Massimo Gramellini, parlando della sacrosanta protesta dei dipendenti di Amazon per la vita di merda che fanno e le paghe di merda che guadagnano, ha paragonato le une e le altre ai fantastiliardi incassati dall’inizio della pandemia ad oggi da Jeff Bezos, il CEO di Amazon. Cifre da indurre al suicidio di massa decine di altri paperoni e che non si riportano in questa sede per evitare ai deboli di cuore esiziali crisi cardiache.
Gramellini, dopo aver dato la notizia, correttamente non ha risparmiato ai telespettatori anche la morale della notizia: su tutto questo, che la buonanima di mio nonno avrebbe definito icasticamente schifo (ma che volete farci, parliamo di un Cavaliere di Vittorio Veneto nato nella Sicilia di fine ottocento, di professione calzolaio e con titolo di studio non pervenuto: per lui il politicamente corretto sarebbe stato al massimo un goccio di sambuca nel caffè), dal PD neppure una parola, un sospiro, un soffio di naso, una grattata di mento, una alzata di ciglio, un raschio di gola, una strizzata d’occhio. Nulla. In compenso, pare abbia espresso solidarietà agli schiavi… pardon … operai … di Amazon tale Giorgia Meloni. Sissignori, Giorgia Meloni, la baubau della peggiore destra populista e parafascista.
S’impone un minuto di raccoglimento.
Ora, se potessimo riportare indietro come per magia il nastro magnetico della Storia d’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, organizzare un incontro in tv tra leader politici della cd. Prima Repubblica e chiedere loro un’opinione sulla questa vicenda, troveremmo di sicuro un Pertini o un Berlinguer pronti a scatenare un conflitto termonucleare contro arroganza padronale e stipendi da fame dei lavoratori e un Almirante o un Malagodi pronti a difendere il libero mercato e il giusto compenso al rischio d’impresa nonché ad addossare la colpa dei bassi salari alla tassazione elevata e all’elefantiaca invadenza burocratica, peraltro due argomenti che da sempre fan scendere la lacrimuccia all’universo aziendale e finanziario. Ascolteremmo dai secondi, insomma, tutto lo stranoto armamentario della filosofia liberista, offerta in omaggio con l’opuscolo sulle magnifiche sorti e progressive che spettano a chi s’affida ad essa nella speranza del Regno dei Cieli.
Sta tutto qui il problema del PD del 2021 e nessuno finora ha avuto il coraggio di ammetterlo: nel tacere sulle paghe da fame di Amazon, inversamente proporzionali alle ore di lavoro pretese o sulle vere e proprie angherie che subiscono ogni giorno i lavoratori dei call center o i rider, in combinato disposto con paghe ancor più oltraggiose di quelle dei loro colleghi di Amazon, oppure ancora nel limitarsi alle solite, stucchevoli petizioni di principio e a flebili proteste di prammatica sulla diffusa e devastante pratica commerciale dei licenziamenti pro delocalizzazione.
Sta nel tacere su tutto questo la crisi del PD: negli imbarazzati silenzi sui diritti sociali contrapposti al continuo, martellante strepitus fori dei suoi pianeti e dei suoi satelliti quando in ballo ci sono argomenti come la parità di genere, il me too, l’accoglienza, la lotta alle discriminazioni sessuali, razziali o religiose, lo ius soli.
Tutti scopi encomiabili, per carità, battaglie di civiltà da combattere a gladio sguainato e petto offerto alla lancia del nemico. Ma tutte battaglie che non recano alcun disturbo a lor signori, si chiamino Bezos, Del Vecchio, Buffett o Agnelli: agli dei dell’Olimpo di Forbes darebbe molto più fastidio una leggina che ripristinasse l’obbligo di reintegro dei licenziati senza giusta causa che mille provvedimenti tesi a imporre loro investimenti ecologici e parità di diritti in azienda tra uomini e donne. Anzi: l’imprenditore o il banchiere che oggi esprimesse idee oscurantiste o mostrasse atteggiamenti retrivi sulla top ten delle questioni ritenute di imprescindibile prerogativa del progressista moderno very very good, vedrebbe crollare in un attimo azioni, guadagni, contratti e reputazione. La moglie chiederebbe il divorzio, il consiglio d’amministrazione prenderebbe, a mezzo comunicato stampa, una sdegnata e decisa presa di distanza, i mercati, i mitici mercati, veicolerebbero all’opinione pubblica il loro disaccordo con il reprobo di turno mediante l’unico, letale strumento in loro possesso: il crollo del titolo.
Praticamente la morte civile. Solo certi tycoon straricchi e buzzurri come Trump non hanno ancora capito che non conviene più giocare al capitalista vecchio stampo brutto, sporco e cattivo: si perdono pubblica estimazione e talvolta pure soldi. E siccome di questi tempi il lievitare dei secondi è sempre più spesso collegato al livello della prima…
Ecco la ragione per cui, malgrado alla gran parte dei suoi componenti importi un fico secco dei cambiamenti climatici o dei diritti di donne, gay e neri, l’aristocrazia economica europea e americana da anni ha deciso che è molto più conveniente ergersi a paladini del politicamente corretto che dichiararsi indifferenti o peggio ancora ostili a tutto ciò che non si può riportare nei bilanci.
A sua volta, la sinistra socialdemocratica, irrimediabilmente depressa per l’inaspettato e repentino decesso dell’odiato cugino comunista, dopo l’89 ha scoperto che in economia liberale è bello e rende pure la pelle liscia, specie se abbinato all’odor di incenso di conventi e parrocchie.
Ma il PD in tutto questo cosa ha guadagnato e cosa perso? Il partito che la sfida del socialismo democratico dovrebbe orgogliosamente rappresentare, l’ircocervo tra PCI e Dc voluto da Veltroni e Prodi, ci ha certamente guadagnato i voti e le simpatie degli elettori del Vomero, dei Parioli e di Corso Sempione, così come certamente ci ha perso quelli della Magliana, di Forcella e Quarto Oggiaro. Voti andati dove? In parte all’astensionismo e in parte proprio alla destra populista di Lega e Fratelli d’Italia.
Altro minuto di raccoglimento.
Chissà cosa avrebbe detto oggi Bettino Craxi, a suo tempo giustamente messo sulla graticola per il “partito degli stilisti” in cui avrebbe trasformato il PSI dell’epoca, vedendo che gli eredi del suo arcinemico PCI di allora, fieri oppositori del craxismo, oggi vengono marchiati a fuoco con l’infame appellativo di “partito del potere”.
Tuttavia il mio PD è differente, è il concetto che sembra aver voluto trasmettere stamane ai congressisti Enrico Letta nell’ora della nomina a segretario. Sarà, ma intanto pure lui su Amazon e i suoi fratelli finora non sembra aver ritenuto necessario esprimere un benché minimo punto di vista.
Gramellini, dopo aver dato la notizia, correttamente non ha risparmiato ai telespettatori anche la morale della notizia: su tutto questo, che la buonanima di mio nonno avrebbe definito icasticamente schifo (ma che volete farci, parliamo di un Cavaliere di Vittorio Veneto nato nella Sicilia di fine ottocento, di professione calzolaio e con titolo di studio non pervenuto: per lui il politicamente corretto sarebbe stato al massimo un goccio di sambuca nel caffè), dal PD neppure una parola, un sospiro, un soffio di naso, una grattata di mento, una alzata di ciglio, un raschio di gola, una strizzata d’occhio. Nulla. In compenso, pare abbia espresso solidarietà agli schiavi… pardon … operai … di Amazon tale Giorgia Meloni. Sissignori, Giorgia Meloni, la baubau della peggiore destra populista e parafascista.
S’impone un minuto di raccoglimento.
Ora, se potessimo riportare indietro come per magia il nastro magnetico della Storia d’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, organizzare un incontro in tv tra leader politici della cd. Prima Repubblica e chiedere loro un’opinione sulla questa vicenda, troveremmo di sicuro un Pertini o un Berlinguer pronti a scatenare un conflitto termonucleare contro arroganza padronale e stipendi da fame dei lavoratori e un Almirante o un Malagodi pronti a difendere il libero mercato e il giusto compenso al rischio d’impresa nonché ad addossare la colpa dei bassi salari alla tassazione elevata e all’elefantiaca invadenza burocratica, peraltro due argomenti che da sempre fan scendere la lacrimuccia all’universo aziendale e finanziario. Ascolteremmo dai secondi, insomma, tutto lo stranoto armamentario della filosofia liberista, offerta in omaggio con l’opuscolo sulle magnifiche sorti e progressive che spettano a chi s’affida ad essa nella speranza del Regno dei Cieli.
Sta tutto qui il problema del PD del 2021 e nessuno finora ha avuto il coraggio di ammetterlo: nel tacere sulle paghe da fame di Amazon, inversamente proporzionali alle ore di lavoro pretese o sulle vere e proprie angherie che subiscono ogni giorno i lavoratori dei call center o i rider, in combinato disposto con paghe ancor più oltraggiose di quelle dei loro colleghi di Amazon, oppure ancora nel limitarsi alle solite, stucchevoli petizioni di principio e a flebili proteste di prammatica sulla diffusa e devastante pratica commerciale dei licenziamenti pro delocalizzazione.
Sta nel tacere su tutto questo la crisi del PD: negli imbarazzati silenzi sui diritti sociali contrapposti al continuo, martellante strepitus fori dei suoi pianeti e dei suoi satelliti quando in ballo ci sono argomenti come la parità di genere, il me too, l’accoglienza, la lotta alle discriminazioni sessuali, razziali o religiose, lo ius soli.
Tutti scopi encomiabili, per carità, battaglie di civiltà da combattere a gladio sguainato e petto offerto alla lancia del nemico. Ma tutte battaglie che non recano alcun disturbo a lor signori, si chiamino Bezos, Del Vecchio, Buffett o Agnelli: agli dei dell’Olimpo di Forbes darebbe molto più fastidio una leggina che ripristinasse l’obbligo di reintegro dei licenziati senza giusta causa che mille provvedimenti tesi a imporre loro investimenti ecologici e parità di diritti in azienda tra uomini e donne. Anzi: l’imprenditore o il banchiere che oggi esprimesse idee oscurantiste o mostrasse atteggiamenti retrivi sulla top ten delle questioni ritenute di imprescindibile prerogativa del progressista moderno very very good, vedrebbe crollare in un attimo azioni, guadagni, contratti e reputazione. La moglie chiederebbe il divorzio, il consiglio d’amministrazione prenderebbe, a mezzo comunicato stampa, una sdegnata e decisa presa di distanza, i mercati, i mitici mercati, veicolerebbero all’opinione pubblica il loro disaccordo con il reprobo di turno mediante l’unico, letale strumento in loro possesso: il crollo del titolo.
Praticamente la morte civile. Solo certi tycoon straricchi e buzzurri come Trump non hanno ancora capito che non conviene più giocare al capitalista vecchio stampo brutto, sporco e cattivo: si perdono pubblica estimazione e talvolta pure soldi. E siccome di questi tempi il lievitare dei secondi è sempre più spesso collegato al livello della prima…
Ecco la ragione per cui, malgrado alla gran parte dei suoi componenti importi un fico secco dei cambiamenti climatici o dei diritti di donne, gay e neri, l’aristocrazia economica europea e americana da anni ha deciso che è molto più conveniente ergersi a paladini del politicamente corretto che dichiararsi indifferenti o peggio ancora ostili a tutto ciò che non si può riportare nei bilanci.
A sua volta, la sinistra socialdemocratica, irrimediabilmente depressa per l’inaspettato e repentino decesso dell’odiato cugino comunista, dopo l’89 ha scoperto che in economia liberale è bello e rende pure la pelle liscia, specie se abbinato all’odor di incenso di conventi e parrocchie.
Ma il PD in tutto questo cosa ha guadagnato e cosa perso? Il partito che la sfida del socialismo democratico dovrebbe orgogliosamente rappresentare, l’ircocervo tra PCI e Dc voluto da Veltroni e Prodi, ci ha certamente guadagnato i voti e le simpatie degli elettori del Vomero, dei Parioli e di Corso Sempione, così come certamente ci ha perso quelli della Magliana, di Forcella e Quarto Oggiaro. Voti andati dove? In parte all’astensionismo e in parte proprio alla destra populista di Lega e Fratelli d’Italia.
Altro minuto di raccoglimento.
Chissà cosa avrebbe detto oggi Bettino Craxi, a suo tempo giustamente messo sulla graticola per il “partito degli stilisti” in cui avrebbe trasformato il PSI dell’epoca, vedendo che gli eredi del suo arcinemico PCI di allora, fieri oppositori del craxismo, oggi vengono marchiati a fuoco con l’infame appellativo di “partito del potere”.
Tuttavia il mio PD è differente, è il concetto che sembra aver voluto trasmettere stamane ai congressisti Enrico Letta nell’ora della nomina a segretario. Sarà, ma intanto pure lui su Amazon e i suoi fratelli finora non sembra aver ritenuto necessario esprimere un benché minimo punto di vista.
Da: Francesco
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