Messaggi e commenti per Massimo Gramellini - pagina 52
Messaggi presenti: 684
Lascia un messaggio, un suggerimento o un commento per Massimo Gramellini.
Utilizza il pulsante, oppure i commenti di Facebook, più in basso.
Leggi anche:
Frasi di Massimo Gramellini
Nota bene
Biografieonline non ha contatti diretti con Massimo Gramellini. Tuttavia pubblicando il messaggio come commento al testo biografico, c'è la possibilità che giunga a destinazione, magari riportato da qualche persona dello staff di Massimo Gramellini.
Sabato 30 maggio 2020 22:24:19
Mercoledì 27 maggio 2020 21:47:23
Caro Gianluigi
ho 80 anni e sono residente in lombardia e possiedo una casa al mare sullo Ionio casa che lo stato pretende tante e pesanti tasse ma che quest'anno non posso usufruirne- Io mi sono guardato bene adl mettere il naso fuori di casa perchè cardiopatico grave per cui avrei bisogno di cambiare aria-
Adesso si aggiunge un altro problema che se dopo il 3 giugno potrei raggiungere la casa in questione non potrò farlo perchè non ci sono voli a giugno per Brindisi-
Ma è pazzesco gli operatori turistici del Salento hanno preparato tutto per l'estate ma se non ci sono aerei che arrivano a Brindisi che faranno. Il governo forse sta aspettando che i turisti arrivino col monopattino-
Sperando che Lei faccia sentire anche per noi la sua voce Le mando cari saluti
Michele
Mercoledì 27 maggio 2020 12:23:52
IL VIRUS SI SVEGLIA A MEZZANOTTE (di Luigi Ferrari)
Leggo sulla Stampa di oggi: “Mascherine obbligatorie in Piemonte dal venerdì al martedì compresi, anche all’aperto. ”
Si tratta di una brillante Grida, con qualche punto oscuro.
Potrebbe essere comprensibile imporla dal venerdì alla domenica, causa pericolosissima, letale novida.
Ma lunedì e martedì? Forse le task force volute dal nostro splendido governatore temono gli effluvi malefici delle birre di ritorno?
E perché liberi tutti il mercoledì e il giovedì?
Una fonte complottista e per questo per nulla affidabile mi rivela particolari inquietanti. Durante una seduta spiritica tenuta in un palazzotto abbandonato di Moncalieri, Cirio e Fazio hanno evocato il Covid 19. Virus di poche parole, ha garantito una tregua di 48 ore, giusto il mercoledì e il giovedì. Alla fine si è accomiatato con un inquietante 'Morirete tutti! ', scongiurato dai presenti con una toccatina al ferro e ad altre parti più carnali.
Attenta tu, Cenerentola tatuata, che giovedì prossimo avrai passato la sera a bere birra con un tuo diversamente congiunto.
Allo scoccare dei dodici tocchi, fuggi, fuggi verso la tua Panda!
E se nella furia perderai un sandalo, non voltarti a raccoglierlo.
Il Covid 19 sarà lì, pronto a ghermirti.
Mercoledì 27 maggio 2020 10:01:22
Buongiorno, la seguo da anni ed ho letto il suo libro, del "suo essere padre" Vorrei condividere con Lei, una parte della mia soffocata sofferenza e vorrei che le ne parlasse
Grazie
-‐------------------------------
Ho sempre pensato che le mie incertezze dipendessero dal mio carattere, da un animo traballante sempre in cerca di un appiglio emotivo.
Col tempo ho capito che io non ero nata così, e che sono stati gli schiaffi della vita a plasmarmi.
Ho compreso che essere donna non dovesse significare per forza di cose l’essere remissiva e accondiscendente. Non ho voluto più accaparrarmi la prerogativa, tutta al femminile, del subire per fare andare avanti la specie.
Ho provato, con tutte le mie forze a mettere insieme i pezzi di una vita che non volevo più ma a cui ero dedita per amore dei figli.
Ho amato con la paura, e mi sono attaccata morbosamente ai suoi comportamenti accettandoli come normali. Ho acconsentito a qualsiasi cosa per provare a sentirmi rassicurata. Ma non ha funzionato.
Dentro di me, forse per scarsa considerazione del mio valore, perché non mi è stato insegnato da nessuno, ho iniziato a pensare che fosse normale tutto il male possibile, e che quell’uomo potesse farmi sentire migliore. Ma il tollerare, il rendersi amabile per essere accettata non ha pagato. Mai.
Ho cancellato con un colpo di spugna i miei sogni in nome del tempo da dedicare ai bambini. Erano due, poco distanti di età e in cerca delle stesse attenzioni. Ho seguito silente e costante tutte le attività fingendomi entusiasta anche quando non ne avevo più la forza.
Prima asilo, scuola, dottori. Visite ai parenti, nonni assenti e conoscenti giudicanti. Poi procedimenti giudiziari fuorvianti in cui ne sono uscita sempre pensierosa, inespressa, sconfitta.
La vita di una madre è fatta di imprevisti, che ho dovuto accettare solo per il fatto di essere donna.
Come se gli imprevisti fossero sopportabili e normali per noi, come se ci fosse un patto taciuto che mi obbligava a sobbarcarmi da sola dei colloqui con l’insegnante petulante, poco attenta a quello che davvero accadeva tra le quattro mura di casa. Ma solo col dito giudicante.
A mie spese ho provato, con le unghie e con i denti, a far quadrare il lavoro e conciliarlo col concetto tradizionale di buona madre. Sono dovuta scendere a compromessi per far funzionare tutto. Supplicare i permessi ai capi, cercare comprensione con gli insegnanti distratti, chiedere aiuto ai nonni. Ma so solo io cosa ha significato per molti mesi mettere la testa sul cuscino e averla pesante di preoccupazioni. Nonostante tutto io sono andata avanti nei miei doveri con gli occhi bassi e il cuore agitato.
Sono scesa a patti col senso di colpa, già parte per sua natura di noi donne, perché mi è stato sempre fatto pesare dal mio ex compagno quel po’ di tempo dedicato alla professione che amavo.
Pare che nessuno si sia accorto di quanto ho dedicato ad allevarli. Alla passione e alla forza che ho dovuto ricreare in me. Da sola.
I bambini di oggi non sono quelli a cui occorre un semplice calcio ad un pallone o un gelato: hanno esigenze e calendari da adulti e per non farli sentire esclusi ho sempre fatto di tutto per facilitare la loro socialità e serenità. Impegni continui a discapito del tempo, quel poco, misero tempo che era rimasto per me stessa.
Ho detto sì a tutte le riunioni a scuola, alla palestra del lunedì, alla fisioterapia del giovedì, agli appuntamenti dal dentista dove il mio dolore è il loro, al nuoto per rendere le loro spalle forti e in grado di affrontare il mondo, ai corsi per aiutarli ad esser più attenti migliorando il loro metodo di studio e la concentrazione.
Ogni volta che mi mettevo nel letto, stanca, stravolta da una fatica che non mi rendeva nemmeno più me stessa allo specchio, mi sentivo grata alla vita di aver trovato la forza di allevarli al massimo delle mie possibilità. Ho fatto di tutto per provare a migliorare i loro strumenti di vita, per rendere la loro vita migliore della mia.
Ho sviluppato col tempo l’intuito materno, ci dicono che ci nasciamo ma io so che non è così. Impari ad essere madre a tue spese, giorno per giorno da osservatrice attenta, e inizi a capire quando è il momento giusto per intervenire se hanno dei problemi senza opprimerli o quando è il momento di tacere, soppesare attentamente le parole e renderle delicate, garbate adatte ad un animo giovane come il loro.
Ho imparato ad usare le parole giuste. Non quelle perfette ma quelle adatte ai miei figli. Attraverso amichevoli chiacchierate e aneddotiche sulla mia adolescenza ho raccontato episodi cardine per tenerli lontani dai bulli, per imparare a rifuggire dalle cattive compagnie e comportamenti perché nessuno merita di essere trattato in modo ingiusto e violento. Per questo ho deciso di andarmene di casa e lasciare il mio compagno: non avrei potuto predicare bene e razzolare male dinanzi ai miei figli. Fare la madre significa combattere con fughe improvvise dall’ufficio se hanno la febbre, terrore solitario se hai saputo che si sono fatti male, accettare tacitamente un marito che lavora e un nonno che ha avuto un contrattempo.
Tu no, non puoi mancare, devi essere sempre lì pronta e sorridente.
E lasci lì, sul tavolo della scrivania ad impolverarsi il lavoro da terminare. Progetti che solo perché sono i tuoi appaiono meno importanti. Perché sei prima di tutto una madre e non una professionista.
Perché sei madre e devi per forza farcela, altrimenti non sei una buona madre. Non esiste riconoscimento a quel tipo di sacrificio, devi andare avanti e basta, stringendo i denti e sacrificando solo il tuo tempo. Gli anni della giovinezza. I sogni da ragazza.
Non ripenso in modo pacato e sereno a quello che è stato il mio allattamento. Ero estenuata. Il piccolo piangeva, notte dopo notte. Non dormiva, non dormivo. E lui, si rigirava dall’altra parte nascondendosi dietro alla frase di rito “vuole solo te. ” Adesso se ripenso alla me di un tempo mi vien la nausea. Forse il suo egoismo era palese ma io per amore non lo vedevo. Stravolta, per sentirmi adeguata al ruolo di donna chioccia, non gliel'ho fatto mai pesare. Reggevo i capricci di un lattante e di un compagno. Non potevo lamentarmi perché una brava madre non lo fa.
Una madre non ammette mai, nemmeno con la propria stessa madre e con le amiche più care che esserlo è un compito davvero duro, talvolta ripetitivo, totalizzante e massacrante. Quando è nato il mio amato secondo bambino credevo che arrivasse anche una maggiore forza. Come può madre natura lasciarti nello stato in cui sei e dartene un altro senza possedere l’energia vitale richiesta? Non è stato così. Ma ho dovuto anche lì farcela. Ho pianto senza essere ascoltata e consolata da nessuno. E via via si allontanava sempre di più la speranza che la mia amata professione potesse valorizzare la donna che sentivo in fondo di essere ancora. Ma lui non mi ha mai aiutato e permesso di esprimermi.
Aneli ad una vita fatta di meriti, stipendi adeguati, e un marito che brindi con te. Che ti aiuti a realizzare i tuoi sogni come tu hai sostenuto i suoi. Sempre.
Ho fatto di tutto per lasciargli lo spazio di realizzarsi, di lavorare con calma e indisturbato ai suoi progetti ma non sono riuscita a fargli mai capire che avevo bisogno della stessa comprensione. Amarsi è anche comprendere le esigenze dell’altro e farle proprie. Avevo voglia di ricominciare, al lavoro e con lui, cancellando rabbia e rancori. Non è stato possibile. Il suo senso di rivalsa, di dominio ha avuto sempre la meglio in casa.
Con il tempo però tutte quelle rinunce, quelle parole cattive iniziano ad essere macigni. Ho dovuto fare i conti con il giudizio di capi e colleghi che non hanno compreso la complessità della vita che avevo scelto. Quando questa incomprensione si è palesata sempre più nelle quattro mura: il peso e divenuto troppo grande. Per non impazzire di frustrazione iniziai a rinunciare a tutto.
E rinuncia su rinuncia si riduceva anche la migliore parte di me. Quella che credeva nella vita.
Non ho mai chiesto applausi, ma è pur vero che nessuno mi ha mai ringraziata. Non accetto però che, dopo tutta questa guerra, il mio sacrificio, le miei rinunce, il fango ingoiato e le umiliazioni mi venga detto che non ho fatto abbastanza. Ho dato tutto quello che ho potuto.
Adesso ho quasi 53 anni e nel tran-tran quotidiano e le sue telefonate svilenti imperterrite scopro sempre più che il tempo è passato. Sta passando attraverso i suoi soprusi. Ancora.
La mia vita sta scivolando via senza la possibilità che io la viva a pieno. Questo perchè sono angosciata, schiacciata dalla sua invadenza. Il mio cuore ormai è stanco. Stanco di parlare delle solite questioni. Stanco di giustificarmi con lui per tutto anche ora che è uscito dalla mia vita. Lui è ancora incessantemente presente e vuole schiacciarmi. Non posso più spiegargli, di nuovo, che i nostri giorni, quelli per ricominciare non ci sono più. Sono svaniti tempo addietro.
I miei figli, ma è lapalissiano sottolinearlo, sono gli esseri più importanti della mia vita ma non è giusto che siano tutto il mio mondo e che occupino a causa anche sua, tutto il mio spazio mentale. Il mio mondo non dovrebbe girare solo intorno a loro. Eppure attraverso le telefonate continue volte a controllarli, indagare nelle piccole contraddizioni adolescenziali, lui toglie fiato a me e fa sì che divengano ancor di più la mia unica preoccupazione durante tutta la giornata. Anche adesso che sono grandi.
La mia vita è angosciata da lamentele continue: il loro padre mi accusa di allontanarli, loro che non sopportano i suoi soprusi e invadenze e li riportano a me, lui che mi vomita qualsiasi cosa addosso e poi dice che sono “una paranoica”.
Dagli avvocati, e da alcuni modi di fare legge, lui è considerato il “comunque padre” anche se violento nelle parole, inadeguato e rifiutato dai figli: I suoi figli sono ormai in grado di comprendere il mondo degli adulti perché sulla soglia dei 15 anni. Siamo stati schiacciati da una visione adulto centrica e patriarcale da cui né io né loro abbiamo avuto vie di fuga. Nessuno ha mai davvero chiesto cosa provassimo. È come se casa mia fosse in una morsa in cui più io provo a difendermi e più appaio “conflittuale”. Viviamo in un mondo che urla per banalità, e io madre che difendo me e la serenità della mia casa, sono additata come la generatrice del conflitto.
Con fatica sto insegnando ai miei figli ad affinare gli strumenti per essere autonomi e che non vi è nulla di sbagliato nel coraggio di un nuovo amore, che non coincide con il loro padre. Ho ricostruito un lavoro che ho sempre amato. E ho bisogno del conforto delle mie amicizie con cui condividere sane passioni e interessi. Adoro i momenti con i miei figli fatti di qualità, condivisione e sorrisi, ma li spingo ad emanciparsi ed esser altro da me. Vorrei che fosse così anche l’atteggiamento di loro padre, a cui ho più volte cercato di parlare. Ma lui li riempie di attenzioni opprimenti e non li lascia camminare con le proprie gambe. Come se imboccare la propria strada significasse allontanarsi da lui. Non amarlo più.
Ho insegnato più volte ai miei figli che la genitorialità è solo una delle infinite possibilità dell’essere felici, di essere umani. Non ho mai creduto che garantendo loro una giovinezza ovattata e premurosa all’eccesso in futuro non soffrissero. Non sono riuscita a fare capire al loro padre che i ragazzi hanno bisogno di respirare a pieni polmoni e da soli. Soffrire e provare sulla loro pelle le cose. Devono crescere con le radici libere. Non sono una donna perfetta, faccio solo del mio meglio affinché siano autonomi e responsabili delle proprie azioni.
Adesso, con la mediatrice e un giudice entrati nelle nostre cose private, comprendo ancora di più e mi pento dell’essere stata troppo accondiscendente, lasciando passare come comportamenti normali parole, le accuse e cattiverie di una vita. Questo mio silenzio so che ha alimentato il suo potere, gli ho fatto credere tacendo che poteva fare e dire tutto.
Ho difatti lasciato io la casa, o meglio sono stata costretta. Dividendomi, senza dare a vedere il dolore, dai ricordi e da tutto il mio passato. Ho traslocato la mia vita gettandola negli scatoloni con la fretta di una ladra. Ho portato con me solo un frigo, un eufemismo che mi ricordasse tutto il gelo che avevo intorno da mesi. Lui, mi ha accusato più volte di aver invece letteralmente “svuotato casa”. La nostra casa costruita anno dopo anno coi sacrifici comuni.
Il rapporto coi figli ad oggi
Io ho scelto di ricordare il bello che c’è stato, era un buon padre e volevo che stesse vicino alla quotidianità dei suoi figli. Benché il mio animo volesse fuggire dall’altra parte del pianeta, ho invece scelto una nuova casa a pochi metri dalla sua: l’ho ancor una volta agevolato nelle visite, la logistica, i legami.
A nulla è servito. Mi ha accusato di tenere i suoi figli volutamente lontani da lui, dalla sua vita. Qualsiasi mia scelta per lui è sbagliata, contro di lui, ed ingiusta. Combatto coi mulini a vento.
Quando ho scoperto di essere incinta lui, l’uomo che sottolinea la sua presenza affettuosa e le mie carenze, non si è accorto di nulla e nascondendosi dietro l’immagine di uomo presente, attento e comprensivo è andato avanti per la sua vita. Una facciata.
Mi ha accusato di indisporre la sua presenza ai nostri figli, nella realtà per un anno intero lui non li ha portati a casa sua adducendo dei lavori edili ad una toilette! Come se dei ragazzi non capissero che per ristrutturare un bagno non occorrono i tempi della Cappella Sistina.
Solo dopo aver sentito il parere dei suoi legali, ha iniziato a fare il suo “dovere” di padre. Mi chiama lamentandosi di perdere la quotidianità dei ragazzi, tormentandoli con messaggi, telefonate, controlli continui che azzerano la loro autonomia mentale, il loro essere adolescenti. Gli ho spiegato più volte che basterebbe applaudire ad una lezione di nuoto o farsi raccontare la giornata in allegria a cena per costruire qualcosa di puro e bello.
Ho sviluppato con i nostri figli un rapporto fatto di scambi continui, di pareri sinceri e aimè non mi ha mai fatto piacere ascoltarli mentre mi dicevano di non sentirsi mai liberi in casa di loro padre. Si sentono seguiti, controllati, predati, e allo scuro di porte chiuse. Mi parlano della scarsa igiene dei luoghi predisposti per loro. Ma nella realtà loro non godono di veri spazi né di un vero dialogo. Subiscono le sue azioni, è questo quello che sento in tutti i loro racconti. Ciò che non riesce a fare più con me prova a farlo con loro: dominare e controllare tutto.
Nonostante i casini ho cercato di tenere sempre i nostri figli fuori dalle mere questioni di coppia. Ma lui no, racconta loro cose riprovevoli. Sono pur sempre la loro madre e ne soffrono.
Gli ho detto che non lo amavo più e me ne sono assunta le conseguenze ma lui voleva di più: darmi della matta, dell’egoista, della poco di buono.
In un primo momento l’ho anche accettato perché pensavo soffrisse, poi quando ho smesso di subire il sopruso gratuito ha iniziato ad aumentare gli epiteti. Ero un’isterica e “accalorata rompicoglioni”.
Da esasperata qualche volta ho alzato la voce, ho perso la pazienza e questo mi ha sballottato nella parte del torto. Poi è bastato un bravo avvocato e il dado è stato tratto.
Ma io adesso ho ritrovato il coraggio di essere una madre, una donna capace, autonoma.
Lo conosco e so che mi vorrebbe sola in eterno, ad accartocciarmi sulla mia incertezza emotiva ed invece io sono stata coraggiosa delle miei scelte, ho trovato nuovamente l’amore. Ma questo, un narcisista come lui, non lo può accettare.
Tenta di continuo, facendo leva sui figli e sull’interesse per i loro bisogni, ad inserirsi nella mia sfera personale ferendo da anni la mia dignità, calpestando in ogni dove il mio nome, spifferando divertito che mi vorrebbe morta. Come fa una vittima di violenza psicologica come me a dimostrare quanto subito se non può riportare le prove di tutto ciò, chiamate e messaggi di ogni sorta? Mi dicono che non si può. E allora scrivo queste parole per raccontare la bolgia del mio trascorso grazie a quest’uomo.
I nostri figli sono obbligati a chiamarlo, anche adesso che hanno 14 e 15 anni e hanno bisogno dei loro spazi da adolescenti che si stanno formando e interagendo con le molteplici novità della vita. Non possono perdere una chiamata, andare in gita spensierati che subiscono sms continui: "ti sei dimenticato di papà? ” oppure “perche non mi chiami? hai di meglio da fare? ” “spiegami la ragione, perché non rispondi? ”
Si arrabbia con me perché sente la terra che si sgretola sotto i piedi, perché crede che è così, con il possesso e la prepotenza, che si creino i rapporti.
Anche quando provo, forzandomi lo ammetto, a fare da mediatrice e spingendo i nostri figli verso la miglior versione di loro padre non ottengo molto. Soccombo per la stanchezza. Il voler esser chiamato se ho un’urgenza per darmi una mano, come più volte mi ha detto al telefono, è solo connesso al non voler lasciare entrare nella vita dei nostri figli il mio compagno. Se fosse davvero mosso dal senso di paternità disinteressata lo avrebbe fatto anche prima.
Quanta violenza aggressiva ho subito, quella chat in cui sono costretta a “mediare” è zeppa della sua ira, di rivincite infantili e ricatti. Insieme al suo giudizio subisco quello silenzioso della psicologa che monitora i nostri tempi e vite. Un luogo virtuale di continua pressione psicologica che potrebbe dimostrare quanto è meschino lui ma invece deve rimanere, per così dire, una chat segretata.
Ho provato tante volte a ridestare la sua lucidità. È stato sempre vano. Vaneggia e io sono la sua nemica.
Nella mia nuova casa, che doveva essere il mio nuovo spazio di pace, uno spazio neutro invece mi sono trovata ad essere distrutta comunque dalle sue pressioni.
Lavoro tra colleghi ignari, cammino tra le gente che non sa, che non può immaginare il mio girone infernale e segreto.
In tutti questi momenti di estrema solitudine e dolore ho sempre scavato in me per trovare la forza di ridere e sognare, mostrarmi allegra per i miei figli.
Forse non è ancora chiaro: quest’uomo è in grado di rubare indisturbato i dati di persone terze inviando raccomandate piene di minacce e ne sta uscendo come il povero padre abbandonato.
È possibile appellarmi alla giustizia? Non posso più sopportare tutto questo in silenzio. Adesso basta.
La prego di essere un osservatore attento, di notare tutti i mezzi subdoli che utilizzerà per trionfare in tribunale.
Mi schiaccerà a causa della mia stanchezza, la mia poca voglia di battibeccare dopo anni di soprusi.
Conoscendolo nel profondo da molto tempo, so perfettamente quanto sia in grado di intavolare conversazioni supplichevoli, mimare lo sgomento da oscar in tribunale. La sua esperienza però signor giudice le farà comprendere che si tratta di un narcisista patologico. Che lui è il tipico uomo che pian piano scava nella psiche di una donna sino a piegarla.
Lui è perfettamente in grado di fingersi altro in tribunale o nelle telefonate che registra. Conversazioni in cui volutamente fa leve continue per farmi perdere le staffe e farmi passare da vittima a carnefice.
Ho provato anche con l’indifferenza ma lui, che aveva amato tutto di me, adesso non può accettare che io abbia rivolto le mie energie ad un altro e prova costantemente a rubarmele.
Io continuo ad essere il suo peggior nemico, bersaglio continuo di parole sottili e crudeli, senza rimorso. Vive senza addossarsi mai la responsabilità del genitore ma solo quella del controllore.
Trascorre la sua vita lontano da me a fabbricare, distorcere e assegnare un differente significato a ciò che dico con semplicità. È come se vivesse collezionando “prove” per attaccarmi.
Lui ama queste deviazioni sulla cattiva me perché gli consentono di rinnegare il vero sé, di temporeggiare sul suo destino. Sono io l’infame e lui si sente migliore.
Il non amare più il proprio carnefice emotivo è degno di lapidazione morale?
Ho finalmente lasciato andare lui e la sofferenza che mi causava e messo i piedi pian piano nella guarigione emotiva. Lui però strumentalizzando i nostri figli vorrebbe ancora minare il mio equilibrio.
Un pomeriggio qualsiasi mi sono permessa di far vedere ai nostri figli le foto di quando stavamo insieme e facevamo le cose naturali per tutte le famiglie.
Io che volevo semplicemente mostrare loro che anche se non era più il mio compagno lui è una parte importante nella mia vita: sono stata accusata di superficialità.
Telefonate che dovrebbero durare 5 minuti che divengono dei rapimenti emotivi senza fine. Io che già faccio i salti mortali per organizzare al massimo la vita di madre di 4 figli, architetto e compagna sono stretta in urla, insulti, ostilità, egoismo, odio e aggressività passiva.
Come si può continuare a vivere polemizzando su tutto e recrimina tutto?
Mai si è premurato di chiedermi “come stai”? Soffri anche tu, come vivi questo momento che è anche il mio? Solo astio. In qualsiasi sede non mi ha mai consentito di dire la mia accusandomi di essere rissosa, perché in sostanza egli non è abituato al fatto che io contesti e non appoggi le sue idee.
Sottolineerei, in questo rapido excursus di quella che è stata la mia vita per anni, che in tutto questo contestare il mio esser madre non vi è stato corrisposto nella pratica alcun mantenimento dal gennaio 2015 né ordinario né straordinario.
Solo adesso, dopo la sentenza del tribunale voluta da lui perché diceva di avergli messo contro i figli, mi dà i tanto agognati 600 euro.
L’elenco delle spese per mantenere dei figli in una regione come la Lombardia è di gran lunga superiore.
La quotidianità da cui si sente tirato fuori è fatta anche dell’acquisto dei libri con i ragazzi, libri che però ho pagato sempre io, così come l’ iscrizione a scuola o il dentista. Vi è una totale supponenza di poter però fare sempre meglio di me scegliendo di cosa ha bisogno all’improvviso un figlio, scegliendo senza interpellarmi il ragazzo delle ripetizioni e i tutti i costi.
Adeso io so che essere madre non significa soffrire, che amare non significa giustificare un cattivo carattere, essere terapista del proprio uomo, mettere a repentaglio sempre il proprio benessere emotivo, farsi ossessionare, riuscire a malapena a sopravvivere.
Sto impiegando tutte le mie forze per cambiare la mia vita e liberarmi dalla tendenza al senso di colpa.
Ho il diritto di poter dimenticare il dolore del passato, di rivendicare stabilità, successo e serenità per me stessa e per chi mi sta intorno.
Io so che non voglio più vivere in questo modo. Mi aiuti.
Laura.
Domenica 24 maggio 2020 13:58:45
Buongiorno,
Seguo da sempre sia lei che la sig. ra Concita de Gregorio e ho letto con interesse i vostri libri. Ma ieri sera mi avete lasciato basita con il vostro atteggiamento e le vostre osservazioni. La critica a posteriori sulle misure prese per il Covid mi è sembrata superficiale e non appropriata.
Avete sentito come si sono comportati i "giovani responsabili ", di cui avete parlato, questo fine settimana? Mi chiedo cosa sarebbe successo questo periodo se non ci fossero state le misure restrittive del Governo. Hanno esagerato? E menomale! Ma lei pensa davvero che sia un trauma così forte non fare l'ultimo giorno di scuola dove i ragazzi si abraccerebbero tirandosi le uova?
I nostri padri o nonni hanno sopportato maggiori traumi e privazioni durante la guerra.
E poi non credete con i vostri discorsi di alimentare sentimenti negativi contro il Governo a favore di Salvini e della destra?
Sono cosciente che in questo periodo ci siano stati errori, ma altrettanto convinta che con il precedente governo sarebbe stata una ecatombe!
Le critiche si possono fare ma considerando tutte le difficoltà che ci sono state nell'affrontare per primi, dopo la Cina, questo tsunami.
La prego di condividere questo messaggio con la sig. r De Gregorio che stimo ed ammiro.
Grazie
Domenica 24 maggio 2020 01:05:26
Sig. Gramellini,
perché lei non controbatte a chi nel suo programma dice castronerie. La sig. ra Concita De Gregorio che, presa da furore materno, vorrebbe diminuire le pensioni, per aiutare i giovani e i suoi figli in modo che non siano più costretti a fare i "lavoretti", dovrebbe prendersela con quelli della sua generazione e delle generazioni vicine a quella sua che quei lavoretti hanno inventato. Lasci in pace i pensionati che invece si sono battuti seriamente per conquiste sindacali che, molto volentieri, avrebbero voluto lasciare in eredità ai giovani di oggi, giovani che purtroppo subiscono passivamente ciò che un sistema economico perverso impone loro.
Anche le stupidaggini non si debbono ascoltare passivamente.
Distinti saluti.
Sabato 23 maggio 2020 21:18:40
Buonasera sig. Gramellini, mi dispiace sentir dire nella sua trasmissione che hanno riaperto tutto tranne la scuola... anche perché la scuola non si è mai fermata, anzi è andata avanti solo in un altro modo diverso da come eravamo abituati e si sa i cambiamenti sono sempre difficili da accettare... e allora le chiedo per favore di riconoscere il lavoro fatto dai docenti, dai presidi e soprattutto dagli studenti! ! e dai poveri genitori che si sono fatti in quattro per fornire gli strumenti giusti:computer, cuffie, connessione...
Cordiali saluti.
Venerdì 22 maggio 2020 17:25:24
Ad un passo dall'Ultimo giro, ho deciso: faccio leggere agli altri come ho tracorso i miei 77anni. Abbiamo una cosa in comune. IO HO PERSO MIA MADRE A 8 ANNI E HO COMINCIATO A RENDERMENE CONTO A 50 ed ORA STO QUI A RATTOPPARE LE FERITE. iL RESOCONTO BIOGRAFICO è lUNO: NE FACI A L'USO CHE VUOLE SUCCESSIVA
MENTE
Mammà
Tentammo più volte di piegare la parola al vissuto
Ma tale rimase pel silenzio geloso dei poeti
Che dire, o meglio osare
del viso vellutato di mia madre
del fragore per il suo lutto
del mormorio sacrilego familiare
Mentre l’arcobaleno del suo sguardo
oscurava la disarmonia di richiami
gonfi di toni e privi di senso
ULTIMA CHIAMATA
Ora e sempre più viva
Sarà la smania di far notte a me solo
E cercare scampo e riposo
Nella mia storia più remota.
Ogni sera mi vado incontro a ritroso.
L. Sinisgall
Pronti si parte. L’attesa ha esaurito tutti i suoi complementi. C’è da abbigliarsi, lo so, per la circostanza. Cravatta indottrinata dai colori di maggio e l’odore delle feste agostane, pantaloni che, anche se ingrigiti, non si manifestino immemori delle ricorrenze protocollari. Eccola lì una camicia di seta inamidata che è sfuggita al ricovero anticipato in una soffitta, ansiosa, ahimé, di eredi che ne avrebbero svelato i dettagli sbiaditi e occultati dalla retorica del ricordo.
Ecco, ci siamo quasi: è suonata la campanella dell’ultimo giro che richiama con crudele cinismo alla sua antesignana dei decenni trascorsi, quando il suono a lei omologo annunciava la liberazione dai banchi di scuola e l’avvio a vicende e situazioni che correggessero le prescrizioni mattutine La campanella attuale, però, è un ultimatum perentorio e indiscutibile a riconsiderare senza indugi il Cato ciceroniano, per il quale nemo est tum senex, qui se annum non putet posse vivere. Forse a dispetto di quel morbus che Cicerone stesso aveva decretato irreversibile. E’ venuto il momento di lasciare testimonianza di ciò che si è fatto. “Hai un anno di tempo. Finora hai pensato solo a scrivere e a leggere roba d’altri” mi intima il demone che mi sta accompagnando. Mi sorge un dubbio: Che la sentenza ciceroniana sia solo un pretesto. ? Oramai devo dar conto di quello che ho fatto e a chi aspiravo rassomigliare. In un anno non ci riesco.. “Srotola le carte, riapri gli schedari, avventurati nel labirinto dello smartphone munendoti di un lasciapassare arianneo che faccia da navigatore paziente e non impertinente, pronto per questa folata di nostalgia che ti sta assalendo sulla sponda di Acheronte” m’incoraggia indefesso
E’ roba di scuola, materiale nato per circostanze che mi hanno accompagnato lungo la mia permanenza decennale nella scuola. Chissà se vale la pena ripescarlo, mi schermisco. Per scongiurare una probabile défaillance abbozzo una preventiva giustificazione: non ce la faccio ad avventurarmi i in un viaggio che sicuramente supererebbe la tempistica ciceroniana. C’è, dopo tutto, da devirgolare i discorsi per pausarne i pensieri in funzione della nuova destinazione. Sono consapevole che andrebbe rivisto il quadro del piano esistenziale che ha sorretto tutto il materiale. Non in tutte le stagioni ho scritto e trascritto l’accaduto e testamentato i riflessi. Per ciò molto andrà composto sotto forma di ricostruzione. Ho vissuto tra mura scolastiche per una vita intera: sono stato scolaro dall’età di cinque anni, studente liceale fino al sessantadue, insegnante in classi per “ritardatari” negli anni settanta e successivamente per adolescenti ambiziosi e brillanti, attraversando la ricostruzione postbellica, i cosiddetti favolosi anni sessanta con corollario sessantottesco, le riforme che si sono avvicendate nei decenni che vanno dal Settanta del secolo scorso alla prima decade del terzo millennio. Anni in cui avevo sperimentato il narcisismo del primo banco e la batosta della bocciatura, la laurea tardiva e i successi concorsuali. Percorsi agevolati o accidentati da un’esistenza non avara di sorprese ed entusiasmi, delusioni e rammarichi, rimorsi e risentimenti. Il materiale quindi da sistemare è figlio degli anni della presidenza al Liceo di Belvedere marittimo, mentre per il remoto passato vanno resocontati i ricordi, tentando di accordarne la fedeltà agli agganci premonitori e ai collegamenti con quanto sarebbe accaduto successivamente. Con un interrogativo perentorio che mi assedia da anni: ha senso ancora la scuola? O per essere più benevolo nei confronti dei miei detrattori: è legittimo che ci sia ancora chi presume di insegnare e chi è costretto ad apprendere secondo schemi e modalità che da secoli definiamo scuola?
Titolerai i paragrafi? Nobiliterai argomentazioni con epigrafi classicheggianti? Svincolerai le argomentazioni dalle circostanze che le hanno generate, con il fine di renderle supporto emblematico? Riuscirai a bypassare l’amore e la dedizione per la scuola che ti hanno accompagnato dagli scantinati agli androni ministeriali? Insiste il demone. Ed ancora: con quali modi dividerai i tempi? Con quelli classici, passato, presente e futuro? annum potet vivere, non dimenticare, mi avvisa. Abbasso la testa
iuro, promitto e spero
TRAPASSATO REMOTO
e mi fermo qui, per non toglierle tempo. PARCE SEPULTO
Venerdì 22 maggio 2020 15:14:31
Caro Massimo,
provo a scriverti nella speranza che tu possa leggermi. Ho molto apprezzato il tuo articolo sulla ministra Azzolina...
Ora vorrei sottoporre alla tua attenzione un'altra angheria ai danni di noi docenti precari. La senatrice 5S Granato ha detto che sospenderà il servizio a tutti i docenti favorevoli al concorso per titoli anziché "per crocette", che secondo loro dovrebbe valutare il merito. 80 domande in 80 minuti per giudicare se sono meritevole di insegnare, quando lo faccio già da 5 anni (e molti miei colleghi anche da più tempo)
Trovo che sia gravissimo questo tono, ti prego dacci voce, aiutaci a non far passare inosservata questa dichiarazione. Nessun tg si occupa di noi, nessun politico piange per noi che viviamo nell'ansia da anni e diamo il nostro meglio per gli alunni.
Spero che mi ascolterai.
Un caro saluto
Venerdì 22 maggio 2020 07:18:09
Gentile dottor Gramellini,
seguo da tempo il suo lavoro, ne apprezzo, in particolare, l'acume e l"ironia. Le scrivo in riferimento all'ultimo sfondone della mia "Capa suprema" (si, sono, orgogliosamente, docente della Scuola Primaria Statale) ho l'impressione che la signora Ministra si riferisse alla frase [,.. gli alunni non sono vasi da riempire... ]. VASI non imbuti.
Questo mi fa riflettere. Supponiamo il lapsus, ma per logica non si riempie l'imbuto.
Penso alle lauree, master, specializzazioni, tirocini e corsi di perfezionamento, a mie spese e che spese, che ho conseguito per offrire ai miei studenti il meglio possibile. Questo perché ci credo. Fornire strumenti, mezzi per ottenere menti critiche e interpretative. Far crescere i bambini nell'idea, se non con la certezza, che DEVONO contribuire al bene della comunità, ognuno a suo modo, in maniera indipendente. Progettare, Co-costruire, realizzare, azioni dinamiche, questa è la scuola Italiana che funziona a qualche modo per la ferrea volontà degli "scemi" come me. Tanti, un un'esercito di docenti che si fa carico di tutto, Andando avanti nonostante i cambiamenti politici e di vertice.
Questa idea dell'imbuto proprio mi tarla.
In questo periodo così inconsueto poi, abbiamo dovuto ripensare, reinventare in nostro lavoro in cinque giorni. Siamo diventati esperti di DAD, tecnici informatici, esperti di web e videoconference. Consolatori di genitori in difficoltà, compagnia per i nonni al tablet con i nipoti,
I nostri bambini e ragazzi si sono dimostrati in gran parte eccellenti, responsabili, capaci.
Nel nero periodo del COVID 19 e'nata la scuola virtuale della società "eterea", che sta nell'etere, che vive di connessioni, e i protagonisti sono loro, i nostri bambini.
E me li chiama imbuti!!!