Messaggi e commenti per Milena Gabanelli - pagina 52
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Frasi di Milena Gabanelli
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Biografieonline non ha contatti diretti con Milena Gabanelli. Tuttavia pubblicando il messaggio come commento al testo biografico, c'è la possibilità che giunga a destinazione, magari riportato da qualche persona dello staff di Milena Gabanelli.
Domenica 12 aprile 2020 11:17:49
Venerdì 10 aprile 2020 20:52:17
Chiedo scusa per questo mio sfogo, ma mi chiedo perché virologi ed epidemiologi sono continuamente in tv, preferirei saperli al lavoro cercando un vaccino per il Covid. Ma oltretutto Galli dell'ospedale Sacco si permette di dire che le aziende più importanti potrebbero riaprire a Giugno. Io mi chiedo se questi personaggi hanno un ruolo istituzionale o no, perché se non è così rischiano di creare una sorta di terrorismo sanitario nel pensiero delle persone che sono già provate. Chiedo scusa, non intendo offendere nessuno ma credo che l'Italia abbia bisogno di una voce unica e ufficiale. Gli altri stiano zitti. Grazie.
Lorenzo Stanzani.
Auguri di buona Pasqua a voi e grazie per quello che fate.
Venerdì 10 aprile 2020 12:26:11
Bungiorno Milena, in questo periodo di 40ena siamo "liberi" di navigare in rete per piacere e per curiosità. Dalle scuole medie non ho mai "accettato" le Regioni a statuto Autonomo per la loro diversità post bellica mondiale, ormai anacronistica. Ora, dopo essere divenuto io un piccolo imprenditore fatico ancora di più a farmene una ragione, quanto del mio lavoro ritorna in queste 5 isole fiscali, una sopratutto.
Le chiedo gentilmente se possibile avere una sua versione di questa realtà italiana e, come solo Lei sa fare, a dare una dimensione anche numerica dei vantaggi, svantaggi, locali e nazionali di tutto ciò.
Grazie per ora della sua disponibilità.
Emanuele S.
Carpi (MO)
Venerdì 10 aprile 2020 01:52:24
Buongiorno, avrei un quesito da sottoporle in merito ad una questione della quale si era occupata durante la conduzione di Report. potrebbe scrivermi al mio indirizzo? grazie
Giovedì 9 aprile 2020 19:59:51
Gent. ma Dott. ssa Gabanelli,
Le scrivo in relazione al piano di rinascita nazionale, che dovrebbe seguire il termine dell’emergenza coronavirus.
La prima condizione necessaria (ma non sufficiente) per avviare una fase di sviluppo è l’acquisizione delle risorse, la seconda necessaria (ed anche sufficiente) è quella di un impiego equo e proficuo di queste. La seconda condizione sarà ancora più impegnativa in quando lo stato sembra voler utilizzare la strada dell’indebitamento, senza ricorrere alla fiscalità.
Si parla di una ripresa simile a quella del dopoguerra, che io ho vissuto da bambino, in quanto sono nato nel 1954 e non La tedierò con i ricordi dell’Italia tra ricostruzione e boom. A quell’epoca l’intervento pubblico è stato poderoso ed anche efficace, pur in presenza di squilibri generati, oltre che dagli inevitabili fenomeni speculativi, anche dalla necessità di provvedere, con assoluta urgenza, ai bisogni minimi della popolazione (cibo, vestiario, alloggio, istruzione, lavoro …), da parte di governi che temevano, più di ogni altra cosa, l’insurrezione popolare.
Uno dei punti cardini della rinascita è stata la ricostruzione fisica del paese, con strumenti legislativi quali il “piano Fanfani” e le leggi Aldisio e Tupini, che hanno messo in campo la contribuzione dei lavoratori, con la GESCAL, le risorse dell’INA e della Cassa Depositi e Prestiti, anche in termini di garanzie sui mutui.
Le speculazioni, sappiamo, non sono mancate e ne stiamo ancora pagando il prezzo in termini di vivibilità degli ambienti urbani, piccoli o grandi che siano.
Nel 1967, col la c. d. “legge ponte” e con il decreto sui minimi standards urbanistici, si è posta una prima base di regolazione dello sviluppo urbano; ovviamente si è regolato quello per gli anni a seguire, senza poter intervenire sull’esistente.
Il patrimonio edilizio realizzato nel ventennio ’46-’67 è imponente (circa diecimilioni di abitazioni) ed in moltissimi casi interessa aree divenute centrali negli ambiti urbani. La maggior parte di questi fabbricati è priva di pregio architettonico, non è antisismica ed ha prestazioni energetiche scadenti.
La lunga premessa per affermare che la rigenerazione urbana dei quartieri edificati nel dopoguerra può essere uno dei motori della rinascita economica, potendo impegnare risorse nell’ambito dell’industria delle costruzioni, a tutti i livelli, dalle piccole alle grandi imprese ed agli studi professionali, coinvolgendo il vastissimo indotto che ruota intorno all’edilizia.
La pianificazione, basata sui carichi urbanisticamente ammissibili, dovrebbe essere finalizzata alla restituzione all’uso pubblico di parte del suolo oggi occupato dalle costruzioni, prevedendo la riqualificazione di quanto è compatibile e adeguabile, oppure la sostituzione dell’esistente.
L’azzeramento del consumo di suolo, con la conseguente riduzione delle aree occupate dagli edifici e con il limite di edificabilità connesso ai volumi demoliti, restituirebbe valore agli edifici obsoleti, compresi quelli non più utilizzati degli enti pubblici, incrementando, in un solo colpo, il patrimonio di questi (scuole, caserme, ospedali, ecc.), tramite il valore della cubatura e della superficie che sviluppano.
Alcune regioni hanno già emanato leggi regionali in questo senso, mentre il disegno di legge approvato alla Camera nella passata legislatura, non è stato trasformato in legge.
Le resistenze, per ovvi motivi, da sempre presenti, rispetto ad un approccio alla pianificazione urbana sopra descritta, oggi sarebbero rafforzate da presunte esigenze di investimento immediato che, in assenza di strumenti normativi, aggraverebbero le condizioni in cui versano i nostri ambienti urbani; di contro esistono ambiti di investimento, quali le infrastrutture nel mezzogiorno o la tutela del patrimonio architettonico, che possono essere oggetto di investimenti a breve.
Affido a Lei, autorevole e soprattutto libera esponente del giornalismo italiano, queste riflessioni affinchè, se valutate interessanti, possano essere spunto per un dibattito di approfondimento.
Con stima
Ing. Giancarlo Ritucci
Giovedì 9 aprile 2020 11:17:11
Salve,
perchè tutti sono concentrati sull'economia reale e nessuno pensa al danno socio-economico dovuto al trauma della cattività di milioni di persone?
Il problema di ansia, depressione, stress, incubi, incertezza per il futuro ecc. è attualmente, a mio parere, molto grave e comporterà in seguito dei danni psicologici a lungo termine, questi andranno a colpire una vasta parte della popolazione (bambini compresi) che dovrà essere assitita.
Certo, sarà meno grave della pandemia, ma costituirà un problema difficile soluzione, senza adeguato e professionale supporto.
Vorrebbe essere così cortese di fornirmi un suo parere?
Grazie
Antonio
Giovedì 9 aprile 2020 04:08:52
E se per oggi 9/3/2020 proponessimo agli europei del sud... ovvero a tutti quelli colpiti da C19.. di fare un minuto di silenzio... fermi ovunque essi siano.. per far capire alla CEuropea... che oggi. la SUA decisione CONGIUNTA... puo' VERAMENTE essere UTILE.. per TUTTI NOI... ???
Mercoledì 8 aprile 2020 14:13:31
Spett. Milena. sono un ricercatore (scalzo), in viaggio tra STORIA della MEDICINA e STORIA e FILOSOFIA della SCIENZA MEDICA, mi chiedevo se ci fosse volontà da parte vostra di aprire una finestra da un punto d'osservazione privilegiato per approfondire quanto stiamo affrontando (COVID-19), Spero la mia formazione sia sufficiente a stuzzicarle la curiosità,. distinti saluti...
Martedì 7 aprile 2020 10:12:28
Buongiorno, ma nessuno fa una indagine seria sulle condizioni di lavoro dei dipendenti delle rsa private a Milano, gestite spesso da enormi cooperative, sul trattamento degli ospiti che pagano intorno ai 3000 euro al mese, Sull’inesistenza di diritti e sulla latitanza dei sindacati, sulla connivenza delle istituzioni delegate ai controlli che trovano, dopo aver avvertito in anticipo dell’arrivo dell’ispezione, solo piccole mancanze e ignorano le enormi. Soprattutto in questo periodo di emergenza le rsa hanno minimizzato per non preoccupare ospiti e parenti, non hanno distribuito i necessari dispositivi medici se non molto in ritardo e, quando hanno distribuito le mascherine, erano fatte di cartaccia subito rotte. Molte non controllano la febbre dei dipendenti all’entrata, nascondono i veri dati sulle infezioni in una omertà dolorosa per i parenti con i medici interni collusi ed evasivi, non hanno ancora un protocollo rigido di comportamento, ma sono superficiali perché per loro gli operatori, per lo più extracomunitari o dell’est, sono cose e quello che importa è solo il Dio denaro. È schifoso che in Italia siano permesse queste isole di sopraffazione e spesso di illegalità e così diffuse. Nessuno le denuncia perché verrebbero licenziati immediatamente. Vi prego fate quello che potete
Lunedì 6 aprile 2020 18:33:29
Gent. ma Dott. ssa,
ormai sono anni che seguo le sue inchieste (prima in TV e adesso sul quotidiano) e le voglio esprimere gratitudine per il grande lavoro che svolge per la collettività: con il suo prezioso e serio lavori contribuisce sicuramente ad ad accrescere la consapevolezza dei cittadini sulla realtà che vivono quotidianamente.
In virtù di questa stima, ho deciso di sottoporle alcune mie riflessioni, formulate in questi giorni di prigionia domiciliare su alcuni cambiamenti che penso interesseranno il nostro modo di vivere futuro.
Nel ringraziarla per la sua eventuale attenzione le invio cordiali saluti.
F. to Ing. Giuseppe Acquaro.
Il futuro che ci attende e le scelte da fare.
In questi giorni penso che quasi tutti abbiamo maturato la consapevolezza che il coronavirus - e in generale il rischio legato ad epidemie batteriologiche o virali - cambierà il nostro modo di vivere: il lavoro, la socialità, le modalità di fare acquisti, gli strumenti e i modelli educativi nelle scuole e nelle università, la gestione e la cura della salute e in generale tutte quelle attività umane quotidiane che comportano un contatto con gli altri e nelle quali sarà necessario adottare l’arma del distanziamento sociale.
Tale stato di cose permarrà fintantoché non sarà scoperto un vaccino o una cura sintomatica: ma gli scienziati ci dicono che il virus è di tipo genetico, ossia cambia nel tempo, e quindi il problema si ripresenterà ciclicamente e quando ciò accadrà, ecco che dovremo nuovamente disseppellire l’arma del distanziamento.
In definitiva, possiamo forse ipotizzare che in futuro alcuni cambiamenti saranno transitori, ma altri diverranno permanenti. E come sempre è avvenuto in passato, chi non saprà cogliere per tempo i cambiamenti in atto per adattarsi, subirà un ridimensionamento della propria qualità e stile di vita. Tale regola vale tanto per i singoli quanto per le imprese, le comunità e le nazioni.
Un prestigioso studio di un gruppo di ricercatori dell’Imperial College di Londra, ha messo in evidenza cosa ci aspetta nell’immediato futuro: misure di distanziamento sociale estreme ogni volta che i ricoveri nei reparti di terapia intensiva iniziano ad aumentare alternate a misure più labili ogni volta che i ricoveri diminuiscono.
La frequenza temporale di questo approccio a “fisarmonica” dipende oltre che dalla quantità di letti disponibili in terapia intensiva, anche dal grado di accettabilità di “sacrificare” la popolazione più anziana o più fragile: al riguardo è significativo osservare le differenze di approccio (almeno iniziale) fra i paesi anglo sassoni e quelli neo latini: più liberisti i primi, più “sociali” i secondi.
In questo approccio a fisarmonica, inoltre, quando la soglia degli “infetti” scenderà al di sotto di una certa soglia (R0<1), le misure restrittive saranno revocate ma le persone “infette” rimarranno comunque confinate a casa.
Qualche autorevole studio ha stimato che il distanziamento sociale comporta una riduzione del 25% dei contatti: questo significa che la chiusura delle scuole dovrebbe essere in vigore per quasi due terzi del tempo (attivo due mesi e un mese in pausa). In questo scenario, per non interrompere il processo di apprendimento e di studio anche durante le quarantene, sarà quindi necessario ripensare il modello didattico di scuole e università.
Uno stile di vita da recluso, però, non è sostenibile (né fisicamente né economicamente) per periodi così lunghi e pertanto si dovrà necessariamente pensare ad un nuovo stile di vita sociale.
Il modello che sta prendendo forma è quello coreano: una sorta di grande fratello che segue ogni nostro movimento in ogni istante della nostra vita quotidiana e controlla lo stato di salute in tempo reale per “avvisare” gli altri ovvero tenerci bloccati. In poche parole sarà formalizzato un “lascia passare” con cui sarà possibile acquisire la libertà di movimento sacrificando il nostro diritto alla riservatezza.
Questo elemento costituisce, a mio avviso, un duro colpo alla cultura liberale occidentale, nella quale i diritti individuali sono una pietra miliare delle democrazie, così come esse si sono evolute nella odierna post modernità. Nella odierna cultura liberale, infatti, siamo divenuti poco inclini a tollerare sacrifici del benessere individuale - libertà individuali - a favore del benessere collettivo, atteso che si considera il secondo come una conseguenza del primo.
Nell’attuale scenario non è assurdo temere il rischio che si possano introdurre nuove forme di “discriminazione” legali. In presenza di tecnologie in grado di identificare chi è a “rischio” e chi no, l’informazione sul nostro livello di rischio, accanto ad un suo utilizzo finalizzato a limitare la nostra libertà di movimento (accesso ai mezzi di trasporto, a grandi spazi, a edifici governativi, a locali pubblici e notturni, ai teatri, ai cinema, nei luoghi di lavoro, ecc…), potrebbe essere utilizzate anche per altri scopi.
Al rischio di mobilità potrebbero associarsi altri parametri per valutare un rischio di tipo “economico” e/o “produttivo” delle persone. Potrebbero, cioè, introdursi barriere legali di “ingresso” e quindi criteri intrinsecamente discriminanti: il tutto accettato in nome di una economia di mercato che non può sopravvivere con soggetti a rischio in circolazione.
Se questo rischio di “discriminazione sociale” è fondato, non vi è alcun dubbio che il maggior costo di questo cambiamento sarà verosimilmente sostenuto dai più poveri e dai più deboli.
E come sempre avviene in occasione di grandi cambiamenti, ci saranno alcuni che ci perderanno più di altri: allo stato attuale delle cose, se non cambieranno alcuni paradigmi fondanti della globalizzazione, è ragionevole ritenere che in futuro a perderci saranno quelli che hanno già perso troppo negli ultimi decenni, ossia quelle fasce sociali che hanno subito negli ultimi due decenni un processo di precarizzazione.
Oggi più che mai diventa importante gestire i cambiamenti traguardando al modello sociale che si vorrà in futuro.
Possiamo continuare a difendere l’attuale modello sociale, basato sul liberismo economico-finanziario, con le sue non regole e i suoi meccanismi di controllo sociale, il quale, negli scenari prima descritti, ci condurrà inevitabilmente verso una società sempre più ingiusta e nella quale agli attuali squilibri economici si affiancheranno inevitabili squilibri nelle libertà individuali (chi ha di più è più libero).
In alternativa possiamo avviarci verso un nuovo modello sociale che, riprendendo il paradigma del secondo dopoguerra, nel rapporto individuo–collettività la priorità sia assegnata a quest’ultima: un modello sociale nel quale, ad esempio, accanto alla prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale, individui chiaramente gli asset strategici che devono essere sottoposti al potere di indirizzo e controllo della collettività.
Un modello in cui l’interesse collettivo (sostenibilità e coesione sociale) è prevalente sempre e comunque sui bisogni individuali. Un modello nel quale, ad esempio, la valorizzazione delle intelligenze e delle competenze sia finalmente considerata una priorità “collettiva” assoluta e per tale ragione la collettività se ne farà carico (anche economicamente), bloccando ad esempio l’esodo dei nostri cervelli, giovani o meno giovani che siano.
Un modello che non dà direttamente (e sempre di più) ai singoli (utilità privata) ma indirettamente e di più a tutti attraverso servizi collettivi strategici per la collettività, come ad esempio una sanità (pubblica) adeguata ai nuovi tempi, una istruzione (pubblica) di più elevata qualità, trasporti e infrastrutture (pubbliche) efficaci ed efficienti e così via; un modello sociale nel quale siano individuati chiaramente gli asset strategici che devono essere sottoposti al potere di indirizzo e controllo della collettività.
Un modello nel quale, ad esempio, l’asset che gestisce le informazioni e i dati sia considerato strategico in quanto la loro manipolazione consente di manipolare la realtà e, quindi, non può essere gestito da mani straniere o, ancora peggio, da multinazionali private che sono o telecomandate dai propri governi o da mercenari che vendono al miglior offerente, ma che in entrambi i casi sono comunque mani in grado di mettere a rischio la stabilità politica ed economica di interi paesi e, in definitiva. La tenuta democratica di un paese.
Analoghe riflessioni si possono fare per altri asset non meno importanti, quali ad esempio i trasporti aerei e navali, la logistica delle merci: asset oggi interamente in mano ai mercati (sovente controllato da azionisti pubblici o privati esteri) e sui quali lo Stato non può non avere il potere di controllo e di indirizzo reale da utilizzare al bisogno, specie nei momenti di crisi emergenziale, come quello che stiamo vivenmdo oggi.
Abbiamo il dovere di lasciare in eredità ai nostri figli una democrazia sana, così come ce l’hanno consegnata i nostri padri.
Voghera, 06/04/2020
f. to Ing. Giuseppe Acquaro