Messaggi e commenti per Massimo Gramellini - pagina 58

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Frasi di Massimo Gramellini

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Biografieonline non ha contatti diretti con Massimo Gramellini. Tuttavia pubblicando il messaggio come commento al testo biografico, c'è la possibilità che giunga a destinazione, magari riportato da qualche persona dello staff di Massimo Gramellini.

Martedì 21 aprile 2020 19:17:23

Sono don Manlio Sodi. Sono stato incaricato di preparare una Miscellanea di studi per gli 80 anni del card. Ravasi. Mi hanno segnalato il suo nome. Ma non riesco a contattarla per mail. Se desidera collaborare posso mandare il progetto. Ma non ho l'indirizzo.
Grato per l'attenzione, porgo n cordiale saluto

don Manlio
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Martedì 21 aprile 2020 18:21:21

Buongiorno Massimo,
sono mamma di due ragazze che frequentano il Liceo (l'una il classico, l'altra il linguistico) in una piccola città del Veneto (ad oggi, fortunatamente graziata dall'epidemia), quindi a casa da scuola dalle vacanze di Carnevale (21 febbraio).
La più grande quest'anno dovrà affrontare gli esami di maturità... sì, quegli esami che alcuni decantano come la "prova della vita", un"rito di passaggio" che non si dimenticherà mai, un vero peccato non poterli fare come negli anni precedenti! La Ministra Azzolina li ha definiti addirittura il momento più bello della sua vita...
Allora mi chiedo: ma davvero le esperienze di vita e di crescita di certe persone sono state così limitate??? Sul serio, in un momento come questo, si può pensare che l'esame di maturità tradizionale avrebbe lasciato ai nostri ragazzi un segno e un insegnamento più profondo di quello che stanno vivendo ora?
Mi viene da pensare che i nostalgici dell'esame in questione non siano maturati poi così bene, se si limitano a dare valore ad una prova assolutamente formale, che ogni anno viene modificata senza capire bene perchè; incredibilmente, non riescono a riconoscere l' esempio di enorme responsabilità e maturità dimostrata da tutti i giovani di oggi: sebbene meno esposti ai danni del coronavirus, rispettano regole e quarantena per aiutare le categorie più vulnerabili; molti di loro con serietà e dedizione stanno continuando a studiare, nonostante la possibilità di sottrarsi molto facilmente a lezioni ed interrogazioni.
C'è stato pure qualche "genio" che ha suggerito di riportare tutti a scuola a luglio, come se ragazzi ed Insegnanti debbano dare chissà quale prova di preparazione e serietà ulteriore rispetto a quella data finora!
Sarà che a me l'esame di maturità ha lasciato ben poco rispetto alle fatiche per arrivare in quinta Liceo e alle soddisfazioni avute successivamente dalla Vita; sarà che mia figlia non aspira al massimo dei voti e quindi affronterà l'esame semplicemente per concludere il Liceo e cominciare una nuova esperienza all'Università... quindi davvero non riesco a capire l'eccessivo peso che viene data a questa prova, a maggior ragione in un momento difficile e delicato come questo.
Mi piacerebbe che questi ragazzi venissero ricordati non per"quelli che hanno fatto la maturità senza scritti e Commissari esterni", ma per quelli che sono diventati maturi nonostante il Coronavirus, rimanendo ben saldi di fronte alla paura e all'incertezza.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Lei, che con grande sensibilità riesce a dare la giusta misura agli eventi della Vita.
La ringrazio
cari saluti
Chiara

Martedì 21 aprile 2020 14:21:13

Grazie per aver fatto con molto garbo, come sempre, un quadro preciso di tutte queste comparsate di esperti. Sono un immunologa dal 1977, quando la scuola era una sola a Firenze e noi eravamo meno di duecento per tutta Italia, e spesso in questi giorni mi sono sentita... degradata?. .. svilita?. .. non mi viene il termine ma quello che avevo condiviso con Burioni (il famoso post su FB) : parlo con chi ha studiato etc...) è finito miseramente in immuni’s got talent o Vip immunology’isle.
Ripeto grazie, c’è bisogno di persone che aiutino a riflettere, buon lavoro

Martedì 21 aprile 2020 11:50:59

DOPO IL CORONAVIRUS
Erano seduti sul prato della villa comunale all’ombra di un salice piangente a raccontare storie impossibili. Marco, Piero, Massimo, Samuele e Salvatore, cinque adolescenti di tredici anni con una gran voglia di fare, seppellire le noiose giornate che passavano lente nel piccolo e nuovo paese ai piedi di quello antico e storico centro medioevale, con le case spalmate sulla collina che con una mano allungata tocca la pianura della valle del Fullone, l’altra accarezzava i monti Paolitani sul cammino di San Francesco da Paola. Il Paese non era stato risparmiato dall’epidemia del virus battezato COVID19 all’inizio del duemila e venti e si era portato, dopo lenta agonia, sottoterra, tutta la popolazione dai quarantenni in su; nessun vecchio, nessun pensionato era sopravvissuta all’epidemia, la persona più anziana adesso aveva poco più di quarantacinque. Il focolare si era sviluppato nel vecchio centro storico quando ormai la prima fase del contagio sembrava superata e la gente iniziava ad avere contatti, dopo la lunga e snervante quarantena. La gente aveva voglia di stare insieme e non passava giorno nel centro storico senza un evento; le sagre si susseguivano senza sosta tutti avevano voglia di stare insieme, strusciarsi nella folla, inebriarsi. Il vento termico, sempre presente, portava verso valle profumi di cipolla e salsicce arrostite, musiche, canti e balli. Nei vicolo, ognuno dava sfreno al lungo periodo represso in quarantena, il gregge fremeva eccitato. Purtroppo il virus silente era mutato nelle cellule che sembravano ormai guarite, diventando molto, molto letale e uccidendo in brevissimo tempo gran parte della popolazione, specie quella più matura. Vennero prese restrizioni drastiche, il centro storico venne chiuso, murato con la gente dentro, solo ai più giovani venne permesso di uscire dopo accertamenti sanitari. Quelli rimasti man mano che morivano venivano cremati in una veccia fornace modificata per l’esigenza; nel giro di sei mesi non restò in vita nessuno nel lazzaretto del centro storico, così lo chiamavano in ricordo della peste. Il paese riprese a vivere a valle, nella pianura nella vecchia zona industriale sulle rive del fiume Fullone. Ormai erano passati più di cinque anni che nessuno metteva piede nel vecchio paese ricco di storia, probabile rifugio dei Sibariti sopravvissuti alla disfatta del 510 a. c..
Marco guardava il vecchio paese che ancora incuteva timore ma carico di fascino. La vecchia torre Normanna che da mille anni si ergeva sopra il paese, circondata da un stormo di cornacchie, era un punto cospicuo che ricordava gli antichi splendori del paese dei nobili, i Sammarchesi.
«Voglio visitare la torre». Disse Marco ai compagni.
Poi si alzò montò sulla bicicletta e si avviò verso la collina seguito dal resto della compagnia. Percorsero la stradina che costeggiava il fiume e in breve tempo arrivarono sul ponte del Mulino di Mezzo, ma non era possibile proseguire sulla vecchia pista a causa delle recinzioni fatte con rotoli di filo spinato ormai incastrati con la vegetazione di spinosi rovi impenetrabili. Nella vecchia piazzetta antistante il vecchio mulino ad acqua, c’era una tabella dove era riportata la piantina del vecchio paese e ancora si potevano leggere i nomi delle vie e dei monumenti. Massimo che si era allontanato dal gruppo notò un ruscello che veniva dal paese in mezzo a una gola verde e sfociava nel fiume; chiamò il resto della banda e dopo aver nascosto le bici si inoltrarono nel ruscello risalendo verso il paese. Dopo qualche centinaio di metri, camminando nelle acque fresche, si presentò agli occhi dei ragazzi un vecchio ponte Normanno occultato in gran parte dalla folta vegetazione, più avanti l’acqua del ruscello sgorgava fuori da un grosso cunicolo che si infilava nella collina, risalendola in galleria. I ragazzi avevano lasciato le bici ma si erano portati dietro le luci a pila montate sulle forcelle e senza perdersi d’animo avanzarono nel buio fino ad un tombino verticale molto largo da dove l’acqua scendeva a casata su un lato. Sulla parete asciutta c’era una scala a pioli fatta con tondini di ferro infilati nella parete di calcestruzzo, in cima c’era una grata. La grata di protezione del tombino era solo poggiata e con poca difficoltà venne aperta e la luce del giorno li abbagliò. Tutt’intorno c’erano vecchie case imprigionate nel verde; da una porta aperta usciva un grosso fico che ormai da anni aveva preso possesso dall’abitazione orfana dei proprietari le sue fronde davano ombra alla piccola piazzetta. La banda dei cinque esploratori si infilò timorosa nei vicoli deserti e al loro passaggio volavano spaventati i colombi che avevano colonizzato il quartiere e curiosi conigli si affacciavano dalle tane scavate nelle vecchie mura; girato l’angolo entrarono in una piazzetta e alla loro vista si presentò un monaco che faceva capolino in mezzo all’erbacce di un giardinetto recintato. Tre dei ragazzi urlarono per lo spavento e indietreggiarono spaventati a morte mentre Samuele e Salvatore si sbellicavano dalle risate perché avevano visto bene che il monaco era una vecchia statua di padre Pio. Uscirono dal vicolo del vecchio centro storico e si affacciarono sul corso principale. La vegetazione aveva preso possesso incorniciando le vecchie insegne dei negozi. In ordine c’era una macelleria poi un negozio di frutta e verdura, un bar e a seguire un tabaccaio, un’altra macelleria, una ferramenta e poi una piazza, piazza Umberto si leggeva su un angolo in alto di un muro, pitturata con caratteri neri su un riquadro bianco. Una vecchia autovetture arrugginite stavano parcheggiate da anni, all’interno c’erano dei libri e vecchi giornali ingialliti, su un balcone al primo piano, attaccata all’inferriata c’era una vecchia telecamera che guardava senza vedere ormai da anni la piazza e il corso; apparteneva a un sito web che prima del dramma postava giornalmente le immagini del paese e della gente che passeggiava tra le bancarelle della fiera domenicale.
Si stava facendo tardi e il gruppo si rinfilò nei vicoli per rientrare a casa prima che facesse buio, con la promessa di ritornare il giorno dopo, ma non avevano fatto il conto con il dedalo tipo casba dell’antico centro storico. Si ritrovarono due volte nello stesso punto e non ne venivano a capo. Volevano fare la cosa giusta, quella di scendere dritti a valle ma non c’era verso di uscirne, si trovavano sempre o in un cortile senza sbocco o dovevano per forza girare e risalire verso sopra. Il sole tramontava ormai allungando le ombre delle case e in alcuni punti in ombra era già buio. Nessuno aveva telefonino perché le nuove leggi lo proibivano ai minori e non c’era modo di chiamare le famiglie. Si infilarono in una chiesa per passare la notte, certi che in quel posto sacro sarebbero stati protetti da qualche angelo custode. Sui candelabri ancora c’erano le candele e diverse erano posate sull’offertorio. Ogni passo e ogni movimento che facevano era amplificato in quell’ambiente e per farsi coraggio iniziarono a cantare l’Avemaria di Schubert e mentre cantavano Pireo tirò dalla tasca un accendino e candidamente iniziò ad accendere le candele.
«Ma perché non lo hai tirato fuori prima quest’accendino, avevi paura che si consumasse? ». Lo rimproverò Massimo.
Il poveretto si scusò dicendo che non sapeva di avere in tasca l’accendino, lo aveva trovato il giorno prima per terra e lo aveva messo in tasca e solo adesso mentre cantava lo aveva toccato accidentalmente. Sui lati della navata molte statue di gesso vibravano sotto la luce flebile delle candele, erano i dodici apostoli. Massimo era paralizzato immobile, bianco come le statue, con gli occhi fissi su qualcosa che non era una statua anche se aveva le sembianze di San Giuseppe; alzò lentamente il braccio con indice teso per indicarlo ai compagni che appena lo videro si strinsero a gruppo come fanno le sardine spaventate, incapaci di parlare, solo guaiti usciva dalle bocche aperte. Non avevano mai visto in vita loro un vecchio, ne avevano visti tanti nelle foto o nei vecchi film, ma uno in carne e ossa mai.
«Che ci fate nella mia chiesa? ». Chiese il vecchio con voce rauca
«Lo sapete che è vietato entrare in paese, ma soprattutto come avete fatto ad entrare? ».
Piagnucolando Piero pregava il signore di non ucciderli.
«Tenga le regalo questa, è la luce della mia bicicletta, la batteria è carica; ci siamo persi, siamo entrati per sbaglio in paese e adesso non troviamo il pozzetto per uscire». Visto che il vecchio non si mostrava pericoloso ma lo guardava con tenerezza, si fece coraggio e iniziò a tempestarlo di domande.
«Ma tu sei vero o sei uno di questi santi? Quanti anni hai? Abbiti qua? Come ti chiami? »
Il vecchio con garbo lo invitò al silenzio ma anche lui era curioso erano tanti anni che non vedeva dei ragazzini e avrebbe voluto accarezzarli, abbracciarli ma non voleva spaventarli.
«Avete fame? Si che avete fame vediamo cosa possiamo preparare per cena». Poi l’uomo cambiò tono e timbro di voce.
«Vuoi anche dargli da mangiare a questi stronzetti? Hai scordato cosa ci hanno fatto i loro genitori? Sei proprio scemo e la colpa è di tua madre che ti ha sempre viziato».
«Se sempre colpa mia, invece la colpa è tua che non sei mai presente e sei buono solo a gridare e a minacciare, vedi che hai spaventato questi giovanotti? ». Rispose il vecchio a se stesso ma con la voce di una vecchia signora. L’uomo negli anni di solitudine aveva preso tre personalità, in lui c’era padre madre e figlio. Poi con sguardo amorevole da nonnina consolò i ragazzi che oltre ad essere terrorizzati erano molto confusi. Probabilmente quando s’invecchia l’uomo acquista più personalità pensarono i ragazzi.
Poi il padre prese la scena e rivolgendosi al figlio e moglie che erano nella sua testa disse:
«Raccontategliela la storia fategli sapere come ci hanno trattato parla tu Ersilia ma non tralasciare niente altrimenti mi arrabbio e mi metto a strillare porco di un cane pulcioso».
«Calmati Giovà stai calmo, hai ragione ma non sono troppo piccoli per sapere la cruda verità? ». La faccia diventò di nuovo dura e senza proferire mosse lentamente la testa a destra e a sinistra lentamente, aveva detto no.
«Va bene». disse la donna con voce calma.
«sedetevi su quel banco e se non capite alzate la mano prima di parlare. Erano i primi di maggio, ma non festeggiammo la festa del lavoro, l’epidemia si manifestò con tutta la sua violenza e a fine mese i pochi anziani sopravvissuti venimmo chiusi nel paese, alzarono recinzioni e murarono tutti gli accessi. Ogni settimana i militari ci portavano i viveri calandoli con una gru; eravamo meno di cento persone rimasti, molti erano al letto attaccati a degli erogatori subacquei che li aiutavano a respirare, l’aria veniva pompata con dei compressori elettrici e stranamente non moriva nessuno, il virus anche se debole era presente nei nostri corpi. Ricordo l’ultimo controllo che ci fecero, risultavamo ancora positivi, così il giorno dopo staccarono l’energia elettrica e quelli che necessitavano di aria forzata soffocarono. Restammo in trenta in vita e stranamente man mano che l’aria diventava più calda noi diventavamo più forti e il 10 luglio capimmo che eravamo guariti c’è lo dicevano i nostri occhi e l’appetito che avevamo. Erano due settimane che non ci rifornivano di viveri, ci volevano morti, ma non era un problema perché catturavamo i piccioni o i conigli e nei negozi abbandonati c’era ancora tanta roba da mangiare.
Il ventuno di luglio alle otto e trenta di sera entrarono in paese cinque militari, io mio marito e mio figlio eravamo in questa chiesa a pregare quando sentimmo delle raffiche di mitra. Avevano sparato al professore. Il professore contento quando ha visto i militari gli andò incontro dicendogli che con il caldo dell’estate eravamo guariti, ma uno dei militari ridendo gli disse che adesso lo curavano loto e gli scaricò una raffica sul petto. Il professore poverino cadde indietro, si afflosciò a terra come un sacco vuoto e il suo cervello di rara intelligenza iniziò a deteriorarsi sull’asfalto di piazza Umberto. I cinque militari erano dei giovani esaltati, sul viso avevano disegnate due svastiche come quelle dei nazisti nella seconda guerra mondiale; certamente avete studiato a scuola della seconda guerra. Avevano un cane per scovarci e massacrarci». La donna che parlava dalla bocca del vecchio dovette fermarsi, non riuscì a proseguire perché un nodo si formo in gola e il racconto venne ripreso dal marito.
«Quando sentimmo gli spari salii sul campanile e dall’alto potevo vedere senza essere visto ma avrei preferito non vedere. Mario il meccanico venne preso e fatto mettere in ginocchio, teneva le sue abili mani d’artigiano dietro la nuca, gli disse che eravamo guariti e potevamo tornare alle nostre famiglie perché non c’era pericolo di contagio. Con la promessa che ci avrebbero liberati si fecero dire quante persone c’erano in paese e dove dormivano. Mario era un genio nel suo lavoro di meccanico ma ingenuo per tutto il resto e appena ebbe finito di fare i nostri nomi e indirizzi, il ragazzo gli tagliò la gola, freddo, senza nessun sentimento anzi era fiero di quello che aveva fatto. Un sole purpureo tramontava dietro le montagne del Pettoruto quando gli ultimi anziani vennero trucidati. Noi eravamo gli ultimi perché abitavamo nella parte più bassa del centro Storico. Mia moglie Ersilia insieme a mio figlio li aspettavano sul sacrato con in mano il crocefisso alzato recitando il paternostro, io dall’alto del campanine gli dicevo di scappare ma non mi sentivano, la brezza della sera portava via la mia voce; intanto i cinque militari avanzavano nella piazzetta del rione Santa Maria, l’uomo graduato era in testa al corteo e quando fu sotto il campanile sul sacrato potevo vedere bene, con il cannocchiale, la sua faccia e distinguere il suo nome stampato sopra la tasca della giuba. Adesso vi diamo la benedizione disse con un accento del Nord, non erano militari locali, probabilmente i nostri militari li avevano spostati al Nord per fare lo stesso servizio. Inizia a suonare le campane per distrarli e far scappare mia moglie e mio figlio ma sentii caldo sulla fronte e caddi sotto la campana, un proiettile mia aveva preso, lo vedete questo ricamo? » Indicando con la mano la cicatrice.
« Mi svegliai la mattina con un forte mal di testa, scesi dal campanile mi affacciai sul sacrato e vidi stesi e abbracciati mia moglie e mio figlio che quel giorno compiva cinquant’anni».
Dopo un lungo silenzio il figlio prese la parola rivolgendosi con gentilezza ai ragazzi.
«Mio padre dice che uno di voi può tornare a casa questa sera, lo accompagno io fino al fiume, ma quando arriverà a casa dovrà portare un messaggio». A quel punto si fece avanti il padre e con tono duro disse:
«Il messaggio è questo: se vogliono rivedere sani e salvi il resto di voi devono portarmi il sergente che ha trucidato tutte le persone inerme, si chiama Giorgini». Poi fece tirare a sorte chi doveva uscire e fu Salvatore che prese lo stecco più corto, gli altri ragazzi vennero chiusi nella sagrestia sotto la minaccia di una pistola che il vecchio aveva tirato fuori come un prestigiatore tira fuori il coniglio dal cilindro. Lungo il percorso fino ad arrivare alle biciclette, il vecchio gli ripeté più volte il messaggio da portare alla polizia locale.
«Digli di non fare i furbi perché altrimenti non troveranno mai i tuoi amici e non credere che li lascio nella chiesa, non li troveranno mai se mi dovesse capitare qualcosa. Puoi raccontargli, anzi devi raccontare quello che i militari ci hanno fatto nel mese di luglio del 2020». Salutò il ragazzo che si allontanava veloce con la sua bici nel buio.

Martedì 21 aprile 2020 10:40:38

Gentilissimo,
Il suo Caffe' di oggi e' stato una panacea per me, Ho avuto occazione di discutere l'argomento con il Prof Aldo Grasso un paio di settimane fa. Ammetto anch'io la colpa di essere in TV e sui giornali (anche oggi una mia nota sul Corriere nell'articolo a firma di Adriana Bazzi), e cerco disperatamente di mantenere un contegno: L'unica cosa che mi spinge ad essere (moderatamente) presente, e' legata al fatto che faccio il Virologo (vero...) da 38 anni, e nelle mie circa 600 pubblicazioni recensite, il 98% sono di Virologia: Pertanto presuntuosamente mi definisco un "virologo" (cosa che non e' la stragrande maggioranza di quelli presenti in TV, dati scientifici e pubblicazioni alla mano, il cui sottopancia pero' indica "virologo"... ).
Sperto che anche i giornalisti, che spesso chiamano non sulla base delle competenze ma sulla presenza del nome nella loro agenda, riescano a fare una buona selezione. Io, personalmente, ho gia' dato e auspico di non "dover dare" di piu'. La prego di picchiarmi mediaticamente il giorno in cui vedra' il mio nome in una trasmissione per ortopedici e vedra' scritto "ortopedico" nel mio sottopancia

Domenica 19 aprile 2020 17:58:44

Caro Massimo,
seguo sempre il tuo “caffè” e molto spesso scrivi esattamente quello che penso anch’io, quindi godi di tutta la mia stima. Non so se sbagliamo in due, ma ti leggo con grande piacere.
Ti scrivo per du cose. La prima è per chiederti se hai fatto caso, pochi giorni fa, all’intervista sul corriere alla viceministra all’istruzione, colpita da coronavirus, che forse ingenuamente dice che l’ha passata bene grazie al fatto che il fratello le ha portato la playstation (!). Con il dramma che stanno vivendo studenti e famiglia con la suola chiusa, ho pensato ad un clamoroso autogol, credendo che qualcuno se la sarebbe mangiata viva. Ma come? Con tutto quello che c’è da fare, hai l’energia per giocare alla playstation da viceministro all’istruzione? Da non credere.
La seconda è che mi parrebbe giusto e logico che le centinaia di migliaia di dipendenti pubblici a casa in smart working, che certamente vanno a ritmo molto ridotto quando va bene, percepiscano stipendio pieno, mentre tutto o quasi il comparto privato o è in cassa integrazione o non lavora del tutto e non guadagna una lira. È troppo pensare di pagarli al 70-80% e utilizzare quel risparmio per aiutare gli altri, o lo stato?
Un cordiale saluto
Cesare

Domenica 19 aprile 2020 15:25:51

IL (mio) MONDO DURANTE COVID19
Viaggio introspettivo ai tempi della Quarantena

Sono esattamente 42 giorni oggi di “distanziamento” o, per meglio dire, “isolamento” sociale e – come tutti immagino – mi sono spesso chiesta “come sarà DOPO? Cosa ci rimarrà, cosa ricorderemo … ”
Ma subito ho pensato che il prima e il dopo sono causa ed effetto, il DURANTE è il vero cambiamento.
Ed è di questo cambiamento che voglio provare a scrivere, perché questo DURANTE porta in sé la coscienza e incoscienza, il pensiero, il vissuto del prima e segnerà prepotentemente il dopo. In meglio o in peggio, nel bene o nel male.
Ma dal mio punto di vista, non c’è spazio nella mia casa delle bambole per le cose negative, il mio mantra di questi lunghi 42 giorni è “trasformare le criticità in opportunità”. E soprattutto scoprire che non è così difficile. Sicuramente non impossibile
Per visualizzare questo pensiero che poi è un sentimento, penso ai pezzi di LEGO, colorati e di forme diverse, con cui tutti, almeno una volta, bambini, genitori o zii o fratelli e sorelle, abbiamo giocato. O meglio, abbiamo fatto una costruzione, poi disfatta, poi rifatta cambiando le disposizioni di ogni piccolo e grande mattoncino…
STORM, FORM, PERFORM.
Dopo la tempesta (che distrugge tutto), dai una forma (immagina un progetto, segui un obiettivo), performa (datti da fare concretamente, agisci positivamente)
Covid è anche una “benedizione” per assurdo: quando nel vortice della vita professionale e personale, non vedevo una via di uscita, quante volte ho pensato che avevo bisogno di una PAUSA, anzi, di una LUNGA pausa, per dormire, per pensare, per leggere, per ascoltare musica, per annoiarmi, per prendermi cura di me. ME STESSA appunto.
Forse dovremmo essere in parte grati a Covid per averci “regalato” questa pausa, che oggi soffriamo e ci sta stretta semplicemente perché non l’abbiamo decisa noi.
Personalmente devo ringraziare Covid perché mi sta dando una opportunità eccezionale (leggasi: “che deroga dalla norma”).
Oggi ho imparato che le sovrastrutture, materiali e non, che anno dopo anno ci costruiamo, per piacere e per piacerci, non solo non ci servono, ma sono un peso in più da portare. E anche senza, strano ma vero, stiamo in piedi. E forse, essendo più leggeri, stiamo anche meglio.
Ho imparato che per esserci davvero non è indispensabile la presenza fisica: il distanziamento (o allontanamento?) è una grande auto-difesa, Covid ce lo insegna quotidianamente, ma è anche il modo per capire veramente chi c’è e chi ci sta accanto, indipendentemente dalla possibilità di vederci e toccarci.
Ho imparato che una canzone con le sue parole e la sua melodia vale come un abbraccio che puoi ripetere e che ti rimane nella mente;
che il mio profumo fa parte dei beni di primaria necessità;
che chi non si fa sentire, in realtà non ha niente da dire, perché non servono tante parole, ne basta una vera;
che l’amicizia va coltivata, o forse meglio ancora addomesticata, con attenzioni costanti e con pensieri profondi;
che chi è sparito nel nulla, non c’è mai stato davvero;
che abbiamo un sacco di idee, molte potenzialmente geniali, ma che si esprimono solo quando abbiamo abbastanza tempo per percepirle;
che la prossimità è un valore non è un gesto;
che la paura rendi gli eroi fragili e i fragili diventano i veri eroi;
che la bandiera del tuo paese, che tu lo voglia o no, è un pezzo di cuore;
che Grande e Piccolo sono sinonimi nella differenza;
che la fine in realtà è sempre un nuovo inizio;
che per prenderti cura degli altri, prima devi imparare a prenderti cura di te stesso.
Poi sarai in grado di lasciare che gli altri si prendano cura di te.

Di una cosa sono certa: PRIMA di Covid19 ero una Guerriera, DOPO Covid19 sarò MICHELA. E non avrò paura di niente

Domenica 19 aprile 2020 13:20:57

OGGETTO: DPCM Coronavirus Covid-19: la nuova figura del poliziotto - giudice

Il modo in cui Conte sta affrontando questo drammatico periodo è per me sempre più sorprendente (in senso positivo).
Devo però far notare che i suoi DPCM, peraltro condivisibili in ogni aspetto, hanno creato un ennesimo esempio di gestione all'italiana dell'emergenza.
Si è rinunciato (forse volutamente?) a scrivere un testo semplice e conciso da applicare, in favore di un testo che deve essere "interpretato" non si sa da chi.

Mia figlia e il suo compagno sono bloccati da 3 mesi a Firenze dove erano in cerca di lavoro, causa Covid-19. Ora il contratto turistico è scaduto e non hanno dove dormire, hanno quindi deciso di trasferirsi in un comune a un'ora di auto da Firenze dove, per fortuna, hanno disponibile la casa di proprietà di mia moglie, a sua volta bloccata a Padova per lo stesso motivo.
Per prudenza abbiamo cercato, prima di effettuare il trasferimento in auto, di avere un parere dalle Autorità: Comuni, Vigili Urbani, Polizia, Carabinieri Prefetture e persino Ministero dell'Interno.
TUTTI hanno dichiarato che la responsabilità è in capo solo a chi firma la "AUTO-certificazione", che non possono dare un parere preventivo, tanto meno una certificazione scritta, che i validi motivi sembrano esserci ed i documenti pure, ma è un parere personale e (testuale). .. "noi non siamo autorizzati, tutto dipende dalla valutazione che farà il poliziotto o il funzionario che li controlla durante il viaggio, comunque non si preoccupi può fare sempre ricorso".
Bene, così due ragazzi senza lavoro possono scegliere se continuare a pagare €700 al mese a vuoto di affitto oppure rischiare fino a 4. 000 euro di multa, salvo poi pagarsi un avvocato per un ricorso.
Mia figlia domani DEVE partire: ma è sconfortante constatare che ai giovani in Italia oggi non si chiede solo costanza e coraggio per cercare un lavoro che non c'è, si chiede anche una pazienza infinita.
Italia madre del Diritto? Se c'è una cosa che invidio ai popoli del nord Europa è la semplicità legislativa e burocratica. Ci voleva molto a mettere in piedi un punto di ascolto "autorizzato a decidere" via mail o web e non solo a... informare (???). Chi vuole essere in regola cosa deve fare? A volte pare che questi meccanismi servono solo a dare lavoro degli avvocati...

Non voglio evidenziare un caso personale, ma evidenziare un costume. Le chiedo quindi di evidenziare come firma solo il seguente acronimo:
gr1

Domenica 19 aprile 2020 08:20:23

Buongiorno
vorrei suggerire una parola traboccante di significato, specie in questo momento “pietas”. Per questo segnalo al dott. Gramellini quanto segue:

Mi chiamo Piera Bagnus,
sono risiedente in provincia di Varese, ma docente presso il Conservatorio di musica di Novara, e vi scrivo per portare a conoscenza un mi particolare progetto dal nome Musica pro defunctis.
Io insegno pedagogia e psicologia musicale, quindi mi sono interrogata su come potessi “fare la mia parte” in questo momento così drammatico, utilizzando la musica per il suo carattere empatico e consolatorio. Allo stesso tempo sono rimasta così toccata dalle immagini che ho scelto ed utilizzato nel video da non poter sopportare il pensiero del dolore di chi ha perso un parente o un amico in circostanze tanto irreali quante tragiche.
Le scrivo perché seguendo i tg vedo spesso servizi che mostrano come i musicisti di ogni genere affrontano questo periodo (io stessa ho partecipato al flash mob degli orchestrali della Scala suonando “con loro” il Canone di Pachelbel qualche giorno fa) ed ho pensato fosse importante anche ricordare i defunti, oltre ai malati ed a chi li cura.
Ho l’impressione stiano diventando numeri (500 circa ogni giorno) a cui ci stiamo tragicamente abituando... mentre vorrei far risuonare il messaggio che sono persone, che avevano famiglie ora disperate, che stanno segnando psicologicamente anche medici ed infermieri che sono presenti nel momento del trapasso, persone che sono state deposte nella bara avvolte in un lenzuolo senza neppure un abito, persone che non hanno avuto nemmeno un funerale dopo una vita piena come lo sono tutte.
La ringrazio per l’attenzione. Questo il link al mio video.
Buona giornata
Piera Bagnus
Cell. 333 -------

https://www. chiesadimilano. it/news/chiesa-diocesi/la-preghiera-alla-madonnina-diventa-un-concerto-316823. html

Sabato 18 aprile 2020 18:58:33

Egregio Dottor Gramellini,
ho predisposto questa lettera indirizzata alla Signora Martinelli, mamma di una bambina di sei anni:

Gentile Signora Martinelli,
quando vorrà analizzare con più lucidità e magari quando rifiuterà le probabili pressioni che l’hanno portata a reagire a considerazioni che, opportune o no, giuste o ingiuste, sono comunque conseguenza dell’idea di un maturo genitore che sdogana pubblicamente la sua bambina di sei anni come attenta ascoltatrice di un telegiornale e chiede al suo papà chi è quell’uomo che lo “offende”. Nasce lì il problema Signora Martinelli. Il Salvini, a mio avviso, non avrebbe dovuto mostrare in televisione il suo rancore tirando lui in ballo inverosimilmente la spiacenza della sua bambina (di sei anni). Ma il carosello era troppo allettante ed a scapito dell’incolumità della sua bambina (di sei anni) ha voluto giocare l’ennesima sua spregevole carta pubblicitaria. Tutte le altre - sempre più frequenti e sempre più squallide - lei, Signora Martinelli, le conosce benissimo. E’ lui, Signora Martinelli, l’unico responsabile delle ferite che potranno rimanere su sua figlia.
Il Salvini nel poco credibile dialogo con la sua bambina, la rassicura dicendo che avrebbe perdonato quelle che furbescamente definisce “offese”. Io quelle rivoltegli le ritengo accuse ed alle accuse una persona matura ed equilibrata, volendo reagire, lo farebbe con una querela (querela che in quanto tale deve avere un fondamento), senza comunque coinvolgere maldestramente la sua bimba di sei anni e causando lui un ovvio seguito. Sempre ammesso che quella sera la bambina fosse con lui; e questo sicuramente lei lo saprà.
Non me ne voglia se indugio sull’età di sua figlia; lui ha parlato della sua bambina, mentre da lei apprendo l’età appunto di sei anni, ed io aggiungo attenta ascoltatrice del telegiornale.
Veda lei Signora Martinelli a chi rivolgere il suo risentimento. Posso condividerne l’emotività, la capisco, ma non se la prenda con chi avrebbe fatto meglio a lasciar cadere nel nulla lo squallido carosello che lui ha furbescamente messo in atto.
Mi perdoni per le personalissime considerazioni e la prego di accettare i miei migliori saluti.

(Non frequento i social ed il deprecabile anonimato che li pervade, lascio quindi a sua disposizione un mio recapito in redazione)

Mi scuso se approfitto di lei Gramellini, che stimo e seguo da anni. Mi piacerebbe la leggesse questa sera se la riterrà all'altezza e soprattutto pertinente. Sa com'è ad una certa età, ho sessantanove anni, certi caroselli irritano. Quando poi sfruttano anime innocenti...
Cordialmente
Enrico Bello
via ------- 11
70122 BARI
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