Ippolito Pindemonte
Biografia
Ippolito Pindemonte nasce il 13 novembre del 1753 a Verona, che a quel tempo è parte della Repubblica di Venezia. Nasce in una famiglia colta e aristocratica. Educato a Modena, presso il Collegio di San Carlo, sotto l'ala protettrice di Giuliano Cassiani, lascia l'Emilia e suo fratello Giovanni Pindemonte, con il quale è cresciuto, per andare a Verona a studiare con Girolamo Pompei.
L'Ulisse di Ippolito Pindemonte
Durante gli anni della gioventù realizza alcuni poemetti, ma si occupa anche della traduzione di autori classici, tra cui Luciano di Samosata, Saffo e Orazio. Nel 1774 traduce la "Berenice" di Jean Racine. Tre anni più tardi Ippolito Pindemonte scrive, influenzato dalla "Merope" del marchese Scipione Maffei, l'"Ulisse", cioè la sua prima tragedia.
Successivamente è costretto a girare l'Italia per motivi di salute. Soggiorna, così, a Roma e a Napoli, ma ha modo di fermarsi anche in Sicilia e a Malta, prima di fare tappa a Firenze sulla via del ritorno. Questo lungo peregrinare gli permette di ampliare notevolmente la propria rete di relazioni. A Roma, per esempio, viene ammesso al circolo letterario dell'Arcadia.
Le opere successive
Nel 1779 scrive "Le Stanze", che però decide di pubblicare con uno pseudonimo, Polidete Melpomenio (anagramma del suo nome). Ispirato dal viaggio, nel 1782 compone "La fata Morgana", poemetto in cui racconta con una scrittura elegante diverse favole miracolose, inclusi i prodigi a Reggio Calabria della fata Morgana, e "Gibilterra salvata. Poema del marchese Ippolito Pindemonte cavaliere gierosolimitano".
Intorno alla metà degli anni '80 del XVIII secolo, dopo aver concluso l'"Elogio del marchese Scipione Maffei scritto da S.E. il sig. march. Ippolito Pindemonte cav. Gerosolimitano" ed "Epitalamio per le nobili nozze del signor conte Bortolamio Giuliari colla signora contessa Isotta dal Pozzo", Ippolito si trasferisce vicino a Verona, ad Avesa. Nel corso di tale soggiorno riceve l'ispirazione per portare a termine le malinconiche e fantastiche "Poesie campestri". Seguono le "Prose" che, però, saranno pubblicate solo successivamente. Pindemonte scrive, quindi, "Volgarizzamento dell'Inno a Cerere con un discorso sul gusto presente delle lettere in Italia".
L'amore e i nuovi viaggi
Nel frattempo avvia una relazione d'amore con Isabella Teotochi Albrizzi, prima di partire per un nuovo viaggio, che questa volta lo porta al di là delle Alpi. Tra il 1788 e il 1791 Pindemonte si ferma, tra l'altro, in Francia, a Londra, a Berlino e in Austria.
In questi anni ha modo di comporre "La Francia", un sonetto in cui celebra la Rivoluzione Francese. Anche se con il passare del tempo si accorgerà che le sue aspirazioni liberali verranno deluse dal periodo di Terrore, che lo porterà a diventare scettico e indifferente. Nel 1790, sempre in Francia, dà alle stampe l'"Abaritte", un romanzo satirico con note autobiografiche che prende a modello il "Rasselas" di Samuel Johnson.
Il ritorno in Italia
Nello stesso periodo il letterato veronese ha l'opportunità di frequentare Vittorio Alfieri, che gli assegna il compito di rivedere i suoi versi. Una volta tornato in Italia, nel 1792 Pindemonte completa la "Dissertazione su i giardini inglesi e sul merito in ciò dell'Italia". Criticando le tendenze nepotistiche di Napoleone Bonaparte, a differenza della maggior parte degli altri letterati pronti a osannare le azioni dell'imperatore, egli si ritira a Novare e scrive "Antonio Foscarini e Teresa Contarini", una novella in ottave.
Nel 1795 porta a termine "Per due quadri del signor Gaspare Landi un de' quali rappresenta Ettore" e "I viaggi del marchese Ippolito Pindemonte cavaliere gerosolimitano". Pochi anni più tardi scrive "Arminio", tragedia a metà tra Alfieri e Shakespeare.
Le altre tragedie e le ultime opere
Ma sono molte le tragedie composte in quel periodo: "Ifigenia in Tauride", "Eteocle e Polinice", "Annibale in Capua". Nel 1805 Pindemonte pubblica le "Epistole", in cui mette in mostra una evidente nostalgia per una vita lontana dalla guerra. Nello stesso anno inizia a dedicarsi alla traduzione dell'"Odissea" di Omero. La decisione arriva su influsso dei consigli di Girolamo Pompei, grecista che si era occupato di tradurre le "Vite Parallele" di Plutarco.
Nel 1809 pubblica i primi due canti dell'opera omerica, che sono dedicati a Giuseppino Albrizzi e che gli valgono i complimenti di Ugo Foscolo, il quale due anni prima gli aveva dedicato i "Sepolcri".
Successivamente Ippolito vive tra Verona e Venezia (anche perché la villa di Avesa in cui abitava era stata distrutta dai francesi) e frequenta con regolarità i salotti aristocratici locali. Nel 1815 scrive "Scherzi latini e italiani composti da Ippolito Pindemonte in una villa della Valpulicella". Seguono "I sermoni di Ippolito Pindemonte veronese".
Nel 1822 compone la sua ultima opera poetica, "Colpo di martello del campanile di San Marco", in cui è evidente un'apologia della fede cattolica. Il 18 novembre del 1828 Ippolito Pindemonte muore a Verona, all'età di settantacinque anni.
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