Pancho Villa
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Pancho Villa è stato uno dei più grandi capi rivoluzionari messicani.
A differenza di altri protagonisti della guerra civile messicana, aveva però un passato di fuorilegge.
Questo fatto ha pesato non poco sul giudizio storico globale del rivoluzionario, a partire dal sospetto, avanzato da alcuni, che egli fosse estraneo ai movimenti sociali delle campagne e al movimento operaio dell'epoca.
Tale percezione ricorre infatti nei vari tipi di leggenda sorti attorno a Villa, da quella che lo presenta vittima del dispotismo dei signori della terra e delle autorità politiche, alla leggenda che ha perpetuato l'idea di un bandito violento, fino al quadretto epico che lo dipinge come un moderno Robin Hood.
D'altronde, negli ultimi tempi si è fatta strada una lettura che ridimensiona l'immagine tradizionale di Villa come fuorilegge dimostrando che in realtà egli aveva condotto un'esistenza legale, pur costellata da episodi minori di contrasto con le autorità locali per piccoli furti o per il tentativo di evitare la coscrizione, e che non si verificarono forme di persecuzione sistematica nei suoi confronti. In pratica, vengono messi discussione i tratti psicologici della sua figura connessi al banditismo.
José Doroteo Arango Arámbula è il vero nome di Francisco "Pancho" Villa: nasce a San Juan del Rio, Durango, il 5 giugno 1878. Prende parte alla rivoluzione del 1910-1911 contro la trentennale dittatura di Porfirio Diaz, organizzando, a capo di bande contadine, la guerriglia nello stato di Chihuaha e contribuendo alla vittoria del liberal-progressista Francisco Madero. La partecipazione di Villa alla prima rivoluzione a Chihuahua viene ricondotta ad una naturale predisposizione propria degli uomini di estrazione popolare senza particolari ambizioni politiche o aspirazioni democratiche, ma capaci di stringere vincoli con i dirigenti contadini locali. La partecipazione, nel 1912, alla difesa del governo Madero, invece, fu dovuta alla sollecitazione di quest'ultimo e del governatore locale, Abraham González. Le grandi campagne militari nel Nord durante la seconda rivoluzione del 1913, poi, lo trasformarono in un capo carismatico e in un dirigente politico allorché nel dicembre di quell'anno divenne governatore rivoluzionario.
La reazione controrivoluzionaria, intesa come l'alleanza tra l'esercito e le classi dominanti, portò però all'instaurazione della dittatura del generale Victoriano Huerta nel 1913-1914. Dopo il colpo di stato del generale reazionario e l'assassinio di Madero (avvenuto appunto nel 1913), Pancho Villa si unisce ai costituzionalisti di Carranza per mettere fine all'odiato governo. Gli Stati Uniti, che avevano larghi interessi economici in Messico e un ampio confine territoriale in comune, si schierarono contro Huerta ma si limitarono ad occupare Vera Cruz nell'aprile del 1914 e Chihuahua nel marzo del 1916.
Venuto in contrasto con lo stesso Carranza, perché considerato troppo moderato, appoggia, insieme al rivoluzionario Emiliano Zapata , il progetto di una grande riforma agraria (piano di Ayala, 25 novembre 1911), fino a conquistare tutta la regione del nord del Messico. Approfittando del periodo di confusione nel paese riesce infine ad occupare la stessa Città del Messico (1914-1915). Subisce quindi una sconfitta da parte del comandante Obregon a Celaya nel 1915, e successivamente, anche ad opera del costituzionalista Calles, già partigiano di Obregon. Questi eventi aprono il periodo della sua attività di guerriglia (1916-1920), ma anche quello della sua "rinascita", che va ricondotta a fattori politici generali in larga parte connessi alle prese di posizione degli Stati Uniti nei confronti dei problemi aperti nel Messico rivoluzionario.
Infatti, attaccato dai nordamericani quando il presidente Wilson riconosce ufficialmente il governo di Carranza, riesce tuttavia a sottrarsi alla spedizione del generale Pershing. In seguito depone le armi sotto il governo di Adolfo de la Huerta e si ritira in una fattoria a Durango. Muore assassinato il 20 luglio 1923 a Parral (Chihuahua). Il suo assassinio, come ovvio, segnò una svolta determinante per il sistema politico messicano.
Subito si è imposta la versione della "vendetta personale", classico scenario che si prospetta quasi sempre in relazione a delitti di stato. Non era Villa, si disse, che gli uomini di potere temevano, ma ciò che rappresentava, la sua gente, i rancheros, i peones, che potevano inseguire il sogno di ribellarsi e rovesciare il regime dei padroni.
La rivoluzione messicana, non a caso, è stata a lungo ritenuta come la prima rivoluzione sociale del Novecento con il suo carattere popolare, agrario e nazionalista, anche se alcuni studiosi hanno avanzato l'interpretazione che fosse una rivoluzione politica diretta alla costruzione di uno Stato capace di promuovere lo sviluppo capitalistico, dando luogo però ad un regime populista per il timore della nuova classe politica di affrontare la forza acquisita dai movimenti popolari.
Il giudizio sul movimento di Villa, invece, continua tuttora ad essere controverso perché, da un lato, esso presentava indubbiamente differenze rispetto a quello etnicamente più coeso di Zapata e, dall'altro, sembrava avere analogie con altri movimenti che si limitarono alla confisca della proprietà fondiaria per finanziare la rivoluzione.
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