Achille Campanile
Biografia • L'immortalità del riso
Aprire un suo libro significa precipitare nel regno dell'assurdo che però non sembra... per niente assurdo. Capita poi in molti suoi racconti di sorprendersi a ridere per situazioni che in realtà non "fanno" ridere o di trovare divertenti descrizioni assolutamente normali che noi percepiamo però essere... divertenti. Insomma, siamo di fronte forse al più grande umorista del Novecento, almeno in Italia.
Il segreto sta nel linguaggio di Achille Campanile: il più piano e semplice possibile; il più normale, il più quotidiano linguaggio esistente, lontano da orpelli e ricercatezze letterarie. Ma dotato di una capacità evocativa dello specifico umoristico assolutamente potente. Per dirla con Umberto Eco, riferito proprio al linguaggio di Campanile, "prendere il linguaggio per i fondelli vuol dire prenderlo "per" la lettera, ottenendo effetti di straniamento".
Nato a Roma il 28 Settembre 1899 (nonostante alcune biografie, anche significative ed importanti, gli assegnino come anno di nascita il 1900), Achille Campanile cominciò a scrivere giovanissimo. Gli inizi col giornalismo alla Tribuna e all'Idea Nazionale e poi al Travaso, in pieno fascismo. Ma anche il teatro con le prime Tragedie in due battute, in cui prevale il gusto per i giochi di parole ed un clima surreale.
Lodi appassionate e critiche feroci accompagnarono le prime rappresentazioni di "L'amore fa fare questo e altro" nel 1930. Infine i romanzi come mezzo di raccontare superiore a tutti gli altri, da "Ma che cosa è quest'amore" a "Chiarastella", da "La moglie ingenua e il marito malato" fino a "L'eroe", oltre a numerose raccolte di racconti. Molti prima di essere pubblicati apparvero sulle colonne dei più importanti quotidiani come La Stampa, la Gazzetta del Popolo, Milano Sera.
Achille Campanile vinse due volte il Premio Viareggio, nel 1933 con "Cantilena all'angolo della strada" e quaranta anni più tardi con "Manuale di conversazione". Era un lavoratore instancabile, a volte lavorava fino a notte tarda. Scriveva a penna, sviluppando gli appunti che prendeva su carte di ogni dimensione, persino sui biglietti del tram, e di cui erano zeppe le tasche dei suoi vestiti.
Visse tra Roma e Milano fino a trasferire, negli ultimi anni, la sua residenza a Lariano nei pressi di Velletri, per accontentare la moglie Pinuccia e il figlio Gaetano. Qui abbandona il monocolo e gli abiti eleganti, si fa crescere una barba lunga e fluente ed assume l'aspetto di un vecchio patriarca.
Continua a scrivere tanto da riempire gli scaffali del suo studio di racconti, romanzi ed opere inedite. La sua conquista del territorio degli autentici valori letterari, che oggi gli sono ampiamente riconosciuti, è stata lenta; anche perché egli è stato un uomo appartato, "fuori della mischia", non preoccupato di entrare nella cronaca letteraria spicciola.
Achille Campanile è morto a Lariano(Rm) il 4 gennaio 1977, lasciandoci come testamento, oltre alle sue numerose opere, il segno dell'immortalità del riso.
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