Vittorio Pozzo
Biografia • Agli albori dello sport nazionale
Vittorio Pozzo nasce a Torino, il 2 marzo del 1886. Calciatore degli albori di questo sport, che sarebbe diventato il più seguito d'Europa, è famoso per aver regalato, da allenatore, tuttora l'unico della storia del calcio, ben due Coppe del Mondo alla nazionale azzurra, nel 1934 e nel 1938. Negli anni '10, è stato tra i fondatori di una delle società calcistiche più importanti di sempre, il Torino Football Club. Terminata l'attività di allenatore, si è felicemente riciclato commentatore e giornalista, pur dopo aver pagato un severo dazio sportivo nell'immediato dopoguerra, a causa di più o meno veritiere compromissioni con il partito Fascista.
Sia quest'ultimo, che, successivamente, la retorica antifascista, hanno cercato in tutti i modi di far proprio questo personaggio dello sport nazionale e mondiale, in realtà allenatore e uomo di sport modernissimo per il suo tempo. Ad ogni modo, è un fatto che Pozzo non si sia mai iscritto al partito di Mussolini pur aderendovi, nella sostanza, durante tutte le manifestazioni sportive, le quali erano una delle parti principali della retorica e della propaganda di potere fascista. Alla sua nazionale del 1938 resta anche legata l'immagine della vittoria dell'Italia ai quarti di finale contro la Francia, disputata nell'unica volta della sua storia in un completo interamente di colore nero.
La vera origine di Vittorio Pozzo è legata alla cittadina di Biella, per la precisione alla piccola frazione di Ponderano, luogo natìo della sua famiglia. I suoi genitori appartengono ad una bassa borghesia, di modeste condizioni economiche e fanno di tutto per iscrivere il piccolo Vittorio al Liceo Cavour di Torino.
Tuttavia, ben presto le attitudini del futuro allenatore azzurro si rivelano per quelle che sono: ama le lingue, ama viaggiare, ama apprendere da altri paesi i segreti del lavoro e, soprattutto, in campo sportivo. Si sposta in Francia e in Svizzera, successivamente in Inghilterra, dove studia dai maestri che hanno inventato il calcio moderno, quello che diventa subito il suo grande amore: il calcio.
Intanto, appena diciottenne, fa i primi passi nel calcio professionistico, se così si può chiamare all'epoca, lavorando e giocando in Svizzera, nella stagione 1905-1906, nelle fila del Grasshoppers. Subito però, torna in Italia, nella sua Torino e contribuisce alla fondazione del Football Club Torinese, poi Torino Football Club, squadra nella quale milita per ben cinque stagioni, sino al ritiro dall'attività agonistica, nel 1911.
Dal 1912 al 1922 allora, Vittorio Pozzo si dedica alla direzione tecnica della società, studiando nuovi metodi tattici e contribuendo alla creazione di una vera e propria tradizione calcistica, la quale successivamente farà scuola in Italia. Il 1912 però, è importantissimo, perché segna anche l'inizio del suo rapporto con la Nazionale Italiana di calcio, con la nomina a commissario unico degli azzurri, ruolo che ricoprirà a più riprese nel corso degli anni '10 e '20, durante le varie esibizioni, ancora del tutto dilettantistiche, della squadra italiana, spesso però coadiuvato da altri tecnici e allenatori.
Alle due principali manifestazioni, le olimpiadi di Stoccolma e quelle francesi, le selezioni da lui guidate non raggiungono gli esiti sperati, e vengono eliminate subito, rispettivamente al primo turno e ai quarti di finale.
Nel frattempo viene assunto alla Pirelli, dove diventa dirigente, non prima di prendere parte alla Guerra Mondiale che scoppia nel 1914, come tenente degli alpini. Esperienza importante questa, se è vero, come si racconta, che il futuro allenatore della nazionale due volte campione del mondo racconterà ai suoi giocatori, durante i ritiri e per caricarli al meglio, della resistenza del Piave, oltre che di altre imprese belliche da lui realmente vissute.
L'anno di svolta però, è il 1929, quando Pozzo viene convocato dal capo del calcio fascista, Leandro Arpinati, il quale lo vuole come direttore unico della Nazionale. Non è un fascista, ma è un uomo che ama vincere e, soprattutto, un militare. Pozzo inventa il ritiro, impone uno stile di vita spartano ai suoi e al contempo, lavora ad una serie di schemi tattici di grande valore, modernissimi per quei tempi, pur senza sacrificare l'estro di alcuni ottimi giocatori di quegli anni, come il grande Giuseppe Meazza. È, forse, il grande iniziatore del cosiddetto metodo all'italiana: difesa rocciosa, mediani instancabili e attaccanti veloci, per favorire il contropiede.
Il primo trionfo mondiale è quello del 1934, in Italia, quando i gerarchi fascisti si godono lo spettacolo della vittoria dalle tribune. Non sono partite però, sono battaglie all'ultimo sangue, come la partitissima prima della semifinale vinta dopo il "replay" contro i cugini spagnoli, letteralmente massacrati dai giocatori azzurri (lo stesso arbitro dell'incontro, il signor Mercet, verrà successivamente sospeso dalla Federcalcio svizzera, a causa del suo comportamento troppo "casalingo").
Ad ogni modo, dopo una semifinale altrettanto equivoca quanto ad episodi (un gol sospetto per gli azzurri), vinta ai danni dell'Austria davanti ai quarantacinque mila spettatori di San Siro, arriva anche la vittoria in finale contro la Cecoslovacchia, per 2-1 ai supplementari, questa sì regolare e senza polemiche. Il gol decisivo è di Schiavio, il quale sviene in campo, dopo averlo realizzato.
Quattro anni dopo, vinte anche le Olimpiadi dai cugini tedeschi, nel 1936, Pozzo compie il miracolo e vince anche in Francia, dove il grande Jules Rimet è riuscito a fare organizzare il campionato mondiale di calcio. A trascinare la nazionale, apparentemente più povera tecnicamente ma molto più squadra, è la giovane punta Silvio Piola, lanciato nella mischia dall'allenatore torinese e memorabile proprio nella partita contro i francesi. L'Italia batte anche il forte Brasile, per 2-0, e in finale supera i magiari dell'Ungheria, guidati dal grande attaccante Sarosi, con un perentorio 4-2.
Insieme con le due Coppe Internazionali (l'allora Coppa Europea) vinte, e con i due Mondiali e le Olimpiadi del '36, Vittorio Pozzo mette la firma su un decennio calcistico straordinario, che la Seconda Guerra Mondiale va ad interrompere.
Alla ripresa, pertanto, nel 1948, l'allenatore biellese viene indotto a dare le dimissioni, su pressioni della Federcalcio italiana, la quale non ha mai sopportato le sue presunte connivenze con il fascismo, pur restando sempre sulla carta, come detto, indimostrate.
Pozzo dà le dimissioni dopo ben 6.927 giorni di incarico: un primato ineguagliabile. L'anno dopo, nel 1949, deve riconoscere, in modo ufficiale, i corpi dei calciatori del Grande Torino, morti durante la tragedia di Superga: ci sono amici ed ex allievi.
Fino al 1958, il maestro piemontese si pone come consigliere di lusso alla direzione del comitato tecnico che, proprio in quegli anni, dà vita al Centro Federale di Coverciano.
All'età di ottantadue anni, dieci anni dopo, Vittorio muore: è il 21 dicembre 1968.
Dopo il rifiuto di dedicargli lo stadio di Torino, in occasione dei Mondiali di Italia '90, nel giugno del 2008 gli viene dedicato e intitolato l'impianto di Biella.
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