Ultimi commenti alle biografie - pagina 2391
Lunedì 3 agosto 2020 10:49:18
Per: Zlatan Ibrahimovic
Ciao campione, io a 47 anni dopo aver visto trionfi in champions negli anni d'oro mi sono riavvicinato in questi anni bui al tifo quello vero per il milan GRAZIE a te. Sei un Leone sei veramente un leadership fuori e dentro dal campo. Sei un modello che tante fighette del calcio moderno dovrebbero seguire. Grazie per avermi fatto riemozionare guardando il Milan. Non mollare resta con noi che l'anno prossimo ci porti in champions. Ciao campione
Da: Mauro
Lunedì 3 agosto 2020 10:46:45
Per: Massimo Cacciari
Gentile professore
Sono fra i molti che la seguono da anni. Dopo aver ascoltato il suo intervento alla SOPRI del 6 marzo 2017, Ineguagliabile e così profondo, mi chiedo come possa pensare che la filosofia non possa curare mentre sarebbe in grado di farlo la pletora di quegli incolti, psichiatri, psicoterapeuti, ecc. con l'infinita soma dei loro luoghi comuni. Sono anch'io psicanalista e psicoterapeuta, ma non sopporto nessuno fra i miei colleghi e cerco di dedicarmi quasi soltanto alla filosofia. Mi permetto di inviare copia del mio ultimo intervento. nella speranza che possa leggerlo e commentarlo. Con grande stima
Gabriele Lodari
L’Altro al lavoro e l’arguzia del sogno
3 agosto 2020
Il soggetto dell’inconscio? Non sarà piuttosto una proiezione del fantasma di padronanza a far apparire, per contrasto, intelligente il sogno? Freud sembra essere indeciso al riguardo: quasi al termine della sua indagine straordinaria (p. 463, ed. it.) esclama in modo esplicito che il sogno non pensa, non giudica, non calcola, si limita a trasformare… Mentre quasi all’inizio della stessa opera (p. 68) pur con qualche cautela, ammetteva che “stando a numerosi resoconti (…) sembra innegabile che il sogno possa riprendere i compiti intellettuali della veglia e portarli a una conclusione non raggiunta di giorno, che sappia risolvere dubbi e problemi e che possa diventare fonte di ispirazione per poeti e compositori. Ma, se il fatto è certo, la sua spiegazione soggiace a numerosi dubbi che toccano questioni di principio”.
A mio parere, tali questioni di principio non sono state neppure sfiorate dagli allievi. Ho cercato di indicarle con esattezza nel mio testo Il sogno e la voce (Ananke, 2017) e non mi dilungo. Qui mi limito ad aggiungere che la questione potrebbe essere ulteriormente precisata considerando quella del sogno come la virtù dell’arguzia, anziché quella della mera intelligenza. Questa è, in effetti, la virtù dell’inconscio e dunque dell’analista. Che ce ne facciamo di un analista intelligente? Semplicemente, il sogno risolve i problemi perché lavora giocando, e gioca con l’equivoco del nome. Lasciamo dunque l’intelligenza al soggetto con i suoi fantasmi di padronanza. L’intelligenza è del tutto sterile senza l’arguzia, senza l’ironia, senza il lapsus e il motto di spirito. E senza la simultaneità come virtù del tempo. Freud, sicuramente, avrebbe approvato.
Fa molto caldo. Eccovi un sogno che spero rinfrescante. Le riflessioni esposte in questo seminario sono state almeno in parte suggerite dal recente racconto di un sogno mattutino in due puntate, che potremmo intitolare
Il miracolo sulla neve:
L’analizzante sogna di trovarsi su una collina, con intorno case, forse chiese o monumenti; si tratta presumibilmente di un parco. E’ inverno e sta camminando sulla neve con una certa inquietudine, si accerta di trovarsi proprio sulla sommità guardandosi intorno. Ora è proprio sulla cima, qui intorno a lui la neve è più alta, ma è una neve già calpestata. Però è tutto molto pulito e silenzioso. Fa qualche passo verso l’altro versante del colle e intravede uno spiazzo; ode voci e grida di allegria, alcuni stanno forse rincorrendosi e giocando sulla neve, ma una costruzione impedisce di vederli. Peraltro il sognatore, chissà perché, fa di tutto per avanzare circospetto in modo da non essere visto. Improvvisamente scorge davanti a sé sulla neve, qua e là calpestata ma immacolata, un paio di scarpe o scarponi ben allineati, come se fossero stati lasciati lì a bella posta. A questo punto si sveglia e rimane con un punto interrogativo in testa. C’è qualcosa di astruso, enigmatico, in questo sogno, c’è qualcosa che proprio non riesce a spiegarsi.
Si riaddormenta e gli appare la stessa scena con la cima del colle e con la neve intorno, ma questa volta gli sembra d’intuire che si tratta di una scena che precede nel tempo la prima, come se l’intenzione del sogno fosse quella di utilizzare una prolessi; quasi a voler offrire una spiegazione della prima parte del sogno. Qualcosa nella nuova scena in effetti è mutato. La neve è cosparsa di vari oggetti abbandonati da passanti poco educati, qualche bottiglia, cartacce, rifiuti vari, e tra questi anche un paio di scarpe o scarponi, gli stessi della scena precedente, ma non allineati.
Al nuovo risveglio, la spiegazione del primo sogno è ora più semplice o comunque avviata: è evidente che qualcuno con solerzia, forse uno spazzino, si era nel frattempo dedicato a un lavoro di pulizia raccogliendo con cura ogni rifiuto, ma di fronte al paio di scarpe si era trattenuto, decidendo di lasciarli sulla neve nel caso il proprietario si fosse mai risolto a tornare per riprenderseli. Forse. In questo sogno, oltre al riferimento immediato a elementi specifici che riguardano la vita del sognatore, possiamo cogliere in modo preciso le possibili articolazioni delle questioni che da tempo ci incalzano. Per i suggerimenti teorici che parrebbe volerci elargire, il racconto di questo sogno è davvero straordinario. La questione del tempo, dell’originario, della cosa, del soggetto, della ripetizione, e altre ancora. Schematizzando proviamo a farne un breve riassunto:
A) L’originario, il simultaneo, l’intervallo, l’apertura, questo è il rinvio che la neve parrebbe suggerire. La neve è un elemento di giuntura, non varia passando dal primo al secondo sogno. Per di più, il bianco è quello fra i colori che contiene tutti gli altri, e il colore è una proprietà del sembiante. Dunque la neve, il sembiante come ombelico del sogno. Si potrebbe aggiungere, poeticamente: la neve come riserva potenziale di qualsiasi racconto. Anche l’oblio, la dimenticanza quale funzione primaria di ciascun sogno…
B) Il cicaleccio delle voci, le grida gioiose di chi si rincorre sulla neve, ma pure il silenzio intorno che ne precede l’irruzione. Dunque ancora il sembiante, l’eco della voce che sembra volersi sviluppare, espandersi per avvolgere la trama del primo sogno. La voce che parrebbe impreziosirne la trama per rinviarla a un altrove, innalzarla a una fiaba o a una poesia, verso un punto infinito di astrazione e ancora a un oblio.
Nel primo sogno tuttavia il sognatore sembra ancora volersi sottrarre da tutto questo, vorrebbe nascondersi o comunque non essere visto. Sta funzionando quella che Freud definisce come censura. Il sognatore è ancora soggiogato dallo sguardo della veglia, ovvero il primo sogno è ancora troppo collegato alla sua vita desta; l’impianto del sogno risente delle strategie difensive della veglia. C’è lo sguardo della neve, una neve immacolata che lo guarda, ma è uno sguardo che ancora non riesce a svincolarsi da un soggetto, per essere sostituito da un altro Sguardo non più percettibile, pacificante, infinito. Il sognatore non riesce ancora a vincere le sue difese, le sue strategie di padronanza. L’inquietudine ancora lo accompagna.
C) Il paio di scarpe o scarponi allineati: dunque la cosa, il miracolo, l’evento inaspettato, eppure in qualche modo atteso. Atteso soltanto nel racconto Altro del sogno. L’evento che resta marcato dall’interrogativo, dall’enigma, evento che suscita la domanda, la quale poi rinvia al secondo sogno. Queste scarpe accolgono o accoglievano i piedi; rinviano a un originario che soltanto l’ordine del discorso, in cui per ora si situano, impedisce di riconoscere. Nel primo sogno il discorso impedisce di riconoscere che non vi è alcun prima e alcun poi, alcuna origine e alcuna fine, ma solo il piede e il passo del tempo. Ecco il paio di scarpe che compare, sono allineate, quindi a formare una coppia, ancora un “uno”. Il primo sogno è immerso ancora nel discorso, quindi nel tempo della durata, per il quale la prima cosa sarebbe quella originaria, in questo caso il rinvio al sembiante come causa è ancora precluso. Questa cosa potrebbe rinviare alla cosa “altra”, ma il discorso la tiene ancora ben fissa come la cosa “stessa”.
D) Il Caos originario, la cosa originaria, il secondo sogno senza il quale il primo rimane del tutto incomprensibile, astruso. Il sembiante, irraggiungibile, come causa. Il due originario (anche le scarpe sono due e non formano un “uno”), il due che non è preceduto dall’uno, mentre nel primo sogno continua a insistere l’uno che si divide in due. Il secondo sogno svela l’originario, il due è l’accesso all’originario.
Parrebbe indubitabile che noi ritroviamo le cose nel luogo (o nel sito) in cui le avevamo lasciate. Eppure le cose, nessuna cosa ha già un proprio sito. Le cose dimorano nella parola. E allora, l’enunciato corretto (quello che non diviene inerte, che non si immobilizza nel fantasma materno, che non corrisponde più alla premessa universale aristotelica del tipo Tutti gli uomini sono mortali), ovvero l’enunciato relativo al fantasma originario, non può che essere questo: “ciascuna volta noi troviamo le cose nel luogo (o nel sito) in cui le avevamo lasciate”.
Questo ci obbliga a distinguere l’etica dalla morale. Occorre l’etica per ritrovare ciascuna volta le cose nel posto in cui le avevamo lasciate, occorre l’etica affinché le cose emergano innanzi a noi. La volta originaria corrisponde già alla seconda volta. Ma non è preceduta da una prima. Nella morale è invece preceduta dalla prima. Nella morale la credenza è appunto quella per cui le cose avrebbero un loro sito in cui risiedere, in cui restare, in cui durare, magari fino a una durata eterna. Il monito, il comandamento, quello che si sostiene sulla volontà di un soggetto, è in effetti questo: dimentichi sempre dove hai lasciato le cose! Te l’ho detto infinite volte, lasci sempre in giro le cose!
Ma la volontà, che è di un soggetto, non può sostituire la voce. La volontà vorrebbe supplire all’eco della voce. Senza la voce le cose non appaiono proprio per niente! La memoria non si attiva. La morale è invariabilmente una morale delle cose dette, delle cose fatte, quindi situate. Anche l’epistemologia e l’ideologia.
L’inerzia non è una proprietà delle cose, bensì concerne il fantasma materno. Occorre la voce affinché possa darsi un’etica, e il valore dell’etica non è certo un valore ideale, è il valore portato dall’attenzione a ciascuna volta, per trovare le cose. La memoria stessa è forse l’eco della voce.
Possiamo considerare l’Alzheimer come una parodia estenuata di questa ricerca di un’eco della voce, nel tentativo severo di svincolarsi dal fantasma materno; una spasmodica ricerca dell’eco, della volta “ciascuna”. Benché nell’Alzheimer la volontà del soggetto sia rifiutata con ostinazione, ciò nondimeno, senza l’eco, la memoria non può essere in funzione per trovare le cose.
Anche l’analisi non può che funzionare come “ciascuna volta” per consentire l’incontro con la cosa, il kairos. Le cose ci vengono incontro secondo l’eco della voce. Secondo lo spirito. Possiamo sostenere che è l’eco della voce a richiamarle nel luogo in cui le avevamo lasciate? Un luogo che non esiste prima della loro e-vocazione? Quando parliamo di viaggio intellettuale, dobbiamo intendere questo: acquisire via via l’esperienza di un’etica per l’incontro con le cose.
La memoria, se è tale e non contaminata dal ricordo, non perde la sua “presa” sulle cose. In una sorta di presa-distacco, la memoria trova ciascuna volta la cosa nel posto in era stata lasciata. Passando per l’intervallo della cosa “altra”. L’eco, l’intervallo. La memoria non è senza voce. Il ricordo è senza voce e, quindi, senza l’eco della cosa originaria.
La morale è sempre una rinuncia all’etica, la morale è concepita per tentare di porre un argine al riflusso delle cose. Mentre l’etica si accompagna piuttosto al flusso, ovvero all’abbondanza, all’onda che avanza. Il flusso è il plus, l’aumentare, e corrisponde all’onda che avanza “irresistibile” proprio perché mossa dalla resistenza. Rimozione e resistenza sono le modalità del movimento delle cose, del loro andare e venire. Rimozione e resistenza: nulla di negativo a meno che non siano rappresentate. Le cose si muovono secondo la rimozione e secondo la resistenza. Invece le cose rifluiscono e infine ristagnano quando la rimozione insieme alla resistenza viene rappresentata. Sono anche le vicende che caratterizzano la storia della psicanalisi. Rimozione, le cose si muovono a partire dal nome in funzione; resistenza, le cose avanzano secondo il significante in funzione.
Sono davvero le cose a resistere alla parola? Come crede il luogo comune su cui s’innesta ogni economia e ogni politica sociale, ogni ideologia? E’ il cosiddetto reale a resistere? Non è piuttosto la resistenza stessa a definire quel qualcosa che chiamiamo reale? Non è la rimozione a inaugurare la strada dell’essere lungo la quale poi si fissa l’origine di ogni ontologia?
Io e tu non hanno come riferimento la cosa, nessun essere umano come riferimento, nessun individuo che preceda la parola. Io e tu sono il fantasma dell’oggetto, sono idee dell’oggetto nella parola. Io posso parlare con te, io posso muovermi con te, posso accompagnarti, ecc. Si tratta di passare da “io e tu” a un “noi”. Perciò il noi è “altra cosa” rispetto all’io e al tu. Il noi è originario, corrisponde all’infinito della parola originaria, senza alcuna distinzione già tracciata. Anche il “voi” non è che un “noi” a cui è stato sottratto l’io. Ma il voi è ancora un’idea soltanto.
Che ne è del destino delle cose in questa logica originaria? Se il noi è l’infinito originario dal quale procediamo nella relazione con chiunque, allora non vi è alcuna congruità nel separare una cosa da un’altra, così come nel separare l’evento favorevole da quello sfavorevole. Per il “noi” l’evento è la cosa “altra” nella parola e tutto risulta favorevole, la speranza così come la fede procedono dal “noi”, senza alcuna imposizione, senza alcuna costrizione, senza alcuna volontà soggettiva. Soltanto se siamo “noi” le cose si offrono come favorevoli eventi.
L’evento sfavorevole è soltanto una specie di eccezione, un contraccolpo dovuto al fatto che abbiamo contrapposto un io al voi. L’evento, dunque relativo al noi, non ha alcuna etichetta già scritta. E’ evento nella parola, è la cosa altra, la cosa orientata verso l’avvenire. Il noi è rivolto all’avvenire. Mentre il soggetto è nella stasi del presente.
In quelle che all’occhio comune potrebbero sembrare le peggiori disgrazie, nelle difficoltà estreme, c’è chi vive se non proprio nel gaudio almeno sperando, sempre al di fuori della logica del meglio e del peggio, della vittima o del carnefice. Non si lascia suggestionare dal pensiero del tempo tiranno o del destino infausto. La massima sventura è per costui soltanto la mancanza di avventura. Costui è sempre in un riferimento al “noi”, ha imparato da tempo a viaggiare nell’infinito della parola. Costui è senza alcun ragionamento algebrico: perché mai proprio a me? Perché capitano tutte solo a me? La sventura è precisamente il soggetto, il soggetto, che è l’abolizione del “noi” e quindi dell’infinito della parola. Per il soggetto la cosa risulta sempre o la stessa cosa o la cosa stessa. Le cose riguardano dunque il tu o l’io, senza il noi originario.
La fortuna è l’altra cosa.
Quella del soggetto è sempre e soltanto un’etichetta e per il soggetto le cose obbediscono soltanto al caso, o meglio al calcolo delle probabilità; quando accade un evento considerato sfavorevole, la frase perché proprio a me? viene pronunciata già sapendo che non vi è alcuna risposta possibile. E’ il lamento, è questa la natura del lamento. In relazione a un’etichetta, e non più a un’etica, è soppresso il “noi” e le cose risultano favorevoli o sfavorevoli, inevitabile l’oscillazione fra euforia e disforia.
Se in relazione a un’etichetta troviamo il lamento, in relazione all’etica abbiamo l’apertura di una domanda infinita. L’etica è questo “noi”. L’avvio di una domanda, l’invenzione di un’idea infinita dell’oggetto. Dio potrebbe, avrebbe potuto, rimanere questo, questo infinito dell’idea, se il canone e in seguito l’ideologia non lo avessero rappresentato come creatore e come giustiziere. Mentre i disegni imperscrutabili di Dio concernono la giustizia relativa a un giudice che insistentemente si sottrae e che allora a noi può ritornare come un “noi”. Dio accompagna ciascuna cosa, ciascun elemento della parola. Se vi è etica, dire: “ciascuna cosa”, “ciascun elemento”, risulta propriamente un pleonasmo.
La cosa che incontriamo come evento è un pleonasmo.
Ricominciamo dunque: la memoria trova le cose nel posto in cui erano state lasciate. Si tratta allora di ricordare? Il ricordo è la memoria senza etica. Noi diciamo comunemente che occorre ricordare, per esempio, il posto in cui si era lasciata l’automobile, certo. Eppure occorre il pleonasmo per ricordare quel posto, non basta il ricordo, occorrono la memoria e il pleonasmo. E’ il pleonasmo a fornirci la traccia. La cosa è intoccabile, anche nel pensiero è irraggiungibile; nessuna corrispondenza già fissata fra la cosa e il pensiero. Occorrono il pleonasmo e la “trovata”, ossia l’invenzione, per trovare qualsiasi cosa. La cosa, insieme al luogo in cui si trova, occorre che siano ciascuna volta inventati. L’invenzione (ma anche l’idea o il fantasma) è il solo collegamento possibile fra noi e le cose come pure fra le cose tra di esse. Le cose non sono già in relazione fra di loro.
Dunque, il ricordo, che solitamente noi crediamo tangibile, concreto, fissato, cioè bene ancorato nella cosiddetta realtà, è in verità una costruzione arbitraria; costante è la memoria. Solo il ricordo è traumatico, paralizzante, già corrotto dal fantasma materno, è una memoria paralizzata, pronta dunque a dividersi in buona o cattiva. La memoria è oltre la distinzione fra buona e cattiva. La memoria è costante e pertanto le vicissitudini del rimemorare riguardano soltanto le vicende del ricordo. Nulla può intaccare la memoria. Il ricordo può venire a mancare, ma per la dilatazione del tempo operata dal fantasma materno, dalla rappresentazione. Il fantasma materno è incostante, soggettivo, con la sua pretesa di tenere, afferrare le cose. Il fantasma materno fallisce la presa, non così la memoria.
Quando le vediamo, le cose si presentano in qualche modo installate, con un loro sito; il sito in cui risiedono e da cui ci paiono appunto contornate. Come possiamo accorgerci dell’intervallo che le stacca dal loro sito? L’intervallo (della parola e del tempo) è originario e richiede una certa attenzione e le cose non risiedono che nell’intervallo della parola. Basta un poco di attenzione per accorgersene. Attenzione a che cosa?
Porre l’attenzione è già un porre l’attenzione all’altra cosa, ovvero lasciare che risalti l’intervallo, per cui la cosa si presenta come evento. Il miracolo dell’evento richiede l’attenzione alla cosa altra. L’attenzione non può essere rivolta alla stessa cosa o alla cosa stessa, altrimenti non è più originaria, non è più attenzione. E’ un mero vedere, ma un vedere che non si differenzia dalla cecità totale.
Se l’attenzione è nella parola, l’attenzione è l’apertura stessa. L’attenzione è una virtù della memoria. L’attenzione, come la memoria, non è di questo mondo. E’ per l’attenzione che la cosa si rivela come la cosa altra e come una cosa senza alcun sito in cui già risiedere. La memoria è quel passaggio, ciò per cui la cosa altra può rivelarsi, depositarsi, situarsi, come la stessa cosa e la cosa stessa. Prima l’altra cosa: questo è il principio della memoria. La memoria può fare a meno del sito, quindi noi diciamo che è nella simultaneità. Quella cosa era lì, ma questo “era” già rivela che la cosa non è mai stata da nessuna parte, poiché il passato non esiste. Ora la trovo qui ed è lo stesso posto in cui l’avevo lasciata. Era qui quando “ora” è qui: ecco in funzione la memoria. Questo “era” è dunque una pura invenzione!!! Della memoria e del sogno. L’altra cosa, l’altro tempo, il tempo della memoria, senza passato, presente o futuro. L’attenzione è una funzione della memoria, non è attenzione a una cosa determinata, già contornata, passata, presente o futura. L’attenzione è l’accesso al tempo altro.
L’Altro al lavoro riduce a ossimoro l’opposizione fra il sogno e la veglia. L’opposizione, l’alternativa, suppongono sempre l’esistenza di qualcosa fuori della parola. Ma la vita che si riduce a sopravvivenza è proprio quella che trascorre sempre nell’alternativa, fuori della parola. Il sogno esprime con forza l’istanza della simultaneità: gli eventi che al risveglio si presentano in successione, uno dopo l’altro, nel sonno si presentano sorprendentemente ribaltati, uno prima dell’altro. Ecco l’Altro al lavoro. Sorprendentemente per chi? Ovviamente per il soggetto. E’ soltanto per la presenza di un soggetto, che si crede padrone del tempo, che il tempo è creduto lineare oppure circolare. Gli eventi della vita non sono in successione. Peraltro, questa intelligenza superiore con la quale il sogno e l’inconscio parrebbero sovrastare al risveglio il sognatore, non è ancora null’altro che una fantasia del soggetto. L’autentica intelligenza, certo, è quella dell’inconscio, ma essa non richiede nessuno sforzo della ragione e nessun processo di formazione. Ė intelligente chi sa abbandonarsi alla parola; è la parola ad agire, non il soggetto. Arguto è il sogno, perché lascia fare al lapsus, al gioco di parole. Eccoci nuovamente a Freud. L’invenzione, tutta lacaniana, di un soggetto dell’inconscio, è ancora l’estrema strategia per conciliare questo inconciliabile e tornare a un prima di Freud; è ancora una versione del fantasma di padronanza.
Si può amare secondo il ricordo o secondo la memoria. Nel primo caso abbiamo la malinconia e la nostalgia. Nel secondo abbiamo invece il collegamento con l’evento. Nel primo caso, l’oggetto d’amore rimane la madre, e quasi sempre l’incontro con il simile è destinato allo scacco. L’amore secondo il ricordo è destinato allo scacco perché non evita l’erotismo dell’oggetto.
Come stare insieme? Come vivere insieme? Occorre dissolvere il soggetto, con tutte le sue convinzioni che inevitabilmente sfociano nella lite e nella zuffa, con tutte le sue fantasie, le sue manie possessive, i suoi rituali, le sue ossessioni, le sue strategie, le sue menzogne, le sue stasi, le sue fantasie di padronanza, le sue dipendenze, le sue pazzie, insomma i suoi “assoggettamenti”, e poi ancora non basta. Occorre stare nell’accrescimento e nell’abbondanza, tenersi in equilibrio sulla cresta dell’onda.
Amedeo Modigliani alla ricerca della perfezione della forma, della forma essenziale? Quella finalmente compiuta, l’ultima; alla ricerca disperata di una palingenesi? Della cosa purificata, definitiva, ovvero alla ricerca della morte? Nulla di tutto ciò a me pare di ravvisare osservando i suoi quadri. Modigliani, come ciascun artista, non può che essere alla rincorsa del sembiante. In un percorso intellettuale in direzione della cifra. Non vi è alcuna linea di traguardo da raggiungere. La linea segue alla relazione, nessuna linea originaria. Ciascun quadro racchiude di per sé il sembiante: specchio, sguardo e voce. Ciascun quadro non succede pedissequamente a quello che lo precede. Gli stessi elementi del ritratto, l’ogiva del volto, naso e collo allungato, occhi a mandorla, colori vellutati, e via dicendo, che parrebbero vincolati a un’origine, alla perfezione di una copia, in realtà si schiudono a una serie cardinale, a una paratassi. Gli elementi che sembrano ripetersi sono semmai l’occasione per una variazione incessante. Il volto ogivale, la cecità dello sguardo, il naso e il collo allungati? Sintomo come risorsa. Ciascun quadro, ciascuna immagine, vive nella sua assoluta solitudine, orientata soltanto da un racconto. Ciascun quadro è una nuova invenzione. Il tratto che si ripete diviene simbolo e lettera, per un percorso verso la cifra, la parola originaria.
La linea rinvia alla relazione ma non la precede. La relazione, l’Altro, quindi la linea, il tratto, la singolarità dell’eleganza del tratto che esige l’Altro, il racconto, il sembiante. Le figure di Modigliani sono delle ipotiposi, ma la peculiarità dell’ipotiposi è quella di debordare proprio dallo schizzo che vorrebbe effigiarla e rinchiuderla; lo schizzo ha la sua eleganza e autorità, una singolarità incontrata, soltanto alla fine, nel tratto curvilineo. Anche la linea ciascuna volta è una trovata. La semplicità è alla fine, richiede un’esperienza che non è affatto quella del soggetto. Ciascun quadro è pulsionale, dunque una domanda che non corre verso qualche risposta già confezionata, pronta lì da qualche parte, in attesa. In ciascun quadro è trovata la cosa in quanto altra. Nessuna risposta. Ciascun quadro è una domanda che vive di vita propria e non è in attesa di una risposta uni-versale e uni-ficante. Le figure di Modigliani istituiscono una processione, nessuno scopo finale, nessun telos verso cui dirigersi.
Da: Gabriele Lodari
Lunedì 3 agosto 2020 10:00:25
Per: Matteo Salvini
Buongiorno On Salvini,
Il governo è si è reso ridicolo ancora una volta, mentre convincono gli Italiani a fare le vacanze nella nostra bella Italia, annullano i biglietti dei treni e fregandosene di tutto e tutti lasciano le persone a piedi. Gli immigrati invece hanno navi a disposizione vitto e alloggio e tamponi. Basta questo governo deve andare a casa di danni ne ha fatti a sufficienza. Spero che chi ha votato a sinistra, si sia fatto una giornata in autostrada in Liguria e chi invece doveva viaggiare in treno sia rimasto in stazione per un lungo week end. Donne di sinistra amanti dell’accoglienza venite tutte a Lampedusa servono: lavapiatti, domestiche, cuoche, etc... Non parlate, agite servono volontari, serve aiuto per i poveri operatori rimasti soli a svolgere tutte le mansioni. Quest’anno le vostre vacanze passatele ad aiutare gli ospiti che arrivano a migliaia, non squagliatevela alle Maldive, passatele invece a gestire gli immigrati sapete nelle ultime 48 ore sono arrivati 800 immigrati che hanno un gran bisogno urgente delle vostre attenzioni nei fatti e non a parole. Buone vacanze a tutti!
Da: Nadia
Lunedì 3 agosto 2020 09:50:48
Per: Matteo Salvini
Popolo Salvinianio scendiamo in piazza e Manifestiamo davanti a Montecitorio per dire no a questo governo VENERDÌ 7 AGOSTO ALLE ORE 10, 00.
SALUTI
ONOFRIO
Da: Onofrio
Lunedì 3 agosto 2020 09:49:03
Per: Bruno Vespa
Con riferimento al più recente volume di Bruno Vespa Bellissime, vi segnalo alcuni refusi da me riscontrati. Fra parentesi la parola corretta:
- pag. 52, riga 12: Arperls (Arpels) ;
- pag. 87, ultima riga: Gains-burg (Gainsburg) ;
- pag. 94, riga 11: prèmiere (première) ;
- pag. 124, riga 9: a alla (alla) ;
- pag. 170, riga 2/3 dal basso:
in quei nei (in quei; oppure nei) ;
- pag. 183, riga 3: Laude delle donne bolognese (Laude delle donne bolognesi) ;
- pag. 196, ultima riga: Dirà Alla sua morte (Alla sua morte. Cfr. seguito a pag 197, prima parola della prima riga) ;
- pag 197, riga 4/5 dal basso: vede-vanossero i suoi occhi lei (vedessero i suoi occhi, lei;
- pag. 207, riga 13: Claudiafonda
(Claudia fonda).
Vi ringrazio per l’attenzione che vorrete riservare alla presente e vi saluto cordialmente
Andrea Marrubini
Da: Andrea Marrubini
Lunedì 3 agosto 2020 09:28:42
Per: Alessandra Amoroso
Ciao Alessandra,
Mi chiamo mimma.
E ti scrivo per cercare di realizzare un sogno
Immenso di un amica.
Che a settembre farà 30 anni.
Lei è follemente innamorata della tua voce,
Della tua persona e della tua musica.
Siamo amiche ormai da una vita eravamo piccolissime.
E ora che abbiamo raggiunto un eta matura vorrei fare qualcosa per rendere quel giorno unico.
Dopo tante cadute che abbiamo affrontato nella vita.
Ora cerchiamo
Sempre un po’
Di felicità.
Vorrei poter veramente farle vedere un video in cui gli auguri più belli arrivano da te.
Grazie 😊
Da: Mimma
Lunedì 3 agosto 2020 09:19:08
Per: Giuseppe Conte
Sign conte perché non ha ancora chiuso i porti... é inammissibile.. una vergogna, venga fare un giro a vigevano... uno schifo!!! lei non sta tutelando il popolo italiano anzi!!! perché state facendo del tutto x nn mandarci al voto? siamo stanchi e arrabbiati.. vogliamo votare!!! lei pensa avere la coscienza pulita? compreso casalino, la sciura bellanova ecc ecc... siete attaccati alla poltrona... purtroppo x voi conta solo il dio denaro. che pena! milioni di persone che non hanno una casa, un lavoro... si uccidono e voi pensate ai migranti... vergognoso!!!
Da: Anna Brigato
Lunedì 3 agosto 2020 09:17:05
Per: Matteo Salvini
Come si ha il coraggio di parlare quando sul proprio groppone pesa uno svarione come questo descritto dall'informatissimo e eccellente giornalista
Francesco Storace 08 luglio 2020, IL TEMPO. it
"Mascherine che volano, soldi che scappano sempre più lontano. Alla regione Lazio speravano in un vuoto di memoria, ma la truffa costata svariati milioni di euro all’amministrazione torna a galla. Non è stato esattamente un modello di gestione corretta quello che si è scoperto nel momento di massima preoccupazione per l’espansione del Covid-19. E stamane in aula alla Pisana tornerà di nuovo alla carica Chiara Colosimo, a nome di Fratelli d’Italia, per pretendere di sapere da Nicola Zingaretti che fine hanno fatto i quattrini che dovevano rientrare in cassa.
In discussione un’interrogazione che merita attenzione, forse anche in altri palazzi che sono a caccia di ulteriori elementi. Nei primissimi giorni di maggio si affacciò in Consiglio regionale il governatore a giurare che lo scandalo era sepolto. Perché la ditta che si era intascata ben 14 milioni di euro – quella che fabbrica lampadine, la Eco. Tech - era pronta a restituirli. Con tanto di piano di rientro. Carta straccia: siamo a luglio e sessanta giorni dopo Zingaretti sta sempre lì a chiedere al cassiere se sono arrivati i soldi. La Eco. Tech pare dormire sonni tranquilli. Non si ha notizia di ricerca pubblica di quattrini da riportare in regione, finora sono stati racimolati spicci, appena un milione di euro consegnato all’istituzione. Ma gli altri tredici milioni versati come anticipo per la fornitura di mascherine che dovevano costare oltre trentacinque milioni sono rimasti nella vasca di Paperon de’ Paperoni e non c’è verso di riportarli a Roma. "
Zingaretti getta la mascherina
Zingaretti getta la mascherina
Da: Anna
Lunedì 3 agosto 2020 07:54:34
Per: Maurizio Sarri
Toscano doc, non permettere che ti considerino napoletano. A Napoli ci sei nato e basta! TOSCANA THE BEST! : -)
Da: Roberto
Renzo Arbore
Conduttore e autore tv, musicista,...
Da: Francesco Paolo Gentile