Mario Francese
Biografia
È il 26 gennaio 1979: Mario Francese saluta i colleghi del Giornale di Sicilia e torna a casa sua, in viale Campania. Ad attenderlo ed a premere il grilletto c'è Leoluca Bagarella. È un delitto deciso insieme ai corleonesi Riina, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco. Mario Francese, come recita la sentenza, aveva
una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi, di interpretarli con coraggiosa intelligenza, e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive di Cosa nostra, in una fase storica in cui oltre a emergere le penetranti e diffuse infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti e dell'economia, iniziava a delinearsi la strategia di attacco di Cosa Nostra alle istituzioni.
Una morte quella del giornalista che apre la stagione dei cosiddetti "delitti eccellenti". Da lì a poco avrebbe compiuto 54 anni.
Perché Mario Francese è stato assassinato?
Il giornalista in quegli anni è il protagonista della cronaca giudiziaria e del giornalismo d'inchiesta siciliano. Abile ad anticipare gli inquirenti nell'individuazione di nuove piste investigative. Così facendo rappresenta un pericolo per la mafia, in quanto è capace di individuarne il programma criminale.
Dalle origini al mestiere di giornalista
Il giornalista Mario Francese nasce a Siracusa il 6 febbraio del 1925. È terzo di quattro figli. Finito il ginnasio nella sua città, decide di trasferirsi a Palermo a casa di una zia, la sorella della madre. Ciò per completare il liceo e poi frequentare l'Università.
Conseguita poi la maturità classica, decide di iscriversi alla facoltà di Ingegneria. In contemporanea sente la necessità di essere indipendente economicamente. Così comincia a lavorare all'Ansa, negli anni Cinquanta, in qualità di telescriventista. Il suo sogno di giornalista comincia con la collaborazione con La Sicilia. Essendo precario cerca un lavoro che gli permetta di avere uno stipendio, ovvero entrando alla Regione come "cottimista" il 1° gennaio 1957.
Destinato poi ad essere capo dell'ufficio stampa all'assessorato ai Lavori pubblici, quindi assunto in modo definitivo nell'ottobre del 1958.
Il 30 ottobre dello stesso anno Mario Francese si sposa con Maria Sagona. Da questa unione nascono quattro figli maschi. La stabilità economica tuttavia non gli impedisce di cambiare lavoro, di lasciare il posto fisso, per lavorare come cronista giudiziario al Giornale di Sicilia alla fine degli anni Cinquanta.
Mario Francese diventa una delle firme più importanti del giornale. Nel 1968 diventa giornalista professionista. Da qui i suoi articoli, i suoi lavori: si occupa della strage di Ciaculli, dell'omicidio del colonnello Russo, intervista la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella. Dimostra di essere un giornalista abile, esperto, scomodo. È un esempio raro di giornalismo investigativo in Sicilia.
Il processo: dall'archiviazione alla condanna di Totò Riina
Il delitto di Mario Francese apre una serie di omicidi mafiosi a ripetizione, tra i tanti quello del gennaio 1980 del presidente della Regione Piersanti Mattarella, seguito da tanti altri. L'omicidio del giornalista cade nel dimenticatoio, tanto che l'inchiesta viene archiviata.
Ci sono voluti anni per riaprirla su richiesta della famiglia. Il processo si è svolto con rito abbreviato, concludendosi nell'aprile del 2001, con la condanna a trent'anni di Totò Riina, Francesco Madonia, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Michele Greco, Leoluca Bagarella (esecutore materiale) e Giuseppe Calò.
È stato invece assolto Giuseppe Madonia, accusato di essere stato il killer insieme a Bagarella. Poi, nel processo bis, con rito ordinario, l'imputato Bernardo Provenzano è stato condannato all'ergastolo. Quindi, nel 2002 in appello è stata confermata la sentenza di primo grado. Secondo i giudici:
"Mario Francese era un protagonista, se non il principale protagonista, della cronaca giudiziaria e del giornalismo d'inchiesta siciliano. Nei suoi articoli spesso anticipava gli inquirenti nell'individuare nuove piste investigative" - Quindi era - "un pericolo per la mafia emergente, proprio perché capace di svelarne il suo programma criminale, in un tempo ben lontano da quello in cui è stato successivamente possibile, grazie ai collaboratori di giustizia, conoscere la struttura e le regole di Cosa nostra".
Anche in Cassazione regge l'impianto accusatorio, ma vengono assolti tre boss "per non aver commesso il fatto". Si tratta di Pippo Calò, Antonino Geraci e Giuseppe Farinella.
A dicembre del 2003 la sentenza ha confermato i 30 anni di reclusione per Totò Riina, come pure è rimasta definitiva a 30 anni la pena per Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia e Michele Greco. Nel processo bis è stato confermato l'ergastolo di Bernardo Provenzano.
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