Ultimi commenti alle biografie - pagina 2898
Martedì 21 aprile 2020 13:50:43
Per: Gianluigi Paragone
Buongiorno sono Dino Gnassi, un musicista di professione:
NOI, QUELLI DELLA MUSICA, DELL'ARTE, I MUSICISTI, E GLI ADDETTI AI LAVORI...
Tutti indignati, ogni categoria, agricoltori, parrucchieri, ristoratori, persino i calciatori... tutti senza lavoro che alzano la voce, ed è giusto.
Ma poi mi chiedo: e noi?
Noi quelli della musica. Chi ci tutela ?
Chi si indigna per noi ?
Chi va ai TG, ai programmi e talk di approfondimento per dire che il nostro settore è maggiormente penalizzato, e lo sarà per mesi e mesi?
Un settore già devastato da tempo, e senza un sindacato che lo rappresenti.
Ed adesso siamo impossibilitati anche a usufruire dell'unica risorsa che ci rimaneva, quella degli spettacoli, dei concerti, delle rappresentazioni... EVENTIZERO, sino a data da destinarsi.
E dietro ad un evento non c'è solo il musicista o orchestrale, ma un mondo di professionisti invisibili che lavorano spesso con ritmi altissimi e senza orari: tecnici luci, fonici, manovalanza varia, direttori d'orchestra, cantanti, coreografi, ballerini, registi, attori, scenografi, autori, compositori, case discografiche, editoriali, studi di registrazione, tecnici del suono, società che forniscono materiali di ogni tipo, staff di produzione…
Un settore che non è fatto solo di lustrini e paillettes, o di artisti ricchi e famosi, non è solo un concentrato di apparente perfezione e bellezza, ma è fatto, per la totalità, di ciò che non si vede, di ciò che sta dietro, in penombra... è fatto di lavoratori come tanti altri, da gente che lavora sodo e duramente, ha studiato e studia ogni giorno per essere sempre aggiornato e preparato.
Tutto un mondo che NESSUNO, sta citando, e non potrà sopravvivere con i seicento euro al mese.
Si ricordano di noi musicisti solo quando dovrebbero suonare gratis dai balconi.
Cosa che sicuramente farà qualche dopolavorista, spinto anche dall’esibizionismo, e pavoneggiandosi di fronte ad una platea che non avrebbe mai avuto, gli stessi poi che vanno nei locali ad esercitare abusivamente la professione del musicista al posto dei professionisti, ed anche a basso costo, in nero e senza versare i contributi o tasse, perché è proprio uno Stato impreparato su questa materia che glielo consente, sollevandolo da questi oneri perché hobbista, favorendo lui, il gestore e organizzatori di eventi. Ma può farlo, accontentandosi anche solo di un rimborso spese o la cena offerta, penalizzando ancora una volta chi esercita la professione e che chiede il suo rispettabile cachet, onesto ed adeguato, e che paga le tasse.
I lavori vanno rispettati tutti, peccato però che nessuno, rispetti questa categoria di lavoratori.
Noi siamo professionisti, che al pari di un operaio, si guadagnano da vivere grazie ad ore ed ore di lavoro svolto, di studio, e sacrifici affinché il pubblico possa godere dello spettacolo.
Questo settore lavorativo è stato il primo ad essere fermato e sarà l’ultimo a ripartire.
Il primo ad essere penalizzato in tempo di pandemia.
Centinaia di migliaia di persone ferme, senza tutela sindacale, partite iva senza fatturato, cinema, teatri o qualsiasi luogo da concerto tenuti chiusi.
Però poi gli artisti italiani ed i musicisti veri, sono quelli che vi fanno cantare, vi fanno innamorare, sognare e commuovere, che vi regalano spensieratezza durante le giornate terribili e da incubo come quelle che stiamo vivendo.
E la musica la vogliamo ovunque, fa parte della nostra vita, ne abbiamo sempre bisogno: in macchina, in ufficio, in casa, nei supermercati, nei centri commerciali, nelle sale d’aspetto e negli ascensori, abbiamo bisogno del tormentone estivo, film che hanno raggiunto il successo proprio grazie alla sua colonna sonora, programmi TV basati esclusivamente sulla musica ed il canto, e l’evento Italiano in TV più visto di sempre, con milioni di telespettatori è proprio una milionaria Kermesse musicale, tra l’altro oggetto di grandi polemiche proprio riguardo paghe e orari degli orchestrali di cui ne fanno parte.
Per concludere, purtroppo la categoria degli invisibili non è tutelata nel nostro amato Belpaese, sebbene poi alcuni politici, che avrebbero dovuto salvaguardarla, riempiono le prime file dei teatri, di eventi e concerti, prestigiosi programmi musicali in TV, senza mai pagare il biglietto e come se tutto fosse dovuto.
Chiediamo che si parli anche di noi e che venga presa in considerazione l’idea che qualche politico sensibile a questo importante tema, si prenda la responsabilità di pensare anche ai lavoratori dello spettacolo, ai musicisti professionisti, categoria senza rappresentanti sindacali, senza un organo istituzionale che possa decidere, autorizzare ed abilitare chi può svolgere questo importante lavoro, ed è inaccettabile che ad oggi possa essere svolto da chiunque, senza limiti e senza regole.
Provate ad immaginare un mondo senza arte, show, teatri, concerti, cinema ed eventi culturali. Che mondo sarebbe? Un mondo senza sogni...
E l'arte, la musica che tutto il mondo ci invidia con la qualità e l'esperienza che mette in campo con i professionisti del settore, costituisce un valore inestimabile per il nostro Paese, magari siamo una categoria invisibile, ma non per questo inesistente.
Dino Gnassi
Anche qualche importante musicista o artista ha contribuito a farlo capire:
Francesco De Gregori:
https://www. ansa. it/sito/notizie/ cultura /musica/2020/04/11/ francesco-de-gregori-tutelare-i- musicisti_7551d7f4-f9a7-434c-bf81-8f3cb82b19d0. html
Laura Pausini:
https://www. instagram. com/p/B_C4KkgDqjy/
Tiziano Ferro
https://youtu. be/LLHBwQuqLYU
Da: Dino Gnassi
Martedì 21 aprile 2020 13:40:54
Per: Luigi Di Maio
Ministro bg, non faccia lo sbaglio di accettare in maggioranza berlusconi, si ricordi i 5 stelle hanno detto mai con berluscon8, e non accettate il mes sarebbe la fine.
Cordiali saluti
Giuseppe
Da: Giuseppe
Martedì 21 aprile 2020 13:18:34
Per: Michelle Hunziker
Carissima, domani 22 Aprile mio figlio festeggia il suo 18. mo compleanno. Avrebbe voluto farlo in compagnia dei suoi amici ma questa pandemia lo costringerà a stare a casa. Se possibile vorrei regalargli un tuo video messaggio di auguri. Si chiama Francesco Bacile. Grazie di cuore.
Da: Paolo Bacile
Martedì 21 aprile 2020 13:03:29
Per: Vincenzo Spadafora
Caro Spadafora,
anche il sottoscritto ha lavorato con i bambini/ragazzi perchè ho insegnato per 20 anni I. R. C. negli istituti comprensivi e apprezzo molto la tua attività in Unicef, alla quale mi sono rivolto quando insegnavo in provincia di Piacenza. Ma devi comprendere che il calcio è il traino del nostro sport e pertanto, con le dovute cautele, deve ripartire per dare speranza e goiia agli italiani che incom inciano ad essere depressi sia come atleti che come appassionati. Ripeto il calcio deve ripartire e non solo quello professionistico ma anche i dilettanti perchè deve essere il campo a decidere i campionati e non il giudice sportivo o le federazioni Con il Covid-19 si deve convivere, in attesa del vaccino !!!
Da: Giuseppe
Martedì 21 aprile 2020 12:43:18
Per: Mario Giordano
Buongiorno Sig. Giordano, grazie per tutto quello che dice, perché parla chiaro, perché sento che é sempre stato dalla parte NOSTRA cioè dove siamo tutti noi persone comuni, (e tra le quali si mette anche Lei)
e questo Le fa onore, oltre ad essere uno stimato professionista.
Le scrivo per chiederLe AIUTO, aiuto nel senso che vorrei che Lei nella sua trasmissione parlasse anche del settore calzaturiero. In Italia ci sono 6 grandi poli Calzaturieri (Veneto dove io risiedo e Lavoro, Parabiago, Toscana, Marche, Campania e Puglia) dove tra le diverse tipologie di prodotto e tutto l'indotto che ne consegue é uno dei Pilastri dell'economia manifatturiera Italiana. L'italia é il primo produttore europeo di calzature... non so in termini di PIL quanto sia ma saremmo sicuramente un pezzo forte dell'economia totale.
La scongiuro di parlare del nostro settore, che chiuso da ben 2 mesi ormai rischia di far cancellare 80% delle micro piccole e medie imprese, faticosamente costruite con anni di sacrifici.
Dal mio punto di vista, sono un designer calzature e di 5 clienti 3 sono o stanno chiudendo definitivamente, 1 mi ha chiesto di lavorare per uno sconto del 75% e l'unico cliente che continua é una collaborazione con una ditta Cinese.
Ho grande paura preoccupazione ed incertezza per il prossimo futuro...
Sono padre di due bambini piccoli, ho anche io il mutuo come tanti, ed ho entrate pari al 10 % rispetto a Gennaio... e a giugno IL SOCIO DI MAGGIORANZA pretenderà il pagamento delle tasse...
Grazie Fabio Marigo 347 -------
Da: Fabio Marigo
Martedì 21 aprile 2020 12:05:42
Per: Guido Bertolaso
Esistono gli uomini i mezzi uomini e i quaquaraqua chi La critica è solo un quaquaraqua con stima giolberto
Da: Gilberto Caizzi Marini
Martedì 21 aprile 2020 11:50:59
Per: Massimo Gramellini
DOPO IL CORONAVIRUS
Erano seduti sul prato della villa comunale all’ombra di un salice piangente a raccontare storie impossibili. Marco, Piero, Massimo, Samuele e Salvatore, cinque adolescenti di tredici anni con una gran voglia di fare, seppellire le noiose giornate che passavano lente nel piccolo e nuovo paese ai piedi di quello antico e storico centro medioevale, con le case spalmate sulla collina che con una mano allungata tocca la pianura della valle del Fullone, l’altra accarezzava i monti Paolitani sul cammino di San Francesco da Paola. Il Paese non era stato risparmiato dall’epidemia del virus battezato COVID19 all’inizio del duemila e venti e si era portato, dopo lenta agonia, sottoterra, tutta la popolazione dai quarantenni in su; nessun vecchio, nessun pensionato era sopravvissuta all’epidemia, la persona più anziana adesso aveva poco più di quarantacinque. Il focolare si era sviluppato nel vecchio centro storico quando ormai la prima fase del contagio sembrava superata e la gente iniziava ad avere contatti, dopo la lunga e snervante quarantena. La gente aveva voglia di stare insieme e non passava giorno nel centro storico senza un evento; le sagre si susseguivano senza sosta tutti avevano voglia di stare insieme, strusciarsi nella folla, inebriarsi. Il vento termico, sempre presente, portava verso valle profumi di cipolla e salsicce arrostite, musiche, canti e balli. Nei vicolo, ognuno dava sfreno al lungo periodo represso in quarantena, il gregge fremeva eccitato. Purtroppo il virus silente era mutato nelle cellule che sembravano ormai guarite, diventando molto, molto letale e uccidendo in brevissimo tempo gran parte della popolazione, specie quella più matura. Vennero prese restrizioni drastiche, il centro storico venne chiuso, murato con la gente dentro, solo ai più giovani venne permesso di uscire dopo accertamenti sanitari. Quelli rimasti man mano che morivano venivano cremati in una veccia fornace modificata per l’esigenza; nel giro di sei mesi non restò in vita nessuno nel lazzaretto del centro storico, così lo chiamavano in ricordo della peste. Il paese riprese a vivere a valle, nella pianura nella vecchia zona industriale sulle rive del fiume Fullone. Ormai erano passati più di cinque anni che nessuno metteva piede nel vecchio paese ricco di storia, probabile rifugio dei Sibariti sopravvissuti alla disfatta del 510 a. c..
Marco guardava il vecchio paese che ancora incuteva timore ma carico di fascino. La vecchia torre Normanna che da mille anni si ergeva sopra il paese, circondata da un stormo di cornacchie, era un punto cospicuo che ricordava gli antichi splendori del paese dei nobili, i Sammarchesi.
«Voglio visitare la torre». Disse Marco ai compagni.
Poi si alzò montò sulla bicicletta e si avviò verso la collina seguito dal resto della compagnia. Percorsero la stradina che costeggiava il fiume e in breve tempo arrivarono sul ponte del Mulino di Mezzo, ma non era possibile proseguire sulla vecchia pista a causa delle recinzioni fatte con rotoli di filo spinato ormai incastrati con la vegetazione di spinosi rovi impenetrabili. Nella vecchia piazzetta antistante il vecchio mulino ad acqua, c’era una tabella dove era riportata la piantina del vecchio paese e ancora si potevano leggere i nomi delle vie e dei monumenti. Massimo che si era allontanato dal gruppo notò un ruscello che veniva dal paese in mezzo a una gola verde e sfociava nel fiume; chiamò il resto della banda e dopo aver nascosto le bici si inoltrarono nel ruscello risalendo verso il paese. Dopo qualche centinaio di metri, camminando nelle acque fresche, si presentò agli occhi dei ragazzi un vecchio ponte Normanno occultato in gran parte dalla folta vegetazione, più avanti l’acqua del ruscello sgorgava fuori da un grosso cunicolo che si infilava nella collina, risalendola in galleria. I ragazzi avevano lasciato le bici ma si erano portati dietro le luci a pila montate sulle forcelle e senza perdersi d’animo avanzarono nel buio fino ad un tombino verticale molto largo da dove l’acqua scendeva a casata su un lato. Sulla parete asciutta c’era una scala a pioli fatta con tondini di ferro infilati nella parete di calcestruzzo, in cima c’era una grata. La grata di protezione del tombino era solo poggiata e con poca difficoltà venne aperta e la luce del giorno li abbagliò. Tutt’intorno c’erano vecchie case imprigionate nel verde; da una porta aperta usciva un grosso fico che ormai da anni aveva preso possesso dall’abitazione orfana dei proprietari le sue fronde davano ombra alla piccola piazzetta. La banda dei cinque esploratori si infilò timorosa nei vicoli deserti e al loro passaggio volavano spaventati i colombi che avevano colonizzato il quartiere e curiosi conigli si affacciavano dalle tane scavate nelle vecchie mura; girato l’angolo entrarono in una piazzetta e alla loro vista si presentò un monaco che faceva capolino in mezzo all’erbacce di un giardinetto recintato. Tre dei ragazzi urlarono per lo spavento e indietreggiarono spaventati a morte mentre Samuele e Salvatore si sbellicavano dalle risate perché avevano visto bene che il monaco era una vecchia statua di padre Pio. Uscirono dal vicolo del vecchio centro storico e si affacciarono sul corso principale. La vegetazione aveva preso possesso incorniciando le vecchie insegne dei negozi. In ordine c’era una macelleria poi un negozio di frutta e verdura, un bar e a seguire un tabaccaio, un’altra macelleria, una ferramenta e poi una piazza, piazza Umberto si leggeva su un angolo in alto di un muro, pitturata con caratteri neri su un riquadro bianco. Una vecchia autovetture arrugginite stavano parcheggiate da anni, all’interno c’erano dei libri e vecchi giornali ingialliti, su un balcone al primo piano, attaccata all’inferriata c’era una vecchia telecamera che guardava senza vedere ormai da anni la piazza e il corso; apparteneva a un sito web che prima del dramma postava giornalmente le immagini del paese e della gente che passeggiava tra le bancarelle della fiera domenicale.
Si stava facendo tardi e il gruppo si rinfilò nei vicoli per rientrare a casa prima che facesse buio, con la promessa di ritornare il giorno dopo, ma non avevano fatto il conto con il dedalo tipo casba dell’antico centro storico. Si ritrovarono due volte nello stesso punto e non ne venivano a capo. Volevano fare la cosa giusta, quella di scendere dritti a valle ma non c’era verso di uscirne, si trovavano sempre o in un cortile senza sbocco o dovevano per forza girare e risalire verso sopra. Il sole tramontava ormai allungando le ombre delle case e in alcuni punti in ombra era già buio. Nessuno aveva telefonino perché le nuove leggi lo proibivano ai minori e non c’era modo di chiamare le famiglie. Si infilarono in una chiesa per passare la notte, certi che in quel posto sacro sarebbero stati protetti da qualche angelo custode. Sui candelabri ancora c’erano le candele e diverse erano posate sull’offertorio. Ogni passo e ogni movimento che facevano era amplificato in quell’ambiente e per farsi coraggio iniziarono a cantare l’Avemaria di Schubert e mentre cantavano Pireo tirò dalla tasca un accendino e candidamente iniziò ad accendere le candele.
«Ma perché non lo hai tirato fuori prima quest’accendino, avevi paura che si consumasse? ». Lo rimproverò Massimo.
Il poveretto si scusò dicendo che non sapeva di avere in tasca l’accendino, lo aveva trovato il giorno prima per terra e lo aveva messo in tasca e solo adesso mentre cantava lo aveva toccato accidentalmente. Sui lati della navata molte statue di gesso vibravano sotto la luce flebile delle candele, erano i dodici apostoli. Massimo era paralizzato immobile, bianco come le statue, con gli occhi fissi su qualcosa che non era una statua anche se aveva le sembianze di San Giuseppe; alzò lentamente il braccio con indice teso per indicarlo ai compagni che appena lo videro si strinsero a gruppo come fanno le sardine spaventate, incapaci di parlare, solo guaiti usciva dalle bocche aperte. Non avevano mai visto in vita loro un vecchio, ne avevano visti tanti nelle foto o nei vecchi film, ma uno in carne e ossa mai.
«Che ci fate nella mia chiesa? ». Chiese il vecchio con voce rauca
«Lo sapete che è vietato entrare in paese, ma soprattutto come avete fatto ad entrare? ».
Piagnucolando Piero pregava il signore di non ucciderli.
«Tenga le regalo questa, è la luce della mia bicicletta, la batteria è carica; ci siamo persi, siamo entrati per sbaglio in paese e adesso non troviamo il pozzetto per uscire». Visto che il vecchio non si mostrava pericoloso ma lo guardava con tenerezza, si fece coraggio e iniziò a tempestarlo di domande.
«Ma tu sei vero o sei uno di questi santi? Quanti anni hai? Abbiti qua? Come ti chiami? »
Il vecchio con garbo lo invitò al silenzio ma anche lui era curioso erano tanti anni che non vedeva dei ragazzini e avrebbe voluto accarezzarli, abbracciarli ma non voleva spaventarli.
«Avete fame? Si che avete fame vediamo cosa possiamo preparare per cena». Poi l’uomo cambiò tono e timbro di voce.
«Vuoi anche dargli da mangiare a questi stronzetti? Hai scordato cosa ci hanno fatto i loro genitori? Sei proprio scemo e la colpa è di tua madre che ti ha sempre viziato».
«Se sempre colpa mia, invece la colpa è tua che non sei mai presente e sei buono solo a gridare e a minacciare, vedi che hai spaventato questi giovanotti? ». Rispose il vecchio a se stesso ma con la voce di una vecchia signora. L’uomo negli anni di solitudine aveva preso tre personalità, in lui c’era padre madre e figlio. Poi con sguardo amorevole da nonnina consolò i ragazzi che oltre ad essere terrorizzati erano molto confusi. Probabilmente quando s’invecchia l’uomo acquista più personalità pensarono i ragazzi.
Poi il padre prese la scena e rivolgendosi al figlio e moglie che erano nella sua testa disse:
«Raccontategliela la storia fategli sapere come ci hanno trattato parla tu Ersilia ma non tralasciare niente altrimenti mi arrabbio e mi metto a strillare porco di un cane pulcioso».
«Calmati Giovà stai calmo, hai ragione ma non sono troppo piccoli per sapere la cruda verità? ». La faccia diventò di nuovo dura e senza proferire mosse lentamente la testa a destra e a sinistra lentamente, aveva detto no.
«Va bene». disse la donna con voce calma.
«sedetevi su quel banco e se non capite alzate la mano prima di parlare. Erano i primi di maggio, ma non festeggiammo la festa del lavoro, l’epidemia si manifestò con tutta la sua violenza e a fine mese i pochi anziani sopravvissuti venimmo chiusi nel paese, alzarono recinzioni e murarono tutti gli accessi. Ogni settimana i militari ci portavano i viveri calandoli con una gru; eravamo meno di cento persone rimasti, molti erano al letto attaccati a degli erogatori subacquei che li aiutavano a respirare, l’aria veniva pompata con dei compressori elettrici e stranamente non moriva nessuno, il virus anche se debole era presente nei nostri corpi. Ricordo l’ultimo controllo che ci fecero, risultavamo ancora positivi, così il giorno dopo staccarono l’energia elettrica e quelli che necessitavano di aria forzata soffocarono. Restammo in trenta in vita e stranamente man mano che l’aria diventava più calda noi diventavamo più forti e il 10 luglio capimmo che eravamo guariti c’è lo dicevano i nostri occhi e l’appetito che avevamo. Erano due settimane che non ci rifornivano di viveri, ci volevano morti, ma non era un problema perché catturavamo i piccioni o i conigli e nei negozi abbandonati c’era ancora tanta roba da mangiare.
Il ventuno di luglio alle otto e trenta di sera entrarono in paese cinque militari, io mio marito e mio figlio eravamo in questa chiesa a pregare quando sentimmo delle raffiche di mitra. Avevano sparato al professore. Il professore contento quando ha visto i militari gli andò incontro dicendogli che con il caldo dell’estate eravamo guariti, ma uno dei militari ridendo gli disse che adesso lo curavano loto e gli scaricò una raffica sul petto. Il professore poverino cadde indietro, si afflosciò a terra come un sacco vuoto e il suo cervello di rara intelligenza iniziò a deteriorarsi sull’asfalto di piazza Umberto. I cinque militari erano dei giovani esaltati, sul viso avevano disegnate due svastiche come quelle dei nazisti nella seconda guerra mondiale; certamente avete studiato a scuola della seconda guerra. Avevano un cane per scovarci e massacrarci». La donna che parlava dalla bocca del vecchio dovette fermarsi, non riuscì a proseguire perché un nodo si formo in gola e il racconto venne ripreso dal marito.
«Quando sentimmo gli spari salii sul campanile e dall’alto potevo vedere senza essere visto ma avrei preferito non vedere. Mario il meccanico venne preso e fatto mettere in ginocchio, teneva le sue abili mani d’artigiano dietro la nuca, gli disse che eravamo guariti e potevamo tornare alle nostre famiglie perché non c’era pericolo di contagio. Con la promessa che ci avrebbero liberati si fecero dire quante persone c’erano in paese e dove dormivano. Mario era un genio nel suo lavoro di meccanico ma ingenuo per tutto il resto e appena ebbe finito di fare i nostri nomi e indirizzi, il ragazzo gli tagliò la gola, freddo, senza nessun sentimento anzi era fiero di quello che aveva fatto. Un sole purpureo tramontava dietro le montagne del Pettoruto quando gli ultimi anziani vennero trucidati. Noi eravamo gli ultimi perché abitavamo nella parte più bassa del centro Storico. Mia moglie Ersilia insieme a mio figlio li aspettavano sul sacrato con in mano il crocefisso alzato recitando il paternostro, io dall’alto del campanine gli dicevo di scappare ma non mi sentivano, la brezza della sera portava via la mia voce; intanto i cinque militari avanzavano nella piazzetta del rione Santa Maria, l’uomo graduato era in testa al corteo e quando fu sotto il campanile sul sacrato potevo vedere bene, con il cannocchiale, la sua faccia e distinguere il suo nome stampato sopra la tasca della giuba. Adesso vi diamo la benedizione disse con un accento del Nord, non erano militari locali, probabilmente i nostri militari li avevano spostati al Nord per fare lo stesso servizio. Inizia a suonare le campane per distrarli e far scappare mia moglie e mio figlio ma sentii caldo sulla fronte e caddi sotto la campana, un proiettile mia aveva preso, lo vedete questo ricamo? » Indicando con la mano la cicatrice.
« Mi svegliai la mattina con un forte mal di testa, scesi dal campanile mi affacciai sul sacrato e vidi stesi e abbracciati mia moglie e mio figlio che quel giorno compiva cinquant’anni».
Dopo un lungo silenzio il figlio prese la parola rivolgendosi con gentilezza ai ragazzi.
«Mio padre dice che uno di voi può tornare a casa questa sera, lo accompagno io fino al fiume, ma quando arriverà a casa dovrà portare un messaggio». A quel punto si fece avanti il padre e con tono duro disse:
«Il messaggio è questo: se vogliono rivedere sani e salvi il resto di voi devono portarmi il sergente che ha trucidato tutte le persone inerme, si chiama Giorgini». Poi fece tirare a sorte chi doveva uscire e fu Salvatore che prese lo stecco più corto, gli altri ragazzi vennero chiusi nella sagrestia sotto la minaccia di una pistola che il vecchio aveva tirato fuori come un prestigiatore tira fuori il coniglio dal cilindro. Lungo il percorso fino ad arrivare alle biciclette, il vecchio gli ripeté più volte il messaggio da portare alla polizia locale.
«Digli di non fare i furbi perché altrimenti non troveranno mai i tuoi amici e non credere che li lascio nella chiesa, non li troveranno mai se mi dovesse capitare qualcosa. Puoi raccontargli, anzi devi raccontare quello che i militari ci hanno fatto nel mese di luglio del 2020». Salutò il ragazzo che si allontanava veloce con la sua bici nel buio.
Da: Plentop
Martedì 21 aprile 2020 11:47:27
Per: Vittorio Feltri
Sono addolorato per le sue dichiarazioni sul fatto che noi meridionali gioiamo delle disgrazie dei lumbard quello che è impresso nei nostri cuori e nelle nostre menti di uomini liberi da ogni pregiudizio sono quelle scene dei camion militari che portano via le salme di tanti esseri umani che mi creda piangiamo come fratelli spero che in momenti come questo lei si astenga da commenti simili che fanno sprofondare la nostra nazione nel piu buio medioevo...
Da: Guglielmo Galmuzzi
Martedì 21 aprile 2020 11:21:17
Per: Giorgia Meloni
Carissima Giorgia Meloni, almeno lei non ci abbandoni, combatta e sconfigga quelle persone incompetenti e inutili che ci stanno solo rubando i nostri soldi. Pensi io ho una piccola agenzia di viaggio a Narni, avendo avuto un carcinoma al seno nel 2017, ancora in cura e percependo un assegno di invalidità di € 184, 00 mensili, non ho diritto alle 600 euro. Le sembra normale ? E’ colpa mia se mi è venuto un tumore? Come farò a continuare la mia attività turistica non avendo nemmeno le 600 euro che mi sarebbero bastate solo x pagare l’ affitto del locale? Mi sembra di vivere in un incubo. Sono molto credente e praticante nella mia parrocchia faccio anche la catechista, ma Dio mi perdoni e mi punisca, spero proprio che quello che ho avuto, il dramma che ho passato e sto passando arrivi con tutto il cuore a loro. Buon lavoro Carla
Da: Carla
Maria De Filippi
Autrice e conduttrice tv italiana
Da: Luciana