Fausto Coppi
Biografia • Un uomo solo al comando
Fausto Angelo Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre 1919 in una famiglia di modeste origini. Trascorre la vita a Novi Ligure, prima in viale Rimembranza, poi a Villa Carla sulla strada per Serravalle. Poco più che adolescente è costretto a trovarsi un lavoro come garzone di salumeria. Ragazzo a modo ed educato è subito apprezzato per la sua dedizione, il suo fare introverso e la sue naturale gentilezza.
Per hobby scorrazza qua e là su di una rudimentale bicicletta regalatagli dallo zio. Si distende dal lavoro con lunghe scampagnate, dove si inebria al contatto con l'aria aperta e la natura.
Nel luglio 1937 disputa la sua prima corsa. Il tracciato non è facile, anche se si svolge tutto in prevalenza da un paese di provincia all'altro. Purtroppo a metà gara è costretto a ritirarsi poiché una gomma si sgonfia inaspettatamente.
Gli inizi non sono quindi promettenti, malgrado il ritiro sia da attribuire al caso e alla sfortuna più che alle doti atletiche del giovane Fausto.
Mentre Coppi pensa al ciclismo sopra la sua testa scoppia la seconda guerra mondiale. Militare a Tortona, Caporale della terza squadra di un plotone in quadrato nella compagnia agli ordini di Fausto Bidone, viene fatto prigioniero degli inglesi in Africa, a Capo Bon.
Il 17 maggio 1943 viene internato a Megez el Bab e poi trasferito al campo di concentramento di Blida, nei pressi di Algeri.
Fortunatamente esce incolume da questa esperienza e, una volta tornato a casa, ha modo di riprendere i suoi allenamenti in bicicletta. Il 22 novembre 1945, a Sestri Ponente, si unisce in matrimonio con Bruna Ciampolini, che gli darà Marina, la prima dei suoi figli (Faustino, nascerà in seguito alla scandalosa relazione con la Dama Bianca).
Poco dopo, qualche osservatore, convintosi del suo talento, lo chiama alla Legnano, che diventa di fatto la prima squadra professionistica a cui prende parte. In seguito difenderà i colori delle seguenti squadre: Bianchi, Carpano, Tricofilina (alle ultime due abbinò il proprio nome). Alla fine del 1959 si lega alla S. Pellegrino.
Al primo anno di professionismo, arrivando con 3'45" di vantaggio nella tappa Firenze-Modena del Giro d'Italia, conquista una vittoria che gli consente di smentire le previsioni generali che volevano Gino Bartali vincitore della corsa rosa. A Milano in rosa giunse infatti lui, Fausto Angelo Coppi.
Alcune delle altre cavalcate solitarie che fecero scorrere fiumi d'inchiostro furono: quella di 192 Km nella tappa Cuneo-Pinerolo del Giro d'Italia del 1949 (vantaggio 11'52"), quella di 170 Km del Giro del Veneto (vantaggio 8') e quella di 147 Km della Milano-Sanremo del '46 (vantaggio 14').
Il Campionissimo del ciclismo, vinse 110 corse di cui 53 per distacco. Il suo arrivo solitario sui grandi traguardi era annunciato con una frase, coniata da Mario Ferretti in una famosa radiocronaca dell'epoca: "Un uomo solo al comando!" (a cui Ferretti aveva aggiunto: "[...], la sua maglia è biancoceleste, il suo nome Fausto Coppi!").
Il grande ciclista si aggiudicò due volte il Tour de France nel 1949 e nel 1952 e cinque volte il Giro d'Italia (1940, 1947, 1949, 1952 e 1953) ed entrò nella storia per essere uno dei pochi ciclisti al mondo ad aver vinto Giro e Tour nello stesso anno (tra cui ricordiamo anche Marco Pantani, 1998).
Al suo attivo vi furono tre volte la Milano-Sanremo (1946, 1948, 1949), cinque Giri di Lombardia (1946-1949, 1954), due Gran premi delle Nazioni (1946, 1947), una Parigi-Roubaix (1950) e una Freccia vallone (1950).
Fausto Coppi è morto il 2 gennaio 1960 per una malaria contratta durante un viaggio in Alto Volta e non diagnosticata in tempo, che gli stroncò la vita a soli 41 anni.
La sua storia di ciclista, caratterizzata dalla rivalità-alleanza con Gino Bartali, e le vicende della vita privata, segnata dalla relazione segreta con la "Dama Bianca" (relazione che causò enorme scandalo nell'Italia post bellica), hanno fatto del leggendario ciclista una figura che, ben al di là del fatto sportivo, può dirsi veramente rappresentativa dell'Italia degli anni '50.
Frasi di Fausto Coppi
Foto e immagini di Fausto Coppi
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Passando in internet con il mio computer, mi sono imbattuto più volte nei siti che parlano di Fausto Coppi, un personaggio da leggenda che ha fatto parte della mia vita da bambino e poi più tardi doveva coinvolgermi nella sua personale tragedia. Una tragedia che ha toccato quest’uomo che nel corso degli anni ho imparato a conoscere meglio attraverso i giornali e i libri che su di lui sono stati scritti. Ho spesso nel corso della mia gioventù studiato e rivisto più volte filmati, da quelli più noti a quelli che sono a mano a mano apparsi nella storiografia di questo campione dello sport italiano.
Forse la mia è una inconscia manifestazione del trauma del quale fui chiamato a fare parte senza volerlo la mattina che venne annunciata la sua morte.
Sono nato in una città di provincia come Bergamo, e a quel tempo il 1960, era in massima parte popolata da operai e contadini, la maggior parte dei quali viveva con le loro numerose famiglie in quartieri scomodi, in case cioè non riscaldate e prive di servizi igienici privati, tutto quello che si riteneva un lusso, come un bagno familiare, era in comune con altre famiglie.
Anche il riscaldamento delle case era a dir poco primitivo, in massima parte era costituito da una stufa a legna, posta nella cucina, l’unica stanza abitata per tutta la giornata specialmente in inverno, mentre le camere da letto erano poste in altre ali del fabbricato, cascine o casermoni abitati in prevalenza da operai che lavoravano nelle fabbriche vicine.
La mattina del 2 Gennaio 1960, non avevo ancora 14 anni, li avrei compiuti di li a due mesi il 12 Marzo, stavo nella legnaia del cortile, dove era accatastata quella poca legna che avrebbe dovuto bastare per tutto l’inverno, erano all’incirca le otto e trenta e mi accingevo a rompere e preparare alcuni pezzi per alimentare la stufa di casa come mi aveva chiesto di fare mia madre. Era questa una operazione che compivo giornalmente con una lungaggine esasperante, mi perdevo in fatti a contemplare le fotografie della pagine di giornale, del Tutto sport illustrato, che tappezzavano le pareti della legnaia. Corridori ciclisti famosi all’epoca o che lo erano stati, facevano da cornice tutto attorno, fissate alle pareti in legno del deposito. Sognavo e mi immaginavo nei loro panni, come se quelle foto evocassero in me antiche o possibili gesta sportive; Coppi , Bartali, Magni, Nencini, erano le figure di giornale che andavano per la maggiore.
Leggevo e rileggevo le didascalie che corredavano queste immagini, scritte dalle migliori firme del ciclismo italiano di quei tempi; Orio Vergani, Colombo, Mosca, lo stesso Montanelli.
Così anche quella mattina del lontano 1960, in vacanza perché le scuole erano chiuse per il periodo Natalizio, mi apprestavo a svolgere il compito assegnatomi dalla mamma. Come al solito svolgevo malvolentieri compiti o attività che non fossero di gioco, ma la preparazione della provvista di legna era il compito che facevo più volentieri, potevo per qualche istante starmene solo fra l’olimpo di quei grandi campioni, lontano dagli altri miei fratelli più piccoli, lagnosi e rompiscatole, che disturbavano quel mio momento di privata serenità, sognando ad occhi aperti.
Improvvisamente, come l’irrompere di un rumore molesto, la voce di una mia zia che mi aveva visto da lontano nella legnaia, mi urlava dal ballatoio a poche decine di metri di distanza chiamandomi per nome: E’ morto Fausto Coppi.
In quel preciso momento, stavo proprio ammirando una foto appesa sulla parete del magazzeno di Coppi in maglia gialla durante il giro di Francia del 1952, ripreso mentre si arrampicava su per una salita in una delle sue solite fughe solitarie.
Ricordo ancora come se fosse capitato ieri, rimasi sconcertato da quelle grida ma soprattutto dal contenuto di quelle parole, non riuscivo a credere, il campione del quale tutti me ne parlavano come essere invincibile, aveva dovuto soccombere di fronte alla morte. La morte già sapevo che cosa fosse, non perché me ne parlavano ma perché avevo potuto comprenderne il significato, dopo la morte della nonna e del nonno qualche anno prima.
Rimasi impietrito per qualche istante davanti a quella immagine, poi iniziai a piangere come un bambino che non voleva mostrare questa sua debolezza, singhiozzavo trattenendo i singhiozzi, mentre dai miei occhi scendevano copiose le lagrime. Non sentii nemmeno mia madre che mi chiamava perché gli portassi la legna. Quando si affaccio alla porta della legnaia , mi chiese cosa mi fosse accaduto. Solo allora iniziai a piangere senza più nessun ritegno, tanto che anche mia madre in genere avvezza al dolore e alla sofferenza, ne rimase colpita.
Questo è quello che ricordo di quel 2 Gennaio 1960.
Se volete aprofondire vi segnalo il sito Trinuot a fausto Coppi a questo link http://faustocoppi.altervista.org/
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