Ugo Ojetti
Biografia • Cultura storica
Ugo Ojetti nasce a Roma, il 15 luglio del 1871. Importante critico di arte, specializzato nel Rinascimento e nel Secentismo, ma non solo, scrittore apprezzato, aforista e giornalista di alto profilo, è stato direttore del Corriere della Sera nel biennio 1926-1927. Ha svolto anche un'importante opera di gallerista, organizzatore di eventi artistici nazionali e direttore degli stessi. Ha ideato la collana de "I Classici italiani" per la casa editrice Rizzoli. È stato uno degli intellettuali fascisti più noti all'epoca del Ventennio.
L'arte ce l'ha nel sangue, come si suole dire in casi del genere: il padre Raffaello Ojetti è un apprezzato architetto e restauratore romano, noto nell'ambiente capitolino per alcuni edifici di ispirazione rinascimentale, come la facciata del celebre Palazzo Odescalchi. L'educazione che impartisce al figlio è prevalentemente di tipo classicista, ma soprattutto interessata di discorsi e tematiche d'ambito artistico.
Dopo essere cresciuto in ambito cattolico, frequentando la scuola dai Gesuiti, nel 1892, all'età di soli ventuno anni, il giovane Ojetti si laurea in legge, preferendo un titolo accademico di sicuro avvenire quale rifugio da riscoprire in caso di necessità. Ma la sua indole e le sue passioni lo portano quasi naturalmente verso il giornalismo e la critica d'arte, materia d'elezione scelta per la sua attività di autore. Si dedica sin da subito anche alla narrativa e il primo romanzo di cui si abbia traccia è il poco noto "Senza Dio", datato 1894.
A metà strada tra il lavoro critico e il vero e proprio reportage, condensato com'è di interviste e interventi mirati rivolti agli autori contemporanei, è l'opera giovanile dal titolo "Alla scoperta dei letterati", pubblicata l'anno dopo del suo esordio narrativo, nel 1895. Il giovane Ojetti analizza il movimento letterario dell'epoca, in un momento di grande esaltazione e turbolenza, tirando in ballo nella sua opera scrittori celebri come Antonio Fogazzaro, Matilde Serao, Giosuè Carducci e Gabriele D'Annunzio.
Dopo aver collaborato con il giornale "La Tribuna", l'intellettuale romano comincia a scrivere articoli di stampo artistico per la testata "L'illustrazione Italiana". L'anno in cui inizia questa attività sul noto foglio di critica d'arte è il 1904. L'esperienza dura quattro anni, fino al 1908, con una serie di scritti di alto profilo, che raccontano la capacità di indagine di un intellettuale curioso e ancora libero dai condizionamenti politici e sociali. L'opera svolta per "L'Illustrazione" verrà poi raccolta e pubblicata in due volumi, sotto il titolo "I capricci del conte Ottavio", usciti rispettivamente nel 1908 e nel 1910.
Nel frattempo, Ojetti scrive il suo secondo romanzo, nel 1908, dal titolo "Mimì e la gloria". Ad ogni modo, la sua passione e il suo lavoro, in questi anni si concentrano in modo particolare sull'arte italiana, con appunti e libri tecnici che evidenziano le sue buone capacità in questo ambito specifico della saggistica.
Nel 1911 pubblica "Ritratti di artisti italiani", poi bissato in un secondo volume di completamento del primo, nel 1923. Qualche anno prima, nel 1920, esce "I nani tra le colonne", altro lavoro esclusivamente di critica artistica. L'anno dopo, arriva "Raffaello e altre leggi", d'impianto classico, per così dire, incentrato sulla figura del grande pittore italiano.
Durante la Prima Guerra Mondiale, tra gli interventisti, decide di arruolarsi volontario nell'esercito italiano. Nel 1920 poi, fonda il "Dedalo", nota rivista d'arte. Due anni dopo esce il romanzo "Mio figlio ferroviere".
La collaborazione con il Corriere della Sera inizia nel 1923, quando il brillante critico romano viene chiamato per dedicarsi alla critica artistica, in un momento in cui la cosiddetta "Terza pagina" del quotidiano comincia a rivelare tutta la propria importanza, facendo presa sugli intellettuali italiani. Ad indirizzare i suoi interessi però c'è il regime fascista, che in questi anni comincia il suo periodo di istituzionalizzazione - periodo noto come il "Ventennio" - agendo anche e soprattutto sulla cultura nazionale. Ojetti però, acconsente al tesseramento e firma il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925, per poi ricevere la nomina ad Accademico d'Italia nel 1930. È uno degli intellettuali del Regime e la cosa, successivamente, gli causerà un progressivo discredito, dimenticando anche il valore intrinseco delle sue opere più specificatamente di taglio artistico.
Intanto, nel 1924 pubblica "La pittura italiana del Seicento e del Settecento" e l'anno dopo, esce il primo volume "Atlante di storia dell'arte italiana", poi aggiunto al secondo lavoro del 1934. È del 1929 l'opera monografica "La pittura italiana dell'Ottocento".
Dal 1933 al 1935, Ojetti dirige la rivista letteraria "Pan", fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina della Rassegna di lettere ed Arti "Pègaso". Nel 1931 poi, dopo aver lavorato anche per il teatro, insieme al collega Renato Simoni, il critico e giornalista romano "si regala" per i suoi sessant'anni il volumetto di raccolta di aforismi dal titolo "Trecentocinquantadue paragrafi di Sessanta", che uscirà solo nel 1937. Celeberrimi sono alcuni aforismi che gli sono letteralmente sopravvissuti, tra i quali si ricordano: "Dì bene del tuo nemico soltanto se sei certo che glielo andranno a riferire" e "Se vuoi offendere un avversario, lodalo a gran voce per le qualità che gli mancano".
L'anno prima della suddetta raccolta, nel 1936, esce un nuovo libro tecnico, che tenta di mettere ordine tra due secoli molto importanti dal punto di vista artistico, si chiama "Ottocento, Novecento e via dicendo".
Una delle ultime pubblicazioni, dal taglio più spregiudicato e poco prima di venire estromesso dall'ambito giornalistico per le sue connivenze con il Regime, è il lavoro che Ojetti pubblica nel 1942, dal titolo "In Italia, l'arte ha da essere italiana?".
Nel 1944, in piena restaurazione, il critico ed ex direttore del Corriere della Sera, viene cancellato dall'albo dei giornalisti. Muore due anni dopo all'età di 74 anni, il giorno 1 gennaio del 1946, nella sua villa del Salviatino, a Firenze; per ricordarlo la sua ex testata di via Solferino gli dedica appena due righe.
Solo successivamente vengono raccolti molti dei suoi migliori interventi sul Corriere nell'opera "Cose viste", con articoli che vanno dal 1921 al 1943.
Nel 1977 sua figlia, Paola Ojetti, anch'ella giornalista, dona al Gabinetto di Vieusseux di Firenze, la ricca biblioteca paterna, contenente circa 100.000 volumi. Il fondo, prende il nome di Ugo e Paola Ojetti.
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