Fritz Lang
Biografia • Immaginare la fantascienza
Fritz Lang nasce come Friedrich Christian Anton Lang il 5 dicembre 1890 a Vienna, in Austria. Figlio di Paula Schlesinger, ebrea, e del celebre architetto Anton Lang, decide di abbandonare le orme del padre e di frequentare le lezioni dell'Accademia delle Arti Grafiche. Dopo aver iniziato a lavorare come scenografo e pittore in diversi cabaret della città, intraprende alcuni viaggi intorno al mondo, guadagnandosi da vivere disegnando fumetti per i quotidiani e dipingendo cartoline.
Tornato in Austria in occasione della Prima Guerra Mondiale, parte per il fronte dopo essersi arruolato nell'esercito imperiale. Durante i combattimenti rimane ferito, e così nel corso del periodo della convalescenza inizia a comporre sceneggiature. L'esordio alla regia arriva nel 1919, con "Mezzosangue", cui segue poco dopo "I ragni", feuilleton a episodi dal carattere esotico.
Sempre in questo periodo, entra in contatto e si innamora di Thea von Harbou, sceneggiatrice e scrittrice, con la quale si sposa l'anno successivo, e che collaborerà con lui fino al 1932. Nel frattempo la carriera di Lang dietro la macchina da presa conosce un'inaspettata ascesa: nei primi anni Venti diventa, così, una delle figure più rappresentative dell'espressionismo tedesco, con "Il dottor Mabuse", del 1922, e la doppia pellicola dei Nibelunghi ("La morte di Sigfrido" e poi "La vendetta di Crimilde").
Il vero capolavoro del regista austriaco, però, è "Metropolis", che suscita anche l'ammirazione di Hitler: il Fuhrer propone (tramite Goebbels) a Lang di diventare il responsabile dell'industria cinematografica del Reich, ma lui (dopo aver accettato in un primo momento) rifiuta - timoroso di una trappola - e lascia Berlino, trasferendosi in Francia.
Nel 1931 arriva il primo film sonoro: si tratta di "M, il mostro di Dusseldorf", che propone la ricerca disperata di un maniaco che violenta e ammazza bambine. Il clima inquietante del film, tra motivetti fischiati e ombre misteriose, evidenzia un'abilità registica inusitata per i tempi. Mentre gira "Il testamento del dottor Mabuse", Lang lascia la moglie, che nel frattempo ha scelto di aderire al nazismo, e abbandona definitivamente l'Europa: trasferitosi a Hollywood, collabora addirittura con Spencer Tracy, protagonista di "Furia", nel 1935.
In America Fritz Lang si trova come a casa: conquista la cittadinanza statunitense, va a vivere per diversi mesi in una tribù di Navajos e realizza il primo film a colori, "Il vendicatore di Jess il bandito". È il 1940: gli anni successivi saranno contrassegnati da opere antinaziste, che fanno seguito alla fondazione della "Società contro il nazismo" che lui stesso ha contribuito a creare. Per tutto il decennio lavora con i più grandi attori americani, e addirittura collabora con Bertolt Brecht, che partecipa alla sceneggiatura di "Anche i boia muoiono", prodotto da Arnold Pressburger.
Ne "La donna del ritratto", del 1944, Lang arruola Edward G. Robinson, mentre Joan Bennet, nel frattempo diventata sua seconda moglie, acquisisce un'importanza sempre maggiore, diventando spesso l'eroina delle sue pellicole.
La decadenza di Lang inizia quando finisce nella lista nera del senatore repubblicano Joseph McCarthy, complice l'accusa di aver fatto parte di organizzazioni di sinistra, ma il regista sa presto riabilitarsi, con "Rancho Notorious", dove dirige una Marlene Dietrich sul viale del tramonto, e con "Gardenia Blu", con Anne Baxter. Sono entrambe pellicole del 1952.
Gli ultimi fuochi d'artificio arriveranno grazie a "Quando la città dorme", del 1959, e "Il diabolico Dottor Mabuse", dell'anno successivo, prima della partecipazione come attore a "Il disprezzo" (firmato dal maestro Jean-Luc Godard) nei panni di se stesso, e come giurato al Festival di Cannes, negli anni Sessanta. La morte lo coglie il 2 agosto del 1976 a Beverly Hills.
Oltre a "Metropolis", film che ha praticamente aperto la via della fantascienza al cinema, Lang si è fatto apprezzare per l'impronta noir dei suoi film, dove la sua concezione della vita, alquanto pessimistica, è sempre filtrata e confezionata in un gusto espressionista della fotografia e delle inquadrature. Nelle sue pellicole, ansia e violenza dominano la società industriale, e l'individuo, generalmente alienato, è una semplice vittima che non può opporsi al destino che lo opprime.
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