Giuseppe Giusti
Biografia • Il gioco della satira
Giuseppe Giusti nasce il 13 maggio del 1809 a Monsummano, vicino Pistoia. Il padre Domenico è un possidente di campagna che instaura subito con il figlio un rapporto piuttosto difficile. Domenico considera lo stile di vita di Giuseppe eccessivamente sopra le righe. Durante il periodo universitario lo invita a lasciare Pisa, dove studia giurisprudenza, per avvicinarlo alla famiglia, trasferitasi nel frattempo a Pescia.
I rapporti tra i due peggiorano soprattutto dopo un episodio risalente al 1833 quando, coinvolto in una manifestazione politica in un teatro, Giuseppe viene sospeso dall'esame di laurea per un anno. A Giuseppe la vita culturale di Pescia sta stretta, ma la cittadina diventa un luogo ideale per le sue passioni come la caccia, i cavalli, le carte, il biliardo e i balli.
Frequenta regolarmente un circolo borghese detto delle Stazze e coltiva allo stesso tempo la sua passione per la lingua toscana, di cui darà prova con la "Raccolta dei proverbi toscani". Oltre al circolo borghese, frequenta un genuino ambiente popolare e stringe rapporti di amicizia con il fornaio Lorenzo Marino e il calzolaio Benvenuto Chicchi. A Pescia allaccia anche una importante relazione amorosa con la signora Cecilia Piacentini che durerà fino al 1836.
Dopo la laurea si trasferisce a Firenze dove, per dieci anni dal 1834 al 1844, fa praticantato. In realtà più che dedicarsi alla professione forense, Giuseppe Giusti continua nella sua acuta osservazione della città e dei costumi dei suoi abitanti. Viene accolto in molte case private con particolare benevolenza, grazie soprattutto a quelle che lui stesso definisce: "buscherate poetiche".
Il suo primo mecenate è Gino Capponi che lo aiuta a farsi largo socialmente e letterariamente. Le prime poesie vengono pubblicate nel 1844-1845. In realtà i suoi versi hanno già un enorme successo e si tramandano soprattutto per via orale. Giuseppe Giusti si decide a pubblicarli solo dopo che sono già apparsi in una raccolta di poesie satiriche a Lugano.
Pubblica così, in forma anonima, una raccolta di trentadue composizioni dal titolo "Versi" (1845). La sua ritrosia a pubblicare i versi satirici con il suo nome si spiega con la percezione di un senso di inferiorità culturale che lo spinge a tentare percorsi più accademici, ma a lui meno congeniali; questi percorsi si rivelano comunque importanti per la sua formazione tecnico-metrica. Eppure è proprio nella satira che Giusti si specializza, e in particolare nella satira di costume che rende protagonista dei suoi "Scherzi" composti in versi quinari.
La satira di Giuseppe Giusti non è però aspra o polemica, si tratta di un gioco ironico basato sul paradosso e sulla canzonatura. Appartengono a questo genere: "Rassegnazione e proponimento di cambiar vita"(1833); "Lo stivale" (1836); "Il re travicello" (1841; "La terra dei morti" (1842); Costumi del Giorno" (1835); "Gli umanitari" (1840); " Le memorie di Pisa" (1841-42).
L'anno 1843 è particolarmente difficile: perde l'amato zio paterno Giovacchino e inizia a soffrire di disturbi epatici e intestinali da lui ricondotti ad un episodio occorso in via de Banchi a Firenze una sera di luglio. Pare che sia stato assalito e morso da un gatto che lui giudicherà idrofobo. Ai problemi di carattere fisico si mescola una inquietudine sempre maggiore e il desiderio di oltrepassare i confini toscani.
È ospite così di Alessandro Manzoni, con cui aveva intessuto già da tempo un rapporto epistolare. La frequentazione del circolo manzoniano e la partecipazione al dibattito sull'unificazione della lingua, lo inducono a legarsi politicamente ai moderati. La pubblicazione delle sue poesie satiriche lo rendono popolare e nel 1846 pubblica a Firenze con Le Monnier una edizione delle opere di Giuseppe Parini.
Dopo il 1847 inizia a scrivere versi con tematiche politiche: ironizza sulla dominazione straniera, si scaglia contro il clero e contro i corruttori come Leopoldo II. Molti dei sue versi sono oggetto di censura, così come di stampa abusiva da parte dei librai, proprio a causa del loro successo popolare.
Giusti intanto si unisce alla Guardia Civica, viene eletto al collegio della Val di Nievole (1848) ed entra a far parte ufficialmente dell'Accademia della Crusca. Tutte attività che, come lui stesso dice, lo distolgono dal comporre versi. Le alterne vicende del nuovo governo democratico insediato a Firenze sono protagoniste della "Cronaca dei fatti di Toscana", che scrive con animo disincantato e sprezzante.
Le sue osservazioni in versi e l'aggravarsi del suo stato di salute lo costringono a rifugiarsi spesso a Montecatini e Pescia. I giornali democratici ne approfittano così per farlo oggetto di duri ed immeritati attacchi. La tisi intanto lo corrode sempre più. Nel 1849 si reca a Viareggio per trovare sollievo nell'aria di mare. Giuseppe Giusti muore a Firenze il 31 marzo del 1850, all'età di 41 anni.
Aforismi di Giuseppe Giusti
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