Giuseppe Pinelli
Biografia
Giuseppe Pinelli nasce il 21 ottobre del 1928 a Milano, nel quartiere di Porta Ticinese. Inizia a lavorare subito dopo avere terminato la scuola elementare, come garzone prima e come magazziniere poi; nel frattempo, da autodidatta legge moltissimi libri. Nel periodo conclusivo della Seconda Guerra Mondiale prende parte alla Resistenza antifascista, impiegato come staffetta delle Brigate Buzzi e Malatesta; poi, terminato il conflitto, partecipa in maniera attiva alla crescita del movimento anarchico della sua città.
Nel 1954 diventa manovratore per le ferrovie, dopo aver vinto un concorso, mentre l'anno seguente si sposa con Licia Rognini, ragazza conosciuta a un corso di esperanto (figlia a sua volta di un falegname anarchico) che gli darà due figlie. Dopo essersi unito alla Gioventù Libertaria, gruppo di giovani anarchici, e avere impiantato nel quartiere di San Siro una bacheca pubblica in piazza Selinunte, si impegna nella diffusione del pensiero libertario esponendo ogni settimana l'"Umanità Nova". Nel 1965 fonda il circolo "Sacco e Vanzetti", in uno scantinato di viale Murillo, dove viene organizzato il primo incontro cittadino dedicato al tema dell'antimilitarismo insieme con due obiettori di coscienza, un cattolico e un anarchico, che espongono pubblicamente e rivendicano le ragioni che li spingono a rifiutare di vestire la divisa militare.
L'anno successivo, ormai militante anarchico, Giuseppe Pinelli sostiene Gunilla Hunger, Umberto Tiboni e Gennaro De Miranda nella stampa e nella diffusione delle prime copie di "Mondo Beat", rivista che può contare sull'appoggio del "Sacco e Vanzetti". Si tratta di un giornale di strada che intende illustrare all'opinione pubblica l'importanza della non violenza e la necessità del pacifismo: la rivista viene pianificata a casa di Giuseppe, che si occupa di ciclostilare anche il primo numero.
Pinelli, infatti, si trova perfettamente a proprio agio con i nuovi contestatori della seconda metà degli anni Sessanta (anni contrassegnati dalla contestazione globale contro la guerra del Vietnam), quelli riduttivamente definiti come capelloni.
Insieme con Gioventù Libertaria organizza, durante le feste natalizie del 1966, una Conferenza Europea della Gioventù Anarchica, cui prendono parte numerosi gruppi italiani europei, tra i quali i Provos olandesi. Promotore di un camping internazionale, nel luglio del 1967, a Colico, in Lombardia, prova a fare uscire un periodico anarchico denominato "Il nemico dello Stato", ma l'esperienza dura solo poco tempo, e del giornale viene pubblicato solo un numero ciclostilato.
Il circolo "Sacco e Vanzetti", intanto, viene chiuso nel 1968 a causa di uno sfratto, ma viene riaperto poco tempo dopo vicino al Ponte della Ghisolfa, in piazzale Lugano: esso ospita assemblee e conferenza dei CUB, i comitati di base unitari, in cui si nota il diffondersi di un sindacalismo di azione diretta estraneo alle organizzazioni ufficiali. Sempre nel 1968, Pinelli (diventato capo smistamento allo scalo Garibaldi) riceve dal commissario Luigi Calabresi (che lo conosce per averlo spesso visto in cortei e talvolta convocato in questura) un regalo di Natale: il libro "Mille milioni di uomini", di Enrico Emanuelli.
Giuseppe è tanto orgoglioso di quel dono e della sua provenienza da mostrarlo a tutti: ricambierà il bel gesto regalando a Calabresi una copia del suo libro preferito, l'"Antologia di Spoon River". Promotore della ricostruzione dell'Unione Sindacale Italiana, realtà di ispirazione libertaria e sindacalista-rivoluzionaria, dopo gli arresti degli anarchici per le bombe dell'aprile del 1969 alla Stazione Centrale di Milano, Pinelli si impegna per trovare cibo, libri e vestiti da spedire agli amici in carcere: costruisce, inoltre, una rete di controinformazione nell'ambito della Croce Nera Anarchica.
Il 12 dicembre dello stesso anno lo scoppio di una bomba nei locali della Banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana si traduce in una delle stragi più tremende dell'epoca: la notte successiva Pinelli viene fermato dalla polizia insieme ad altri 83 persone sospette. Il 15 dicembre, l'anarchico si trova nel palazzo della questura (in maniera illegale: un fermo di polizia può durare al massimo due giorni) insieme con il commissario Luigi Calabresi e Antonino Allegra (responsabile dell'Ufficio Politico della questura), che lo stanno interrogando davanti a un ufficiale dei carabinieri, un agente e tre sottufficiali della polizia dell'Ufficio Politico, quando precipita dalla finestra (situata al quarto piano dell'edificio) cadendo in un'aiuola.
Portato all'ospedale Fatebenefratelli, Giuseppe Pinelli non sopravvive.
Subito dopo la sua morte, il questore Marcello Guida parla di suicidio, sostenendo che Pinelli si sia buttato spontaneamente dopo che il suo alibi era stato smascherato: la versione verrà ritrattata quando si scoprirà che l'alibi dell'anarchico era credibile. Dopo una prima inchiesta conclusa con un'archiviazione, una nuova indagine aperta in seguito a una denuncia della vedova Pinelli nel 1971 viene affidata al giudice Gerardo D'Ambrosio: la sentenza emessa nel 1975 sancisce che Pinelli non è morto per omicidio o suicidio, ma per un malore che lo avrebbe fatto cadere involontariamente dalla finestra; la sentenza stabilisce, inoltre, che al momento della tragedia il commissario Calabresi non era presente nella stanza.
La versione ufficiale, però, verrà sempre ritenuta incongruente e contraddittoria in più punti: Pinelli sarebbe caduto quasi in verticale (senza lo spostamento verso l'esterno che probabilmente ci sarebbe stato nel caso in cui il suo balzo fosse stato volontario), e sulle mani non avrebbe avuto segni che testimonino un suo tentativo di proteggersi dalla caduta. Negli anni, inoltre, gli agenti forniranno versioni contrastanti su quanto successo; a far dubitare della versione ufficiale, poi, la disposizione delle sedie e dei mobili e le dimensioni della stanza, che avrebbero reso quasi impossibile buttarsi da una finestra davanti a tante persone senza essere fermato prima.
Sempre nel 1975, la salma di Pinelli verrà riesumata, sulla base di polemiche nate dalla notizia - diffusa da Lotta Continua - che il cadavere dell'anarchico presentava una lesione bulbare compatibile con un colpo di karate subito: la seconda autopsia, tuttavia, confermerà il risultato della prima, indicando semplicemente un'area grossolanamente ovolare dovuta al contatto del corpo con il marmo dell'obitorio. La chiusura del caso, quindi, sancirà che la morte di Giuseppe Pinelli è stata causata da un malore attivo: un'alterazione del centro di equilibrio, dovuta alle troppe sigarette fumate a stomaco vuoto, allo stress degli interrogatori e dal freddo causato dalla finestra aperta, avrebbe provocato la caduta.
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