Michele Sindona
Biografia
Michele Sindona nasce l'8 maggio del 1920 a Patti, in provincia di Messina, figlio di un fiorista campano. Mentre studia dai gesuiti, lavora - sin dall'età di quattordici anni - come dattilografo per mantenersi economicamente. Divenuto aiuto contabile e impiegato all'ufficio imposte di Messina, si iscrive all'università, laureandosi nel 1942 in Giurisprudenza con un tesi sul "Principe" di Machiavelli.
L'attività di commercialista
Dopo avere lavorato nello studio di un avvocato per qualche anno, alla fine della Seconda Guerra Mondiale decide di trasferirsi a Milano, dove nel 1946 apre uno studio di consulenza tributaria. All'ombra della Madonnina, è impiegato anche come commercialista per numerose imprese, come la Snia Viscosa e la Società Generale Immobiliare, e come consulente legale di varie associazioni.
Già negli anni Cinquanta, Michele Sindona è uno dei commercialisti più richiesti nel capoluogo lombardo: specializzatosi in pianificazione fiscale, si avvicina al mondo dell'esportazione dei capitali, entrando in contatto con vari paradisi fiscali.
La Banca Privata Finanziaria
Complice la sua intelligenza, che gli permette di avere successo in molteplici operazioni di Borsa, Sindona accumula un capitale economico notevole, grazie al quale nel 1961 compra la Banca Privata Finanziaria. In seguito, procede a ulteriori acquisizioni tramite la Fasco, la sua holding lussemburghese.
Le prime indagini dell'Interpol
Già nella seconda metà degli anni Sessanta, tuttavia, egli viene segnalato dall'Interpol statunitense come invischiato nel riciclaggio di denaro sporco derivante dal commercio di droga, anche a causa dei suoi rapporti con Ralph Vio, Ernest Gengarella e Daniel Porco, personaggi di Cosa Nostra americana.
Ai riscontri delle autorità americane, tuttavia, quelle italiane rispondono di non avere prove di traffici illeciti di Michele Sindona.
I rapporti con il clero
Quest'ultimo riesce a conoscere addirittura l'arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini: nel 1969 lo Ior, la banca del Vaticano, entra a far parte della Banca Privata Finanziaria, con importi consistenti che vengono prelevati e depositati in banche svizzere.
L'ascesa di Sindona a livello internazionale
La fortuna del banchiere siciliano, tuttavia, inizia a mostrare qualche segno di cedimento nel 1971, quando l'offerta pubblica di acquista sulla finanziaria Bastogi (che controlla pacchetti azionari della Snia, della Centrale, della Pirelli e della Pesenti) fallisce: in caso di successo, la Bastogi si sarebbe fusa con la Centrale, e questa nuova realtà avrebbe preso il posto di Mediobanca.
Nonostante l'intoppo, nel 1972 Sindona entra in possesso del pacchetto di controllo di una delle banche più importanti degli Stati Uniti, la Franklin National Bank di Long Island. Due anni più tardi egli viene pubblicamente riconosciuto da Giulio Andreotti come salvatore della lira (anche in virtù delle associazioni nate tra i suoi istituti di credito e realtà estere come la Continental Illinois di Chicago e la Finabank di Ginevra), mentre John Volpe, ambasciatore Usa in Italia, lo nomina uomo dell'anno.
L'imprevisto, però, è dietro l'angolo: proprio in quel 1974 un crollo del mercato azionario fa sì che i profitti della Franklin Bank subiscano un calo di quasi il 100% rispetto all'anno precedente: Sindona perde quaranta milioni di dollari e si vede sfuggire di mano quasi tutte le banche ottenute nel ventennio precedente; l'8 ottobre, la sua banca viene dichiarata insolvente per cattiva gestione e frode, e vengono alla luce politiche di prestito errate e perdite dovute a speculazione sulle valute correnti.
Da salvatore della Lira a criminale
In breve, la figura del banchiere messinese subisce un ribaltone a livello mediatico: quello che fino a qualche settimana prima era un mago della finanza mondiale si trasforma in un criminale privo di scrupoli.
La Banca d'Italia affida a Giorgio Ambrosoli il compito di commissario liquidatore, con il compito di analizzare tutte le operazioni compiute da Michele Sindona. Quest'ultimo nel 1977 incontra in diverse occasioni Licio Gelli, per cercare di costruire un piano di salvataggio della Banca Privata Italiana: anche Giulio Andreotti dà il proprio placet, incaricando Gaetano Stammati, senatore affiliato alla P2, di studiare un possibile progetto insieme con Franco Evangelisti; il progetto, tuttavia, viene rifiutato dal vice direttore generale della Banca d'Italia Mario Sarcinelli.
Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano
Sindona, intanto, comincia a ricattare Roberto Calvi, banchiere colpevole di avergli rifiutato un prestito, tramite le campagne di stampa orchestrate dal giornalista Luigi Cavallo attraverso cui vengono rese note le attività illegali svolte dal Banco Ambrosiano, a capo del quale c'è - appunto - Calvi.
L'omicidio di Giorgio Ambrosoli
Alla fine degli anni Settanta, il banchiere di Patti riceve denaro dalla mafia siciliana e americana, ed è il mandante dell'omicidio a Milano di Giorgio Ambrosoli, che va in scena nel luglio del 1979 (per opera di un esponente della malavita americana). Un mese più tardi, mentre è indagato negli Stati Uniti, Michele Sindona con un passaporto falso fugge da New York e si reca a Vienna, per poi spostarsi a Palermo.
Il finto rapimento
Qui organizza un suo finto sequestro a opera di un presunto gruppo terroristico, che però si rivela un fallimento: pochi mesi dopo, quindi, visto l'esito negativo dei suoi tentativi di ricatto decide di cedere e di fare ritorno a New York, dove si arrende alle autorità facendosi trovare in una cabina telefonica a Manhattan.
La condanna e la morte e il suicidio
Nel 1980 egli viene condannato negli Usa con oltre sessanta accuse, tra le quali spergiuro, frode e appropriazione indebita di fondi bancari. Mentre è rinchiuso nelle prigioni federali statunitensi, Sindona viene condannato anche in Italia, dapprima a venticinque anni di carcere e poi all'ergastolo in quanto mandante dell'assassinio di Ambrosoli.
Michele Sindona, ormai in prigione in Italia, nel supercarcere di Voghera, muore nell'ospedale della cittadina lombarda il 22 marzo del 1986, due giorni dopo essere stato condannato all'ergastolo. A causarne il coma profondo che lo porta alla morte è l'ingestione di una tazzina di caffè al cianuro di potassio: l'episodio viene archiviato come suicidio, in quanto tale sostanza ha un odore così forte che non può non essere riconosciuta da chi sta per assumerla. L'ipotesi più accreditata è che Sindona abbia provato ad auto-avvelenarsi al fine di ottenere l'estradizione negli Stati Uniti, e che la dose utilizzata per farlo sia stata eccessiva e, quindi, letale.
"Ci sono misteri, nella storia d'Italia, che sembrano destinati a non avere mai soluzione. Sono quelli che coinvolgono ambienti diversi, diversi strati della società, diversi livelli, persone diverse, così che quando si comincia a scoprire qualcosa, a sollevare un angolo del velo che nasconde tutto, c'è sempre qualcuno, da un'altra parte, che ha paura e che fa qualcosa per mantenere quel velo." (Cit. Carlo Lucarelli, "Misteri d'Italia - Michele Sindona").
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