Andrej Tarkovskij
Biografia • Arti incomprese
Per alimentare quella stima reciproca e quella fiducia che dovrebbe intercorrere tra padre e figlio in una normale situazione famigliare, Arsenij Tarkvoskij, poeta affermato della Russia del secolo scorso, era solito scrivere lettere e poesie al primogenito Andrej che vedeva poco, specialmente durante l'arruolamento nell'esercito russo. Il bambino, curioso delle avventure militari del padre e desideroso di una sua reale presenza, imparava a memoria ogni lettera e ogni lirica portando il suo ricordo sempre con sé. Arsenij lascia la famiglia, divorziando dalla moglie, quando il bambino ha solo tre anni, ma è bastato questo scambio epistolare per far sì che Andrej Tarkovskij ereditasse dal padre quel senso poetico che influenzerà la sua intera vita di regista cinematografico e le sue altre occupazioni artistiche e letterarie.
La madre Maja Ivanovna Visnjakova, al contrario, una presenza costante nella sua vita, è diventata una figura fondamentale in tutte le sue opere in particolar modo ne "Lo Specchio" a lei dedicato. E forse la grande devozione della madre alla religione cristiana ha instaurato in Andrej quella visione mistica e spirituale dell'esistenza che diventerà il terreno in cui la sua opera affonderà le radici.
Andrej Arsenevitch Tarkovskij nasce il 4 aprile 1932 a Zavroze (Gorki), paesino sulle rive del Volga che oggi è sepolto da un lago artificiale, nella casa del nonno materno Ivan M. Petrov. Nella sua educazione Andrej vanta una incredibile preparazione in campo artistico che spazia dalla musica alla pittura frequentando numerosi corsi durante il liceo. In queste varie esperienze risiede la ricchezza della sapienza artistica di Tarkovskij verso una cultura, quella russa, piena di capolavori e contraddizioni.
Nel 1952, dopo l'iscrizione all'Università che non porterà a termine, frequenta un corso di arabo presso l'Istituto di Lingue Orientali di Mosca. All'età di 22 anni Andrej, seguendo il consiglio della madre, va nella taiga siberiana ed inizia a lavorare per tre anni come geologo raccoglitore. L'attenzione ossessiva alla natura, che da sempre contraddistingue le immagini di Tarkovskij, richiama quell'esperienza. Al suo ritorno a Mosca, si iscrive al Vsesojùznij Gosudàrstvennij Institùt Kinematogràfij (Istituto Statale di Cinematografia), la più importante scuola di cinema dell'URSS e segue i corsi di Mikhail Romm per il quale nutre una grandissima stima anche se, il maestro, molto lontano dalla sua ideologia e sensibilità è un esponente del "realismo socialista".
Nel 1960 con l'aiuto del suo amico e compagno Andrej Mikhalkov Kon?alovskij (con cui stringerà un lungo sodalizio produtttivo) Tarkovskij realizza quello che verrà considerato il suo primo film "Katok i skripka" (Il rullo compressore e il violino) che servirà al regista per passare gli esami finali e finalmente diplomarsi. Questo però non è il suo effettivo primo film perché durante gli anni passati al VGIK ha potuto realizzare altri cortometraggi tra cui Segodnja Uvol'Nenija Ne Budet (Oggi non ci sarà libera uscita) e una trasposizione del racconto di Hemingway "The Killer" (Ubijtsi). Il primo lungometraggio, "Ivanovo Detstvo" (L'infanzia di Ivan) compare nelle sale cinematografiche nel 1962 dopo il grande successo alla Mostra di Arte Cinematografica di Venezia dello stesso anno dove si aggiudica il Leone d'oro ex aequo con "Cronaca familiare" di Valerio Zurlini.
Il film si inserisce in un contesto cinematografico particolare, quello del cinema sovietico del disgelo post-staliniano in cui si esalta una visione complessiva della società sacrificando una concezione individualistica, come cercava di propagandare la politica del periodo. L'opera infatti narra l'orrore della guerra dagli occhi di un bambino. E per questo il film suscita reazioni contraddittorie dividendo la critica in entusiasti come Jean-Paul Sartre che ne evidenzia la schiettezza e la poesia definendolo una linea feconda di «surrealismo socialista» e diffidenti, come l'italiano Moravia che lo accusa di aver tradito il «realismo socialista» insieme alla maggior parte dei critici russi.
Il film realizzato successivamente è stato forse quello produttivamente più difficoltoso dovendo fronteggiare problemi di distribuzione e censura. "Andrej Rublëv", finito nel 1966 e distribuito tagliato al Festival di Cannes del 1969, arriva nella sale cinematografiche alla fine del 1972 e in quelle italiane nel 1975.
Sempre al Festival di Cannes, nel 1972, ottiene il Premio Speciale della Giuria con "Solaris", film tratto dall'omonimo libro di Stanislaw Lem, definito erroneamente da maggior parte della critica la risposta sovietica a "2001: Odissea nello spazio". In effetti non è possibile fare un paragone tra le due opere perché rispecchiano la diversità ideologica dei pensieri di Tarkovskij e Stanley Kubrick. La caratteristica principale del film di Tarkovskij è un'attenzione particolare al soggetto e all'immagine senza la ricercatezza tecnologica di un mondo scientificamente evoluto nel quale è presente ancora un attaccamento alla natura come agente creatore e rinnovatore. Infatti, Solaris è un pianeta interamente ricoperto da acqua, una sorta di magma pensante che è capace di materializzare i desideri degli uomini.
Nel 1973 collabora con Bagrat Oganessian per la sua opera prima, "Terkij vinogràd" (Uva aspra) senza apprezzare il suo lavoro che Tarkovskij stesso definisce "mediocre, la sceneggiatura e i dialoghi sono brutti, da far cascare le braccia". Uno degli elementi fondamentali del cinema tarkovskijano è senza dubbio l'elemento autobiografico, presenza costante in tutte le sue opere. Mentre nella maggior parte dei casi questo elemento era presente in un personaggio o in una vicenda, nella sua opera successiva, "Zerkalo", girato nel 1974 dopo rielaborazioni della sceneggiatura e vari problemi produttivi, diventa il nodo centrale, e costituisce un viaggio a ritroso nel subconscio dell'autore stesso.
Mai come in questo film si risente dell'influsso che scrittori come Cechov e Dostojevskij hanno avuto sull'opera del regista: qui ne fa principali maestri e li usa per descrivere con un linguaggio sempre più lirico, onirico e nostalgico lo smarrimento dell'uomo russo di fronte agli eventi della storia pubblica russa.
La ricezione da parte del pubblico fu varia: da un lato spettatori entusiasti si congratulavano con lui per aver ricreato non soltanto un momento particolare del passato sovietico, ma anche la stessa atmosfera, con le paure e i sentimenti di un popolo che si preparava alla sofferenza politica e personale ponendo le basi della II guerra mondiale; dall'altro spettatori diffidenti vedevano Tarkovskij come un regista che aveva già "fatto il suo tempo": esauritosi la novità e l'originalità del suo cinema, essi non accettavano la visione dell'autore sulla società storica e presente e non comprendevano i lunghi piani sequenza che lasciavano libero ingresso nell'anima dei personaggi.
La critica rifiutò decisamente il film anche per la considerazione da parte del Goskino come opera di terza categoria e film d'èlite: fu per questo motivo che non fu esportato subito all'estero, dove invece in molti fremevano nell'attesa di un nuovo lavoro del regista russo che aveva entusiasmato con i precedenti capolavori.
Questo fu solo l'inizio di una emarginazione artistica destinata a perdurare nell'attività dell'autore che in patria lo porterà ad assumere toni drastici arrivando all'esilio forzato in terra straniera che Tarkovskij sentirà come una prigione a fin di bene per il popolo russo dove la verità artistica cede il posto alla sofferenza che lo divorerà, sopportando anche il dolore per la lontananza dalla famiglia.
I successivi lavori saranno vissuti dall'autore con estremo disagio vista la mancanza di fiducia nei suoi confronti da parte del potere e delle autorità russe. Questo malumore lo portò, in un primo momento, a rifiutare la regia di un progetto teatrale sull'Amleto, per poi accettare, convinto solo dalla presenza del suo attore preferito Anatòlij Solonicyn, che aveva recitato in tutti i suoi film. L'esperienza fu per Tarkovskij l'occasione per rielaborare la tragedia classica di Shakespeare, ponendo al centro del dramma il dubbio angoscioso della scelta del protagonista, se vendicare o meno il padre.
Questa scelta gli permise di porre le basi di una eventuale sceneggiatura cinematografica che avrebbe scritto più avanti nel corso della sua vita. Essa però non fu realizzata a causa della sua morte precoce.
Tra la fine del 1978 e l'inizio del 1979 Tarkovskij gira "Stalker", storia filosofica-fantascientifica di uno scienziato e di uno scrittore che si lasciano condurre da una guida (uno Stalker, appunto) in una Zona in cui risiede la Verità, dove finalmente i tre potranno trovare la felicità e l'esaudimento a tutti i loro desideri. Tratto dal racconto "Picnic sul ciglio della strada" di Arkadij e Boris Strugackij, che curano anche la sceneggiatura, il film è un percorso iniziatico verso questa Zona oscura della coscienza che si rivelerà insufficiente per lo scrittore e lo scienziato perché inadeguati a confrontarsi con la Verità.
L'opera per Tarkovskij è costellata da molti problemi produttivi e distributivi: in primo luogo deve ottenere il permesso dal Presidium del Soviet Supremo per poter iniziare le riprese; lo stato russo, inoltre, impedisce in ogni modo la partecipazione del film alla Mostra di Venezia di quello stesso anno e indirettamente anche alla Palma d'oro di Cannes perché viene fatto partecipare come evento speciale al Festival di Rotterdam.
Nello stesso anno Tarkovskij partecipa come co-sceneggiatore al film di Oganessian "Beregis'Zmej!" (Attento, un serpente!) e compie un viaggio di due mesi in Italia per la realizzazione con Tonino Guerra e Luciano Tovoli di "Viaggio in Italia", una sorta di special per la televisione su quello che sarà il suo prossimo film, "Nostalghia". Al ritorno dal viaggio, Tarkovskij, entra in una profonda crisi derivata soprattutto dalla morte della madre avvenuta nell'ottobre del 1979 e dalle difficoltà produttive con le quali si trova a dover combattere per ogni suo nuovo progetto.
Il film è una grande metafora della situazione psicologica in cui si trova Andrej Tarkovskij in terra straniera, lontano dalla sua casa. Roso dal dolore per l'impossibilità di comunicare con il potere politico e quello cinematografico della sua Russia, Tarkovskij decide di fare una mossa provocatoria al sistema dichiarando in una conferenza stampa a Milano la sua volontà di non ritornare più in patria per la mancanza di un'accettazione del livello artistico delle sue opere ("Per loro io non esisto e con questo gesto pretendo che la mia esistenza sia riconosciuta"). Questo fatto determinò una certa preoccupazione da parte del governo sovietico che cercò di attutire in ogni modo lo spirito ribelle di un artista scomodo che esaltava l'individualità in un'epoca, quella post-staliniana, dove invece si cercava di restaurare quel senso di patria e di comunità politica attraverso una collettivizzazione di massa.
Nel 1983 viene riconosciuto un premio alla sua persona: quello di "Artista Emerito dell'URSS". Successivamente si occupa di teatro curando la regia dell'opera lirica Boris Godunov di Mussorgskij. Dopo aver scartato vari progetti (una versione cinematografica dell'Amleto, un film su San Francesco, un altro progetto su La tentazione di Sant'Agostino di Flaubert e un soggetto sulla vita di E. T. A. Hoffmann), tra cui varie possibilità di lavoro su Dostoevskij, decide di girare "Sacrificatio" (Sacrificio). Film-testamento che riassume tutta la poetica dell'autore e conclude un percorso iniziato dalla prima inquadratura di "L'infanzia di Ivan".
A Parigi, nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 1986, Tarkovskij muore di cancro, non prima però di rivedere e riabbracciare la sua seconda moglie Larissa e suo figlio Andrej. L'evento viene documentato da un film di Chris Marker, suo grande amico, che realizza in quell'occasione "Une journèe d'Andrej Arsenevitch".
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