Emile Durkheim
Biografia • Nasce la sociologia moderna
Considerato il padre fondatore della sociologia, Emile Durkheim ha dedicato i suoi studi al tentativo di costruire una scienza della società che, fondata su basi empiriche, potesse assurgere a pari dignità delle scienze naturali. I temi principali, sui quali verte la sua opera, ruotano attorno e sono influenzati dalle profonde trasformazioni che la società e le scienze esperivano in quel periodo: la nascita dell'individualismo; la coesione sociale le conseguenze della transizione a sistemi sociali caratterizzati da una maggiore divisione del lavoro; l'autorità morale nelle relazioni tra gli individui; il ruolo della religione e dei riti collettivi all'interno della società; nonché la definizione di un metodo scientifico per lo studio sociologico che rappresenta uno dei dei maggiori lasciti dello studioso alla disciplina.
Nasce a Epinal, in Lorena, il 15 aprile del 1858 in una famiglia di origine ebraica: il padre rabbino educherà Emile a una vita austera e disciplinata, dedita al lavoro e allo studio. Fin dall'infanzia matura l'ambizione dell'insegnamento: dopo aver frequentato il liceo, al terzo tentativo riesce a superare gli esami di ammissione all'Ecole Normale Superieure e nel 1879 si iscrive al suo primo anno.
Durante gli anni di studio Durkheim lavora come insegnante prima al liceo (dal 1882 al 1887), poi all'università (nel 1887 riceve il suo primo incarico dall'istituto di Bordeaux). Nel 1885 compie un viaggio in Germania dove ha modo di avvicinarsi alle idee di Wundt e alla filosofia sociale tedesca.
Inserito nell'atmosfera intellettuale molto vivace dell'accademia di Parigi, Durkheim inizia a delineare il suo percorso di studi, influenzato da personalità quali Fustel De Coulanges e Boutroux, suoi professori all'Ecole, e dalle trasformazioni sociali di quegli anni.
Ispirandosi al positivismo di Comte e insoddisfatto dalle analisi utilitariste di Herbert Spencer e dall'approccio deduttivo della filosofia morale tradizionale, Durkheim cerca di delineare una scienza positiva della società - la sociologia - che riconosca da una parte il ruolo della cornice morale intrinseca al tessuto sociale e dall'altra adotti una metodologia empirica che sviluppa i suoi studi dalle condizioni reali. Non a caso egli considera compito primario della sociologia lo studio empirico della società come organismo morale che permette la coesione sociale.
La maturazione di queste idee conducono Durkheim alla preparazione e presentazione de "La divisione del lavoro sociale" come tesi di dottorato all'accademia. Fin dalla sua discussione in sede d'esame nel 1893, l'opera costituisce una delle pubblicazioni più controverse e dibattute della sociologia: in essa Durkheim delinea la sua teoria dello studio della coesione sociale nella società ed espone gran parte dei temi che resteranno centrali lungo tutto il suo percorso di studi.
All'inizio dell'opera lo studioso si chiede come sia possibile nella società moderna assicurare la solidarietà tra i suoi membri quanto più diviene rapida e complessa la loro differenziazione.
La premessa centrale dello studio è che la coesione e i codici morali debbano essere studiati empiricamente così come si presentano nella realtà e che ogni sistema sociale disponga di un ordinamento etico adatto per le sue specifiche condizioni.
La tesi centrale del libro è che, secondo Durkheim, la società moderna assicura la coesione attraverso un genere di solidarietà, da lui definita organica, che differisce dalla solidarietà meccanica presente nelle società tradizionali. La prima, infatti, è fondata sullo scambio e sulle relazioni di reciproca interdipendenza delle parti (predomina quindi la coscienza individuale), mentre la seconda è centrata sulla condivisione di credenze e sentimenti collettivi (la coscience collective predomina sugli individui).
La transizione dei due ordinamenti morali è studiata empiricamente attraverso i sistemi di diritto vigenti nei due tipi di società: ossia del prevalere del diritto amministrativo (sanzioni restitutive), nel primo caso, o del diritto penale (sanzioni repressive) nel secondo.
Secondo Durkheim questo cambiamento conduce un vantaggio in termini di maggiori possibilità per l'uomo: l'individuo, infatti, non più vincolato dalla nascita ad una posizione sociale ascritta, sperimenta la libertà all'interno di un quadro sociale che regola la condotta e fornisce i fini socialmente desiderabili. L'individualismo non è dunque una patologia della società moderna, bensì un nuovo tipo di ordinamento che presuppone la presenza di un'autorità morale e non il suo declino.
I conflitti sociali esistenti in quegli anni, spiega Durkheim, sono allora dovuti agli squilibri non ancora risolti nel passaggio tra i due tipi di solidarietà, in quanto deve ancora realizzarsi pienamente ed efficacemente il nuovo ordinamento morale della società moderna: l'individualismo etico (ossia la giustizia sociale, le pari opportunità e il criterio del merito).
La condizione patologica della società che risale alla mancanza di codici morali efficaci nel regolare le condotte degli individui è definita da Durkheim come anomia, concetto tra i più noti dell'opera durkheimiana.
Nel 1895 pubblica "Le regole del metodo sociologico" dove delinea la metodologia necessaria ad un vero studio scientifico della società. Partendo dalle idee comtiane sull'analogia tra società e natura come oggetto di studio, Durkheim cerca di allontanare la sociologia dalla filosofia sociale astratta e indica nello studio empirico la premessa necessaria dell'approccio sociologico.
Sulla base di questo assunto, i fenomeni sociali devono essere studiati come fatti, ossia come cose osservabili e misurabili empiricamente. Secondo il sociologo francese, infatti, l'organizzazione sociale è una realtà sui generis che non è costituita dalla somma delle sue parti, bensì le supera e le racchiude, reificandosi in fenomeni che hanno un carattere esterno all'individuo stesso e, come tale, coercitivo.
I fatti sociali, in quanto realtà sui generis, devono allora essere spiegati attraverso altri fatti sociali entro un rapporto causale o funzionale: nel secondo caso, quello che più ha esercitato influenza sugli sviluppi successivi della disciplina, una condotta sociale è spiegata in funzione dei bisogni generali dell'organismo sociale che va a soddisfare.
Un esempio di tale metodologia Durkheim lo fornisce nella sua terza opera, "Il suicidio", pubblicata nel 1897. Il lavoro non comporta da un punto di vista teorico grosse novità, ma costituisce uno dei primi tentativi sociologici di analisi empirica della società. Studiato fino ad allora solo in termini di volontà individuale, di razza o di patologia mentale, Durkheim considera il suicidio nella sua distribuzione sociale, come fatto sui generis indipendente dalle volontà individuali e lo pone in relazione ad altri fatti sociali. In altre parole, egli ricerca l'eziologia sociale del fenomeno attraverso correlazioni statistiche con le caratteristiche dei diversi sistemi sociali europei. Considerando aspetti quali la religione e la famiglia, giunge alla conclusione che il suicidio è più frequente (correnti suicidogene) in quei paesi che presentano un'integrazione sociale meno sviluppata.
Durante gli anni successivi tiene un ciclo di lezioni sul socialismo e l'individualismo (raccolte nel libro "Lezioni di sociologia"), dove Durkheim critica l'appoggio socialista in quanto si limita alla sola regolazione economica della società senza essere accompagnata da una regolamentazione morale e politica. Di tendenze riformiste, non si impegna mai direttamente in politica se si esclude la sua presa di posizione a sostegno di Dreyfus nel noto scandalo di fine Ottocento in Francia.
Il primo decennio del XX secolo vede impegnato Durkheim in più fronti. Nel 1902 entra alla Sorbona e nel 1906 viene nominato professore di ruolo della cattedra di Pedagogia (solo nel 1913 il nome del corso diverrà "Pedagogia e sociologia"). Per tutto il decennio prosegue nello sforzo dell'"Année Sociologique", la rivista di sociologia fondata nel 1894 che vede fra i suoi collaboratori anche il genero Marcel Mauss: l'intento del periodico, il primo ad avere come oggetto le scienze sociologiche, è quello di fornire un quadro completo di tutta la letteratura prodotta nell'ambito degli studi sociali.
A questi impegni Durkheim affianca anche la sua opera di ricerca: diversi sono i suoi articoli e studi (gran parte raccolti nelle edizioni postume de "L'educazione morale" e "Sociologia e filosofia"), i quali approfondiscono i temi già presenti nelle sue prime opere. In particolare egli ritorna sul tema della morale: se i fatti sociali sono tali per la loro esteriorità e coercizione, allora i fatti sociali hanno valenza etica e sono fatti morali.
Riprendendo il concetto di dovere kantiano, Durkheim sottolinea, tuttavia, che un'altra caratteristica è centrale nei fatti morali: la loro desiderabilità. Gli individui, infatti, internalizzano la coercizione delle norme sociali in quanto li sentono anche come desiderabili.
Il sociologo francese sostiene che l'unico oggetto al centro della morale a possedere l'ambivalenza di dovere e piacere non è che la società: infatti, la società si impone attraverso le sanzioni ed è desiderabile perché attraverso le sue norme l'individuo supera i suoi interessi egoistici per dirigersi verso la cooperazione sociale e la solidarietà (la società stessa), le quali gli permettono di sperimentare la vera libertà.
Solo la società, dunque per Durkheim, si presenta come persona morale distinta dagli individui e capace di trascendere gli interessi individuali: essa è allora desiderabile perché permette all'uomo di innalzarsi sopra la semplice esistenza animale e i suoi istinti egoistici per coordinare insieme gli sforzi e vivere una vita più libera dai bisogni e dalle necessità.
Egli giunge così alle sue conclusioni più discusse: la subordinazione morale dell'individuo alla società attraverso la disciplina e l'educazione (concetti che contengono l'elaborazione successiva di socializzazione) e la società come oggetto e fonte della morale.
Egli svilupperà parte di questi concetti e soprattutto l'ambivalenza dei fatti morali nella sua ultima grande opera, "Le forme elementari della vita religiosa", pubblicata nel 1912, dove analizza le religioni della popolazioni più antiche e il concetto di sacro come punto di contatto tra la vita religiosa e la vita morale. La tesi centrale è che nelle società arcaiche le due vite coincidessero in quanto la coesione sociale fondata sulla condivisione di credenze comuni e su forti legami comunitari faceva sì che l'idea di società fosse trasfigurata nell'idea di dio. Con la crescente differenziazione sociale, nelle società moderne è inevitabile che la morale e la religione si allontanino, ma ciò non significa per Durkheim che la morale perde i suoi caratteri religiosi.
Nelle società industriali, infatti, al centro della religiosità morale resta il vero oggetto, la società, con tutti i suoi simboli, quali inni, bandiere e stemmi. Il diffondersi dei vari nazionalismi dell'epoca non faceva che confermare il sociologo nelle sue idee.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Durkheim riduce il suo impegno negli studi sociologici sia per il suo coinvolgimento nella propaganda bellica con la produzione di opuscoli e scritti, sia a causa di una salute sempre più cagionevole; il conflitto mondiale, inoltre porta un duro colpo al sociologo. Durante la ritirata dell'esercito francese in Serbia del 1914-15, il figlio André muore e per i mesi successivi Durkheim smette di lavorare. Alla fine del 1916 un colpo apoplettico lo costringe ad una lunge degenza e, infine, il 15 novembre del 1917 muore.
Tra i sociologi classici, Durkheim è certamente stato l'autore che più di ogni altro ha influenzato gli sviluppi successivi della sociologia e delle scienze affini (si pensi solo allo strutturalismo di Levi-Strauss, le correnti americane del funzionalismo di Merton e del funzional-strutturalismo di Parsons e l'antropologia francese di Mauss).
I suoi principi metodologici sono stati alla base del nascere della ricerca quantitativa nelle scienze sociali e le sue conclusioni teoriche costituiscono ancora oggi oggetto di dibattito (si pensi ai lavori di Zygmunt Bauman) e questo, ancora più di ogni attestato, conferma la notevole portata del suo contributo.
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