Nicolás Maduro

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Biografia

Nicolás Maduro Moros nasce il 23 novembre del 1962 a Caracas, in Venezuela, da padre di origini ebraiche e madre di origini colombiane. Dopo avere lavorato per la Metropolitana di Caracas come autista, diventa sindacalista e, grazie a questa carica, entra a far parte del consiglio di amministrazione dell'azienda di trasporti pubblici della capitale del suo Paese.

L'impegno politico

Fondatore del Sindacato Metro de Caracas, negli anni Novanta si avvicina a Hugo Chàvez, che sta per candidarsi alla presidenza del Venezuela. Con il partito del MVR prende parte alla campagna elettorale del 1998 e viene eletto deputato all'Assemblea Nazionale Costituente che ha il compito di scrivere la nuova Costituzione.

Gli anni 2000

Nel 2000 viene eletto all'Assemblea Nazionale, per poi essere confermato nel 2005, anno in cui viene scelto anche come presidente del parlamento. Abbandona tale carica già nel corso del 2006 per entrare a far parte del governo in qualità di capo del Ministero del Potere Popolare per gli Affari Esteri.

Nel 2011 Nicolás Maduro viene scelto da Chávez come suo successore. Viene apprezzato per la sua realtà, oltre che per la sua capacità di intessere buoni rapporti con Jorge Rodriguez, Jesse Chacòn e Elìas Jaua, vale a dire gli altri esponenti della fascia del partito chavista più dura.

Dopo le elezioni presidenziali dell'ottobre del 2012 viene nominato vice presidente del Venezuela, prendendo il posto di Elìas Jaua.

La guida del Venezuela da Chávez a Nicolás Maduro

A dicembre, Hugo Chávez in un discorso alla nazione rende noto che le sue condizioni di salute, a causa del cancro che lo ha colpito, si stanno aggravando, e che per questo motivo sta per farsi ricoverare a Cuba. Il presidente invita il popolo a votare per Maduro nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Chávez muore il 5 marzo del 2013.

A questo punto Nicolás Maduro diventa presidente del Venezuela ad interim, annunciando nel contempo la sua candidatura alle elezioni che si svolgeranno poche settimane più tardi, scelto all'unanimità in qualità di candidato del Partito socialista.

Il 14 aprile del 2013 diventa ufficialmente il presidente del Venezuela, sconfiggendo Henrique Capriles Radonski, che tuttavia contesta l'esito delle votazioni. Il Consiglio Nazionale Elettorale, in ogni caso, sostiene la validità del responso delle urne.

La politica di Maduro

Una volta diventato presidente, Nicolás Maduro segue la scia lasciata da Chávez, proseguendo sull'onda del suo socialismo bolivariano. Tuttavia già nella seconda metà del 2013 egli deve fare i conti con proteste popolari piuttosto forti, dovute a una situazione economica sfavorevole e a una gestione complessiva del Paese segnata da accuse di corruzione.

Anche l'anno successivo le sommosse popolari proseguono, non senza vittime. Maduro, intanto, governa con quella che si definisce Legge Abilitante: in altri termini, emana leggi senza che queste debbano ricevere l'approvazione del Parlamento.

Nel settembre del 2014 egli rende noto l'intenzione del suo governo di investire poco meno di cinquanta milioni di bolivar nella realizzazione di sessanta nuovi centri di disarmo e quasi quaranta milioni di bolivar per il piano di disarmo che prevede il pattugliamento dei quartieri pericolosi da parte delle milizie della guardia nazionale.

Nel 2015 dà il la alla Olp, la Operaciòn Liberaciòn y Protecciòn del Pueblo, così da rendere più sicuro il Paese attraverso un'ingente campagna militare che presuppone lo schieramento di tremila soldati in uno degli Stati dell'America Latina in cui si riscontra il numero maggiore di omicidi.

La politica estera

Anche per quel che concerne la politica estera, Maduro non cambia la linea impostata dal suo predecessore, ma deve affrontare la crisi con gli Stati Uniti. L'amministrazione Obama, infatti, nei primi mesi del 2015 sottoscrive un ordine esecutivo con il quale vengono imposte delle sanzioni nei confronti di alcuni funzionari del Venezuela accusati di aver contribuito alla corruzione pubblica e alla persecuzione degli oppositori. Maduro, di fronte alle parole del presidente americano, che identifica il Venezuela come una straordinaria minaccia per gli Stati Uniti, risponde per le rime al titolare della Casa Bianca, invitandolo a cessare le azioni ostili nei confronti del suo popolo.

Il 6 aprile del 2015, più di trenta leader di Paesi di ogni angolo del mondo sottoscrivono la Dichiarazione di Panama, un manifesto di accusa contro il governo di Maduro. Tra i firmatari ci sono lo spagnolo José Maria Aznar, il colombiano Andrés Pastrana, il cileno Ricardo Lagos e il panamense Ricardo Martinelli.

Poche settimane più tardi, tra il Venezuela e la Colombia si innesca una crisi diplomatica relativa al Dipartimento di La Guajira, una zona marittima i cui confini sono in discussione.

Siamo nel momento più difficile, ma la nuova America latina è viva: nella forza del suo popolo, della piazza, dell'amore, che è la grande causa dell'umanità, come diceva il poeta Che Guevara. Fin dove siamo disposti a spingerci? Fino a dare la vita per questo: per costruire la vita ogni giorno. (Luglio 2016)

Le rivolte popolari del 2017 e gli anni successivi

Nell'estate del 2017, il Venezuela è colpito da rivolte popolari che provocano numerose morti: il 31 luglio il premier italiano Paolo Gentiloni si riferisce al governo di Maduro come a un regime dittatoriale, rifiutandosi di riconoscere l'assemblea costituente del presidente venezuelano.

Il 21 maggio 2018 Nicolás Maduro viene rieletto per un secondo mandato a presidente del Venezuela, fino al 2025.

Nel 2020 l'ONU delibera una condanna contro Maduro per crimini contro l'umanità, chiedendo il processo alla Corte penale internazionale de L'Aja. Nello stesso anno il dipartimento di Stato USA offre una taglia da quindici milioni per la cattura di Maduro, considerato un narcotrafficante.

All'inizio del mese di dicembre 2023 indice e vince un referendum per annettersi il 70% della Guyana; la Guayana Esequiba è grande quanto metà dell’Italia ed è ricca di minerali preziosi e di petrolio. L'ONU teme che ciò potrebbe scatenare una guerra in America Latina.

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