Guglielmo Epifani
Biografia
Guglielmo Ettore Epifani nasce il 24 marzo del 1950 a Roma: tre anni dopo, però, si trasferisce con la sua famiglia a Milano. Tornato nella Capitale negli anni dell'adolescenza, frequenta il liceo classico Orazio ottenendo la maturità nel 1969, e quindi si iscrive all'Università La Sapienza, dove quattro anni dopo si laurea in Filosofia con una tesi dedicata ad Anna Kuliscioff, tra i principali esponenti e fondatori del Partito Socialista Italiano. Iscrittosi alla CGIL, lavora come sindacalista: dirige l'Esi, la Casa Editrice della Confederazione, nel 1974, avendo così l'opportunità di migliorare la propria reputazione tra i confederati, e pubblica il libro "Il sindacato nella resistenza".
In breve tempo Guglielmo Epifani viene chiamato a lavorare all'Ufficio sindacale, dove ha il compito di coordinare le diverse politiche contrattuali delle categorie, e in seguito all'Ufficio Industria. Vicino alle idee socialiste, intraprende la carriera di dirigente sindacale diventando segretario generale aggiunto per la categoria dei cartai e dei lavoratori poligrafici. Nel 1990, a quarant'anni, entra a far parte delle segreteria confederale, mentre tre anni dopo, Bruno Trentin lo nomina segretario generale aggiunto.
Iscrittosi nel frattempo al partito dei Democratici di Sinistra, dal 1994 al 2002 Guglielmo Epifani è vice di Sergio Cofferati (i due pubblicano insieme per Ediesse "Il valore sociale del lavoro. L'identità dei democratici di sinistra"): alla fine del mandato del "Cinese" prende il suo posto, diventando così il primo socialista alla guida della CGIL, la principale organizzazione sindacale in Italia, dal 1944, anno in cui venne ricostituita. Nel 2005 pubblica con Carla Cantone "Non rassegnarsi al declino. Politiche industriali per competitività e sviluppo", mentre l'anno seguente insieme con Vittorio Foa dà alle stampe, per Einaudi, il volume "Cent'anni dopo. Il sindacato dopo il sindacato".
Avversario di Silvio Berlusconi, Guglielmo Epifani ha modo di scontrarsi anche con Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell'Economia del secondo governo Prodi, a proposito della riforma delle pensioni. Il 16 ottobre del 2010 tiene il suo ultimo discorso nel ruolo di segretario CGIL, a Roma in Piazza San Giovanni, durante la manifestazione della Fiom. Il suo posto, infatti, viene preso da Susanna Camusso.
Nel 2012 si schiera a favore di Pier Luigi Bersani in vista delle primarie del Pd: dopo l'elezione del segretario di partito a candidato premier, nel 2013 Guglielmo Epifani viene candidato alla Camera dei Deputati per il Partito Democratico, eletto come capolista nella circoscrizione Campania I. Quindi, in seguito alle dimissioni di Bersani dal Pd (causate dalla mancata elezione al Quirinale di Franco Marini e Romano Prodi), nel maggio del 2013 viene indicato come reggente del partito in vista dell'elezione del nuovo segretario.
In polemica con Matteo Renzi, decide lasciare il Pd nel 2017 aderendo a Liberi e Uguali. Alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 si candidato con LeU venendo rieletto alla Camera dei Deputati.
Guglielmo Epifani si spegne a Roma, all'età di 71 anni, il 7 giugno 2021.
Frasi di Guglielmo Epifani
Foto e immagini di Guglielmo Epifani
Commenti
Mi rivolgo a Lei Guglielmo Epifani, dopo aver apprezzato i suoi recenti interventi a sostegno del Lavoro e di una Politica meno lontani da una popolazione fortemente tradita su ogni aspetto: etico e socio-economico.
Le scrivo per un tema che mi tocca profondamente, insieme a milioni di italiani, su cui si continua a far finta di nulla. Come tanti sto vivendo il dramma, nel senso opposto agli esodati, per la pesantissima “riforma-prigione” pensionistica e del lavoro, affossando tanti onesti cittadini anziani che, come me, hanno già versato doverosamente il proprio contributo al Paese. Sarei dovuto andare in pensione due anni fa ma, pur con oltre 37 anni di provante professione come operatore sanitario, sarò costretto senza scelta a prolungare il lavoro per altri sette lunghi anni. Lo scempio della “riforma” è tra lo sgomento di molti, mentre il malessere sociale diventa sempre più incontenibile per aver calpestati la dignità del lavoro e la Vita.
Contro i Diritti Umani si è adottata una tirannia finanziaria, dato che ci si mette un attimo a legiferare mostruosi tagli lineari sui più deboli e la previdenza, ma una vita per non attuare ad esempio la decantata crescita, la riforma della Giustizia e quella Elettorale, nonché l’eliminazione totale degli sperperi giganteschi della politica e del suo indotto.
Desidero dunque sottoporre alla Vostra attenzione la mia testimonianza diretta sull’immane dramma di Pensioni e Lavoro (in calce). Un'analisi sociologica propositiva su ciò che si sta consumando nella nostra Nazione e su cui urge un rimedio che interpella le Istituzioni, la Società, la Previdenza presente e futura.
Continuerò la mia lunga umana battaglia (forse più grande di me quanto lo è ancora il silenzio tombale circostante), convinto che ciò contribuisca a favore della Persona nel valore più alto, attraverso il quale si contraddistingue la Civiltà e la Politica di un Popolo.
Rivolgendomi alla sua autorevole sensibilità e ringraziandoLa infinitamente, nell'attesa di una concreta risposta e sostegno a questo dramma, invio un cordiale saluto, Alberto Pellè. E-mail [email protected]
IMPRIGIONATI A VITA DALLA “RIFORMA-GENOCIDIO” PENSIONISTICA E DEL LAVORO
Tra disoccupazione e precariato, esodati, chi perde lavoro né lo ritrova, c’è anche chi dopo sette/otto lustri vorrebbe ma non può lasciare l’attività lavorativa, vedendo traditi i valori più cari quali il sogno di libertà conquistata e la vita. Si è giunti così a una previdenza che, pur in attivo ma deviando la ricchezza, continua nell’innalzamento scellerato dell’età pensionabile anche contro chi, senza scelta e senza essere causa di sperperi, stava lì lì per maturarla, avendo eliminate anche le pensioni di anzianità dei 40 anni di servizio.
In “Senza Pensioni” gli autori tracciano un Paese con una spesa pensionistica impropriamente usata anche negli ammortizzatori sociali. Oltre alla scarsa crescita economica e demografica, unitamente allo sbilanciamento tra entrate e uscite della previdenza, s’inizia a lavorare più tardi. Stipendi e pensioni non sono commisurati al costo della vita, e pagarsi una previdenza aggiuntiva è assai difficoltoso.
Si è adottato con l’accetta mostruosi tagli lineari su pensioni e lavoro, più che ricorrere ad altre entrate e a sensati rimedi. Questione di priorità, mentre, nel “tamtam della crisi”, non si colgono le cause che da anni portano in rosso, come le costose opere insostenibili e la dissanguante regola del mal costume. Si va dalle spese pazze istituzionali (soprattutto nel suo indotto) sottratte da nuove tasse e dai servizi al cittadino che si dice di voler rappresentare, al pensionato INPS più ricco d’Italia con 90.000 al mese, a differenza ad esempio degli insegnanti plurilaureati con 1.000 mensili.
Si è ora giunti a un embargo contro i comuni pensionabili con monologhi agghiaccianti quali: “Il risparmio sulle pensioni serve per salvaguardare il futuro previdenziale dei giovani”, quando non si dà loro futuro e al contempo si sottrae quello conquistato agli attuali anziani imprigionandoli a vita. Si sostiene che “non si possono dare pensioni per quaranta anni lavorandone trenta”, come se andando in pensione dopo sessanta/ settant’anni si vive in genere altri quaranta, a dispetto delle statistiche, della qualità della vita, del buon senso e dei contributi versati spesso in lavori di una vita poco gratificanti. Nel frattempo si stanno sacrificando gli attuali onesti anziani che saranno forse l’ultima generazione a lavorare per 45/50 anni. In un lampo sono stati scippati i sacri valori conquistati in sessant’anni e quasi nessuno fa niente! Anche di fronte a gravità quali: lavori usuranti e chi ha delle patologie, personale ridotto e anziano, servizi e orari aumentati a fronte di stipendi decurtati, tagli alle risorse pur aumentando le tasse, caos collettivo nella difficile offerta di servizi ormai al collasso, piattume, maggiori malattie psico-fisiche e costi socio-familiari che ricadono nella collettività. Così gli anziani di oggi dovranno continuare, se riescono in queste condizioni inumane, a lavorare “gratis” altri lunghi anni per poi percepire, con i nuovi drastici sistemi, pure una pensione decurtata del 40% e più vicina alla “speranza di morte”, visto i tagli e l’età pensionabile (la più alta al mondo) verso i settant’anni. Ci sarà infine chi con 45/50 anni di servizio percepirà ad esempio 900 al mese di pensione al pari di chi ne ha lavorati quindici, a differenza degli attuali pensionati che, a parità d’impiego e con 35 anni di contributi, percepiscono 1.500 al mese. Dopo aver lavorato una vita, i tre colpi di grazia: schiavitù, miseria e corta vecchiaia.
Questo il turno degli anziani di oggi. Questa la riforma del lavoro e delle pensioni nel motto della “equità-crescita e del risanamento". Quando oltre ai suicidi, alle numerose aziende che chiudono giornalmente, agli esodati, al precariato, all’articolo 18, all’aumento delle tasse e dei tagli, delle diseguaglianze e della povertà, nell’immane sofferenza si è trasformato il lavoro comune in una prigione da cui ora né si può uscire né entrare. Si è legittimato il tradimento contro l’economia equa e i valori inalienabili in un silente lento genocidio. Una “moderna guerra” in nome del “debito pubblico”, che aumenta... Drammatici in ogni caso, in termini economici nonché in servizi e vite spente, gli sviluppi per i tagli nel breve e lungo periodo, unito allo sprofondare del Benessere equo e sostenibile (Bes). Lo scempio della “riforma” è tra lo sgomento di molti, mentre il malessere è sempre più incontenibile.
Non sono le doverose tasse il dilemma principale (specie se distribuite equamente e con adeguati servizi), o gli ammortizzatori sociali e quant’altro (se non sottratti alla previdenza), ma il vero dilemma è l’andare contro la dignità del lavoro e la Vita. Non è accettabile un sistema al contrario, dove gli ultimi a beneficiare e malamente della previdenza sociale sono proprio coloro ai quali è rivolto e per cui è nato il sistema pensionistico. Là dove si trasformano in capri espiatori quanti lavorano e pagano i contributi, o si premi chi comincia a quarant’anni il lavoro, togliendo ciò che appartiene agli anziani affamandoli nella fase più vulnerabile della vita.
Occorre usare correttamente e in modo decisamente più sostenibile le risorse socio-economiche, più che iniziare dalla coda e sterminare le tutele sociali presenti e future, ed è necessario rivedere o liberalizzare i contributi previdenziali, far scegliere il prolungamento o riportare l’uscita lavorativa a quota 96 (anni d’impiego più l’età anagrafica), per incentivare la crescita, l’occupazione giovanile, le aziende, l’economia, ridare etica e dignità alla persona.
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