Jeff Buckley
Biografia • Un sapore eterno
Chitarrista e cantautore, Jeff Buckley è entrato nella leggenda sia per il suo album "Grace" che per la strana morte che l'ha colto quando aveva 30 anni. Nato il 17 novembre 1966 ad Anaheim (California), Jeffrey Scott Moorhead (Moorhead è il cognome del secondo marito della madre, Ron Moorhead) è il figlio di Mary Guibert e del cantautore Tim Buckley, artista della scena rock conosciuto in tutto il mondo, che proprio nel periodo della nascita di Jeff sta intraprendendo la carriera musicale (e infatti, dopo aver inciso il primo disco, lascerà la moglie e il figlio di pochi mesi, morendo per overdose a soli ventotto anni).
Il rapporto tra Jeff e il padre è complicato, e probabilmente influenza in maniera notevole l'esistenza di entrambi: i due si incontreranno per la prima volta solo poche settimane prima della morte di Tim.
Jeff forma a diciassette anni il suo primo gruppo: sono gli Shinehead di Los Angeles. Poco dopo, a New York insieme con l'amico Gary Lucas dà vita ai Gods & Monsters, un sodalizio che tuttavia fallisce ben presto a causa dei dissidi interni al gruppo. Buckley, quindi, intraprende la carriera da solista, iniziando a esibirsi nel circuito del Greenwich Villane e facendosi conoscere durante un concerto omaggio al padre, durante il quale canta "Once I Was".
I suoi primi concerti vanno in scena in un club dell'East Village, il "Sin-E'", e caratterizzano la sua gavetta. Proprio al "Sin-E'" nel 1993 Jeff Buckley ha l'opportunità di incidere il suo primo album, dal vivo, attraverso la Columbia: si chiama "Live at Sin-E'", e contiene quattro tracce: due pezzi originali ("Eternal Life" e "Mojo Pin") e due cover, una di Van Morrison e l'altra di Edith Piaf. Jeff inizia una tournée con la sua band per promuovere in disco: dapprima nel Nord America, poi anche in Europa. Il successo è notevole, forse anche inaspettato: per questo il suo primo album "vero", "Grace", uscito negli Usa ad agosto del 1994, viene pubblicizzato in maniera massiccia dalla sua casa discografica.
Il talento di Buckley emerge con prepotenza in "Grace": intenso e creativo, propone testi tormentati e profondi, che attingono sia dal repertorio di papà Tim, sia da Leonard Cohen e Bob Dylan. "Grace" presenta dieci pezzi: tre cover (tra cui l'"Halleluja" di Cohen), tre brani interamente scritti da Jeff e quattro frutto di collaborazioni varie. Accompagnato da Matt Johnson alle percussioni e alla batteria, da Mick Grondhal al basso, da Gary Lucas e Michael Tighe alle chitarre, Buckley suona harmonium, chitarra, dulcimer e organo, dando vita a un'opera graziosa e sconvolgente. A colpire il pubblico e la critica è, in particolare, il canto di Buckley, la cui voce parte piano per terminare in un drammatico crescendo, non lontano dal blues. Ballate come "Lover" si caratterizzano per arrangiamenti sinfonici e melodie esili ma efficaci. "Grace", insomma, si qualifica come uno dei capolavori della prima metà degli anni Novanta.
Dopo "Grace", nel 1997 Buckley inizia a preparare il nuovo album, "My sweetheart the drunk". Il disco uscirà postumo in una versione incompleta e per così dire grezza, con il nome di "Sketches (for my sweetheart the drunk)", perché Jeff muore annegato nel fiume Mississippi il 29 maggio 1997, dopo essersi recato a Mud Island Harbor, nel Tennessee, con un amico. Entrato nel fiume per nuotare con tutti i vestiti addosso, Buckley fa perdere dopo pochi minuti le proprie tracce, travolto da un'onda. Le ricerche delle forze dell'ordine, pur immediate, non danno gli esiti sperati, e il cadavere del cantante viene recuperato solo il 4 giugno successivo. L'autopsia decreterà che nel corpo di Jeff non c'erano tracce di alcol o droga.
Famoso soprattutto in Australia e in Francia, Jeff Buckley ha conosciuto la celebrità mondiale solo dopo essere morto: ancora oggi, le sue canzoni compaiono nelle classifiche dei brani più apprezzati dalla critica e dal pubblico. Musa ispiratrice (anche se inconsapevolmente) di molti cantanti rock dell'ultimo decennio, Jeff ha ripercorso, suo malgrado, il destino tragico del padre, mettendo(ne) in mostra uno spirito quasi disperato, e divenendo, dopo la tragica fine, un protagonista dei sogni dei ragazzi degli anni Novanta. Nel 2000, sotto la supervisione della madre e dell'amico Michael Tighe, Columbia ha pubblicato la raccolta dal vivo "Mistery White Boy" e "Live in Chicago", un concerto risalente a cinque anni prima registrato al Cabaret Metro. Risale all'anno successivo, invece, "Live à l'Olimpya", con Parigi sullo sfondo.
Nel corso della sua breve carriera, Buckley ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui la candidatura ai Grammy Award per la canzone "Everybody here wants you" come Best male rock vocal performance, la candidatura della rivista Rolling Stone nel 1995 come Best new artist e la candidatura, sempre del 1995, degli Mtv Video Music Award per il video di "Last goodbye" come Best new artist. Nel 2008, sempre la rivista "Rolling Stone" ha inserito Buckley nella lista dei cento cantanti più grandi di tutti i tempi, al 39° posto.
Di lui Bono ha detto: "era una goccia pura in un oceano di rumore".
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