Porfirio

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Biografia

Porfirio nasce a Tiro (città fenicia, oggi in Libano) tra il 233 e il 234 dopo Cristo: il suo nome è la traduzione in greco del semitico Malcho. Originario della provincia romana di Siria, cresce probabilmente a sud di Tiro, nel villaggio di Batanea, per poi studiare presso la scuola ateniese di Cassio Longino, fino a quando - all'età di trent'anni - si sposta a Roma.

A Roma

A Roma, frequentando gli ambienti senatoriali, ha modo di entrare in contatto con Plotino, che dopo averlo conosciuto inizia ad ammirarne le qualità e, proprio per questo motivo, gli propone di riordinare e di revisionare i suoi scritti.

Porfirio si dedica, quindi, alla sistematizzazione del pensiero plotiniano, racchiuso nelle "Enneadi", e alla pubblicazione di una sua biografia. Divenuto, con il passare del tempo, melanconico e di umore pessimo, manifesta degli intenti suicidi: anche per questo motivo viene invitato da Plotino ad andare in Sicilia, in modo tale che possa trovare la via della guarigione.

In Sicilia

Proprio mentre si trova in Sicilia viene a sapere, nel 270, della morte del suo maestro. Successivamente Porfirio si sposa con una vedova anziana di nome Marcella, già madre di sette figli, rimanendo affascinato dalla sua cultura e dalla sua intelligenza.

Costretto a lasciare l'Italia per intraprendere un viaggio in Grecia, le scrive una missiva, "Pròs Markéllan", in cui le esprime le proprie opinioni filosofiche e teologiche, con l'intento di regalarle un conforto.

Porfirio

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Il pensiero di Porfirio

Nella "Lettera a Marcella", il teologo e filosofo di origine fenicia spiega che per Dio sono quattro i principi fondamentali che devono essere presi in considerazione: la speranza, l'amore, la verità e la fede.

Quattro principi fondamentali devono soprattutto valere per quanto riguarda Dio: fede, verità, amore, speranza. Bisogna infatti credere, perché l'unica salvezza è la conversione verso Dio: chi ha creduto deve quanto più è possibile impegnarsi a conoscere la verità su di lui; chi l'ha conosciuto amare colui che è stato conosciuto; chi l'ha amato, nutrire di buone speranze l'anima tutta la vita.

Secondo Porfirio, solo la conversione a Dio è una salvezza, e unicamente chi crede può conoscere la verità. Dal punto di vista filosofico, Porfirio contamina il neoplatonismo con un misticismo più evidente e vi introduce le pratiche ascetiche, oltre a elementi orientali esoterici, senza rinunciare a un'influenza aristotelica e a un interesse per la matematica e per l'analisi dei miti.

Le opere

Egli scrive, tra l'altro, il "Commento alle Categorie di Aristotele", la "Isagoge", le "Sentenze" e il "Commento al Parmenide", ma anche "L'antro delle ninfe", il "Commento al Timeo", "Contro i cristiani", "Sull'astinenza dalle carni degli animali" e "il Commento agli Armonikà di Tolomeo".

"Contro i cristiani", in particolare, è un trattato in cui il filosofo prova a rivalutare il paganesimo, in un confronto con l'espansione del Cristianesimo: di quest'opera restano pochi frammenti derivati dalle citazioni di testi greci e latini, dal momento che l'imperatore Teodosio II decise di bandirlo.

Secondo Porfirio, la filosofia dei cristiani priva la giustizia e la legge di efficacia ed è un invito all'illegalità; inoltre, insegna agli uomini a non temere l'empietà.

Porfirio

Porfirio rappresentato in un dettaglio di un affresco: Albero di Jesse, 1535, Monastero di Sucevița (Romania)

L'uomo e gli animali

"Sull'astinenza dalle carni degli animali", invece, è un trattato a sostegno del vegetarianismo, in cui si sostiene che il sacrificio di animali e il consumo di carne che ne deriva siano una conseguenza e uno sviluppo del cannibalismo.

Il regime vegetariano contribuisce alla salute e nello stesso tempo ad acquisire una resistenza commisurata agli sforzi che l'esercizio della filosofia richiede.

Il filosofo ritiene che vi sia piena continuità tra gli animali e gli uomini, in quanto entrambi sono dotati di linguaggio e di ragione, mentre non è vero che gli animali siano stati creati da Dio per l'uomo.

Porfirio si dedica, inoltre, a opere di carattere discorsivo e dottrinario, come "Sul ritorno dell'anima", "Vita di Pitagora" e "Lettera ad Anebo". Muore a Roma nel 305 dopo Cristo circa.

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