Euripide
Biografia • L'arte di usar parole
Euripide nasce intorno al 485 a.C. proprio mentre la Grecia tenta di resistere all'invasione dei persiani con la battaglia di Salamina. Sembra che sua madre sia di origine nobile. Nonostante, al momento della sua nascita, i suoi genitori non dispongono di una notevole ricchezza, gli permettono di condurre studi regolari.
Aristofane avrebbe, dunque, torto a definire Euripide un rozzo portatore di innovazioni di bassa estrazione sociale. Sembra che il suo carattere meditabondo lo induca a rifugiarsi spesso in una grotta sul mare nei pressi della sua natia Salamina per poter riflettere con calma sulle questioni che gli stanno più a cuore.
Pur vivendo in un periodo molto vivace, si distacca dalla vita politica attiva, forse, a causa della guerra del Peloponneso. Nonostante il suo distacco dalla politica attiva, si impegna nell'attività di tragediografo e filosofo, convinto che l'indagine sui problemi naturali possa donare la giusta dimensione di serenità allo spirito. Conosce e diventa amico di Socrate, anche se non ne condivide sempre le opinioni come l'idea socratica che la conoscenza del bene sia una virtù.
Euripide afferma, infatti, che non basta conoscere il bene, bisogna metterlo in pratica, combattendo così anche la pigrizia connaturata nell'indole umana. La sua posizione come filosofo è vicina a quella dei sofisti, e di Protagora in maniera particolare. Egli infatti sottolinea come l'arte oratoria sia la massima dimostrazione della capacità di usare la parola.
Inizia a partecipare alla gare tragiche nel 455 a.C. ottenendo con l' opera "Le Pleiadi" il terzo premio. La sua popolarità è tale che Plutarco racconta nella "Vita di Nicia" che i prigionieri greci dopo il disastro navale di Siracusa, avvenuto nel 413 a.C., ottengono la libertà recitando una delle tirate di Euripide.
Nella tragedia egli introduce notevoli innovazioni allontanandosi dalle regole aristoteliche di unità di luogo, tempo e azione. A differenza di quanto prescrive Aristotele, gli atti delle sue tragedie sono a se stanti al punto che è possibile estrapolarne dei passaggi senza che il senso degli stessi risulti incomprensibile. Euripide si mostra insofferente anche nei confronti di un'altra istituzione per eccellenza del teatro greco: il coro.
I protagonisti stessi delle sue tragedie non appartengono a quella consolidata tradizione che ha sempre attinto a piene mani dal mito. I protagonisti delle tragedie di Euripide sono, infatti, uomini comuni. Ed è proprio questa caratteristica dei suoi personaggi ad indurre Aristofane a canzonarlo definendolo "creatore di pezzenti". I suoi personaggi sono inoltre insicuri e travagliati, e, spesso, sono delle figure femminili. La sua Medea, per esempio, con la quale vince il terzo premio nel 431 a.C., decide di uccidere i propri figli come atto estremo di resistenza per non sottostare al matrimonio con Giasone.
Euripide intensifica anche l'utilizzo del deus ex machina, che è un artificio scenico attraverso il quale una situazione particolarmente ingarbugliata viene risolta dall'intervento esterno di una divinità. L'uso nel suo teatro del Deus ex machina deriva dalla sua convinzione che questo intervento faccia parte dell'imprevedibilità e dell'onniscienza degli dei; nonché dalla convinzione che, in quanto tali, solo le divinità sappiano venir fuori dalle situazioni più difficili e complicate. Questa sua innovazione verrà poi travisata dai tragediografi successivi che useranno il deus ex machina ogni qual volta non sono in grado di venire a capo di una situazione.
Introduce inoltre nella composizione delle tragedie: l'atto unico, il monologo nel prologo, e soprattutto un uso maggiore della musica. Il canto non è più appannaggio solo del coro: i singoli personaggi possono cantare in assolo per esplicitare un proprio stato d'animo, e possono duettare con gli altri personaggi in scena.
Nel 408 il suo distacco dalla vita greca è tale che accetta l'invito del re della Macedonia Archelaos I. Si stabilisce così a Amphipolis, dove Euripide muore dopo appena due anni nel 406 a.C.
Si racconta che sia morto sbranato da un cane, ma pare che la notizia sia priva di fondamento. Lascia tre figli e la prima biblioteca dell'antichità. La sua produzione teatrale conta più di novanta tragedie tra cui: "Alcesti" 8438 a.C.), "Andromaca", "Ecuba" (424 a.C.), "Elettra" (413 a.C.). Solo dopo la sua morte, la sua patria gli tributa la giusta attenzione: gli viene infatti dedicata una statua di bronzo nel teatro di Dionisio nel 330 a.C.
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