Giovenale
Biografia • Difficile non scrivere satira
Decimo Giunio Giovenale (Decimus Iunius Iuvenalis in lingua latina) nasce tra il 55 e il 60 dopo Cristo ad Aquino, nella parte meridionale del Lazio, figlio di una famiglia benestante.
Dopo avere ricevuto un'ottima educazione retorica, intorno ai trent'anni inizia a esercitare la professione di avvocato: tuttavia, non riuscendo a ricavarne i guadagni che avrebbe desiderato, a circa quarant'anni si dedica interamente alla scrittura.
Vivendo nella posizione scomoda di cliens all'ombra di diversi uomini potenti, deve fare i conti con un'autonomia economica molto ridotta e con una libertà politica altrettanto assente: ed è anche per questo motivo che le sue satire sono pervase da un sentimento pessimistico molto forte, accompagnato dal rimpianto per i tempi passati.
Le satire di Giovenale
L'opera di Decimo Giunio Giovenale è raccolta in sedici satire, che sono distribuite in cinque libri. Tra le più importanti, la I satira ha carattere di proemio: in essa si polemizza contro il decadimento di Roma, principalmente morale, e contro il costume dell'epoca.
È proprio il degrado etico del luogo che lo circonda a spingere Giovenale a diventare un poeta satirico, come rivela nella frase "Difficile est saturam non scrivere", "è difficile non scrivere satira".
La critica del presente attraverso la critica del passato
Nei suoi scritti egli si scaglia in particolar modo contro le generazioni passate: non perché esse siano state peggiori di quelle che sono sue contemporanee, ma perché semplicemente in questo modo egli ha la possibilità di criticare il presente, anche in maniera violenta, senza riferimenti diretti.
Nella II satira parla, tra l'altro, di omosessualità, condizione che viene definita come una bolla di infamia, e arriva a preannunciare che ci sarà un tempo in cui le unioni tra omosessuali verranno registrate.
Contro la donna
Nella VI satira, il retore laziale si produce in una invettiva molto forte contro le donne, ritenute viziose e immorali. Le donne, in effetti, rappresentano un bersaglio più che privilegiato dei suoi scritti: nel mirino finiscono, in particolare, le matrone romane più libere e più emancipate, che sono motivo di scempio e di vergogna agli occhi del poeta a causa della loro disinvoltura e della loro libertà nella vita sociale.
Non a caso la satira VI viene considerata un documento di misoginismo tra i più violenti (e addirittura cattivi) di sempre: si prende spunto da Messalina, definita una prostituta imperiale ("Augusta meretrix"), per passare a una invettiva contro il genere femminile.
I comportamenti e gli atteggiamenti delle matrone romane sono affrontati con descrizioni a dir poco aspre: esse vengono ritenute scialacquatrici prive di qualunque paletto etico, che non tengono conto della povertà e che conducono vite caratterizzate dai misfatti più imbarazzanti e degni di vituperio, tra omicidi premeditati, maltrattamenti della servitù, tradimenti, superstizioni e avvelenamenti.
Altri temi importanti
Nella VII satira Giovenale affronta il tema del decadimento culturale dell'epoca, che fa sì che il letterato sia povero e non possa ricoprire incarichi di primo piano, a differenza di quel che succedeva ai tempi di Augusto.
La XIV satira è una discussione a proposito dell'educazione dei figli e dell'importanza di abbinare istruzione ed esempi concreti, mentre la XV racconta addirittura un episodio di cannibalismo che si è verificato in Egitto, che rappresenta la conseguenza più estrema del fanatismo religioso.
Nelle sue satire, in generale, Giovenale si oppone in maniera radicale contro le ingiustizie e le iniquità: l'intento moralistico è, evidentemente, una delle caratteristiche salienti della sua poetica, accanto all'astio sociale, che lo porta a ritenere che non sussistano le condizioni sociali che permettano a letterati notevoli di giungere alla fama, come era avvenuto in passato con Orazio o Virgilio.
Gli scritti di Giovenale rivelano una profonda frustrazione dovuta al ruolo e all'immagine del poeta, ormai bistrattato e obbligato in molti casi a vivere nella miseria (poiché è proprio la miseria a ispirarlo). Ecco, quindi, comparire versi di protesta e di rabbia, abbinati a un rimpianto nei confronti dei tempi antichi in cui la moralità "agricola" permetteva a tutti di vivere in maniera felice.
La critica perde veemenza
Proseguendo nella sua attività di scrittore fino all'arrivo al potere dell'imperatore Adriano, Giovenale negli ultimi anni della sua produzione sceglie di fare a meno, in maniera esplicita, dell'indignazione che lo aveva contraddistinto in passato, per passare a un comportamento più disincantato, una visione più distaccata che mira senza dubbio all'indifferenza, all'apatia o addirittura allo stoicismo: da questo punto di vista, si riavvicina a una tradizione satirica che l'aveva attratto da giovane, e che poi aveva rifiutato; è così che le sue osservazioni diventano astratte e generali (e non più esplicite e dirette come accadeva un tempo) ma soprattutto più calme.
Decimo Giunio Giovenale muore dopo il 127 dopo Cristo, anche se la povertà dei cenni biografici che lo riguardano rende pressoché impossibile fornire una data più certa e più precisa.
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